La vita oltre la morte
“Quando nascono gli esseri umani piangono, quando muoiono capiscono perché”. Questo detto bulgaro, più di qualsiasi altra considerazione, può, probabilmente, rendere l’idea del concetto dell’aldilà. Il mistero della morte apre le porte a qualcosa che tutti noi abbiamo cercato, almeno una volta, di immaginare e descrivere, ed è stato sempre al centro dell’ attenzione del pensiero umano.
Questo articolo vuole essere l’ ennesima occasione per riflettere su quello che ci aspetta con la morte e farsene una ragione di vita terrena. Per meglio inquadrare la tematica, di approfondimento, inizierò la trattazione descrivendo quello che era l’atteggiamento dei popoli dinanzi al corpo di un defunto poiché da questo si comprende come, già dai tempi del paleolitico, gli uomini si rapportavano con l’aldilà. Una delle testimonianze più dense di significato è l’inumazione, pratica che consiste nell’interrare i cadaveri. La lettura di questo rito, in prima battuta e con la visione di oggi, conduce alla salvaguardia delle condizioni igienico-sanitarie, infatti, è questa una usanza tipica dei popoli stanziali mentre i popoli nomadi, per questioni più di carattere gestionale, praticavano la cremazione oppure l’esposizione del cadavere alla mercé degli avvoltoi (rapace celeste sacro). Letture più approfondite di questi due atteggiamenti, invece, mostrano quanta attenzione ci sia nel mettere il defunto nelle condizioni ottimali per la sopravvivenza ultraterrena. Infatti, la presenza di monili, di attrezzi da lavoro (anche se solo in modo rappresentativo), vivande, ecc., nel corredo funerario del defunto, avevano proprio la finalità di dotare l’individuo trapassato di strumenti utili per la vita nell’ aldilà.
Gli storici, nel cercare tracce dell’ esistenza umana, hanno rinvenuto elementi che tracciano, tra l’altro, l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla morte di un proprio simile. I reperti storici avvalorano la convinzione che qualcosa dell’individuo sopravviva oltre la morte. Infatti, se esaminiamo le testimonianze più significative, vediamo che ogni atteggiamento verso il defunto è riconducibile alla “salvaguar- dia” della vita ultraterrena.
Da tempi lontani, l’atteggiamento umano rispetto all’esistenza terrena, è stato condizionato dalla consapevolezza che dalla morte inizia un’altra vita. Una nuova esistenza che, non potendo essere corporale, consente di dedurre facilmente che l’uomo risulta costituito da due entità, una che muta (corpo) e una che permane (anima). Come già detto, il destino dell’uomo dopo la morte è stato sempre argomento angosciante, ma appagato dalla convinzione, prima ragionata e poi rivelata, che l’uomo è immortale grazie alla sua entità permanente ed immateriale che è l’anima.
Con il cristianesimo ci si rapporta con l’aldilà tenendo in debita considerazione le verità che poggiano le loro fondamenta sulla fede. Al riguardo si evidenziano: a) il giudizio particolare al momento della morte; b) la divisione tra anima e corpo fino alla parusia (nuova venuta di Cristo), con giudizio finale; c) i possibili stati “dell’anima e dell’io risuscitato” (salvezza, condanna eterna, processo di purificazione che avviene nel purgatorio). Il peccatore che esula dalla misericordia è come un naufrago che, oltre a soffrire fisicamente, soffre soprattutto per essere in balìa delle onde e della consapevolezza di non poter giungere mai alla terra ferma.
Nella lettura escatologica del Nuovo Testamento, emerge chiaramente che il Regno di Dio è vicino e nel contempo si incita il credente ad una vigilanza maggiore, “Vegliate e pregate”, per godere, nella pienezza della beatitudine celeste, la vita eterna.
L’aspirazione più profonda dell’ uomo è conseguire la felicità terrena e soprattutto ultraterrena.
Un inciso, estratto da Nostra Aetate 1 – Concilio Vaticano II -, dice: “Gli uomini attendono la risposta alle domande più profonde che, ieri come oggi, turbano profondamente il cuore dell’uomo: il senso e il fine della vita, il bene e il male, il peccato, l’origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità …” e descrive in modo eloquente le aspettative di ogni essere umano. Se l’inferno si può tradurre come l’esperienza di un rifiuto di Dio, il paradiso, viceversa, è la pienezza dell’amore di Dio e dell’unione con Lui, con visione immediata e contemplazione diretta senza i veli della fede. Le diverse religioni tendono, sostanzialmente tutte, a perseguire la felicità intesa come beatitudine e contemplazione del divino. La rivelazione, la fede, il carisma dei profeti, ecc. aiutano a non credere in quello che apparentemente e crudelmente potrebbe essere il destino dell’ essere umano: il nulla!
Buona Vita. ☺