la superbia
26 Marzo 2010 Share

la superbia

 

“Superbo” è chi presume troppo di sé, ponendosi al centro dell’attenzione, anche quando non la merita. Infatti, un aspetto particolare della superbia è non accorgersi che gli altri possono essere migliori di noi.

L’interesse smisurato per sé è l’esempio forse più chiaro di superbia.

Nel campo della ricerca e degli studi, nella sfera della politica, nel mondo del lavoro abbiamo sempre il modo di incontrare il superbo; questi si presenta come persona comunemente superficiale, capace di fare a meno dei suggerimenti altrui, delle richieste di amicizia condivisa, della  solidarietà  in molti tratti della vita comunque necessaria.

La superbia in questi casi si accompagna all’invidia, che – si dice comunemente – consuma le persone fino alla loro aridità spirituale. La superbia e l’invidia sono come le “blatte” landolfiane che, attaccate alla pelle, provocano disgusto sugli altri e vomito sopra noi stessi.

Un proverbio popolare dice che la “superbia va a cavallo e torna a piedi”, nel senso che la eccessiva presunzione di sé fa il vuoto attorno, ingenera fastidio negli altri, per cui spesso la frettolosità del giudizio del superbo si coniuga quasi immediatamente con la sua condizione di solitudine. Una cosa è essere consapevoli delle proprie capacità dinamiche, altra cosa è attribuirsi delle chances operative che nella vita quotidiana possono risultare inefficaci.

Ciascuno di noi, con buona probabilità, fin da piccolo, è venuto a conoscenza delle descrizioni letterarie della superbia: per esempio, la narrazione di un passo dell’Antico Testamento che descrive l’atteggiamento ribelle degli angeli presuntuosamente convinti di essere alla pari del loro creatore. È venuto, quindi, a conoscenza della modificazione morfica degli angeli in sgradevoli demoni, rappresentati come creature orribili. La stessa “torre di Babele” vuole sottolineare l’orgoglio irrazionale dell’uomo pari alla sua insipienza!.

Italo Calvino in un breve racconto ci descrive un uomo seduto sulla Luna che mangia del cibo che alcuni dalla Terra gli porgono con delle gerle; ma, quando quella persona decide di scendere sulla Terra, si accorge della enorme difficoltà a farlo, per la smisurata distanza che separa questi due corpi celesti. 

In fondo, queste narrazioni ci vogliono comunicare che l’uomo è capace di studiare l’universo e le sue leggi, di conoscere la dinamicità atomistica e materica della Terra; ma nello stesso tempo ci suggeriscono la necessaria moderazione per un tale itinerario di conoscenza.

La ricerca scientifica ha spazi infiniti ed illimitati, ma si deve accompagnare ad un atteggiamento mentale e culturale fondato sulla consapevolezza dei propri limiti, sull’acquisizione di buone dosi di umiltà intellettuale, arma ingegnosa per scrutare l’insondabile e l’apparentemente inconoscibile.

Un altro aspetto, davvero ciclopico, della superbia è quello dell’avidità.

L’avidità – espressione postmoderna della superbia – è rapportabile al mondo attuale, radicalmente modificato rispetto all’humus economico, paleoindustriale o pre-tecnologico. La società attuale vanta una concezione economica e produttivistica profondamente radicata sulla smodatezza edonistica del danaro, sulla sfrontatezza dell’accumulazione illegittima di ricchezze.

In estrema sintesi oggi la superbia, come disprezzo degli altri e smisurata ambizione, come voracità avida e irrefrenabile dei beni altrui, è la radice naturale del neoliberismo, il cui ambito totemico è costituito dall’accumulazione selvaggia di beni e di profitti a danno delle fasce deboli e meno abbienti della società odierna.

La superbia è l’arroganza impudica del ceto abbiente e affaristico, è l’irriverenza di una parte dell’imprenditoria rampante che fonda il suo arricchimento sugli imbrogli, sul rifiuto e l’emarginazione dell’altro da sé che esprime bisogni e volontà di una vita dignitosa.

La superbia è la protervia dei nuovi ricchi di negare la dignità di uomini a quanti dignitosamente vogliono vivere e costruire il proprio futuro sulle idee di un profondo convincimento che la libertà, la democrazia, la salute, la cultura, la solidarietà, la giustizia sono beni comuni a tutti e non ambiti di pochi illegittimi proprietari. La superbia  è l’avidità che confligge con le richieste e le aspettative palingenetiche degli ultimi e degli immigrati, regolari o clandestini che siano.

Il ricco, cioè chi ha il potere economico e finanziario distrugge con la sua sfrontatezza avida il corpo e l’anima dell’uomo; polverizza secoli di civiltà democratica conquistata con le lotte dei cittadini, meritandosi la punizione biblica della condanna alla gheenna e a portare sulle spalle – come le anime dei superbi nel Purgatorio dantesco –  pesi tanto faticosi da impedirgli di vivere bene.

Oggi abbiamo un grande obiettivo politico e culturale, sconfiggere cioè l’avida ed avara superbia del ceto abbiente arrogante ed ingordo e lo possiamo fare con l’umiltà che i tracotanti, i superbi non hanno, servendoci di un atteggiamento paziente e di un confronto dialettico con gli altri ai quali comunicare il nostro orizzonte, che ha il fondamento nell’attualità della Costituzione del 1948. ☺

bar.novelli@micso.net

 

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