La terra dei cachi
15 Novembre 2021
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La terra dei cachi

È sempre difficile scrivere di certi argomenti che, vuoi difficoltà di nozioni tecniche o perché esistenti in realtà distanti centinaia di chilometri, non sai fino a che punto riesci a sensibilizzare i lettori e come rapportarli al nostro territorio, ma tematiche di salvaguardia dell’ambiente e dell’uomo da Taranto a Vicenza, ci devono riguardare tutti, come cittadini attivi e sentinelle del territorio.

Il problema PFAS l’ho cominciato a seguire anni fa quando “TeleKabul” intervistò un manipolo di mamme (oggi associazione “Mamme NO PFAS”), allarmate dei valori spropositati di questa sostanza rilevati nelle falde acquifere e agricole della loro provincia,  cominciarono una serie di lotte che ancora non vedono una soluzione ma che quantomeno hanno attivato la magistratura che sta avviando un grande processo, il più grande della storia per i reati di carattere ambientale. Che cosa sono il PFAS e PFOA e qual è il problema di fondo? Con il termine PFAS (Per-Fluoro-Alkyl-Substance) si indica il vastissimo gruppo delle sostanze per- e poli-fluoroalchiliche: in pratica composti chimici prodotti sinteticamente dall’uomo a partire dalla prima metà del secolo scorso. Ed è proprio il legame C-F che le rende indistruttibili: resistono ai processi di degradazione fisica, chimica e biologica, operanti in natura. Resistono sia all’acqua che ai grassi, per cui hanno trovato un vastissimo campo di impiego: sono infatti usate per produrre rivestimenti antiaderenti di pentole, contenitori per alimenti, sacchetti da popcorn per forno a microonde, impermeabilizzanti per tessuti, pelli, carta oleata, materassi, tappeti, divani, sedili, detersivi, insetticidi, pesticidi e molto altro.

In Veneto, nel 2013 si è scoperto che la falda acquifera, dalla quale attingono alcuni acquedotti tra le province di Verona e soprattutto Vicenza, è inquinata da PFAS. Questa emergenza ambientale, senza precedenti in Italia, interessa un’area in cui vivono circa 350.000 persone. Secondo la Relazione del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Treviso (13 giugno 2017), che ha dato il via all’indagine da parte della Procura, tale inquinamento è imputabile alla ditta Miteni di Trissino (VI) e perdura da oltre 40 anni. Attualmente la Miteni è chiusa dopo aver dichiarato fallimento a fine 2018 (guarda un po’), ma l’inquinamento è tuttora in atto perché il terreno sotto l’azienda è talmente contaminato che, quando il livello della falda si alza, gli inquinanti vengono “prelevati” e trasportati. Nonostante i valori allarmanti, dal 2017 la Regione Veneto non ha effettuato ulteriori monitoraggi né intrapreso azioni risolutive per azzerare l’inquinamento e ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate all’uso potabile. Inoltre, per quanto è noto, risulta che la Regione ha finora ignorato il rischio per l’intera comunità nazionale e non solo, considerando che le acque contaminate sono usate anche per uso agricolo e alcuni degli alimenti prodotti in quella zona (radicchio, kiwi, etc) sono contaminati con valori significativi e potrebbero essere venduti anche all’estero. La Regione Veneto ha omesso i dati rilevati fino a qualche anno fa, e solo ora una sentenza li ha resi pubblici: si tratta di dati georeferenziati e mai diffusi in forma integrale dalle autorità competenti, mancanze intollerabili! Dalle elaborazioni emergono molte criticità: numerosi alimenti risultano infatti contaminati non solo per la presenza di PFOA e PFOS, ma anche per tanti altri composti di più recente applicazione industriale. Nonostante nel 2020 l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) abbia ridotto di più di quattro volte il limite massimo tollerabile di PFAS che possono essere assunti attraverso la dieta, pari a 4,4ng/kg di peso corporeo per quattro molecole (pfoa, pfos. Pfna, Pfnxs) che tradotto per noi comuni mortali sta a significare che una persona di 60kg può assumere fino a 264ng di Pfas a settimana.

Da poco a Vicenza si è conclusa la fase preliminare del procedimento che ha portato al rinvio a giudizio di 15 persone a cui sono stati contestati diversi capi d’accusa riunendo così i due filoni precedentemente distinti (quindi i reati fino al 2013 e quelli dal 2013 al 2018): si parla di disastro innominato e inquinamento delle acque oltre che di disastro ambientale e bancarotta fraudolenta. Stesso problema lo abbiamo a Spinetta Marengo (AL) con la Solvay: valori di concentrazione altissimi nelle acque superficiali, sia nei valori massimi che nei minimi, e già compromessi i sottostanti livelli intermedi e addirittura profondi. Ma qui la giustizia ancora non si muove adeguatamente. Secondo il rapporto ISPRA i siti inquinati in Italia sono più di 12.000 e di questi 58 considerati gravissimi e definiti di interesse nazionale, con il rischio per la salute di circa sei milioni di italiani; Piombino, la terra dei fuochi, Mantova, Venezia, Manfredonia, Taranto aspettano, Venafro e Termoli si interrogano.☺

 

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