l’altro siamo noi
31 Maggio 2010 Share

l’altro siamo noi

 

“Non amiamo l’altro in quanto immagine di Dio, ma diventiamo immagine di Dio amando l’altro”. L’altro non è facile da amare soprattutto quando lo percepiamo diverso da noi stessi ed in particolar modo quando la diversità si trasforma in distanza, lontananza. Esiste un concetto di diversità dell’altro, ma esiste una diversità da se stessi, ossia che percepiamo anche rispetto a noi stessi. Ad esempio: quando ci prefiggiamo degli obiettivi e non li raggiungiamo; quando vorremmo amare e non ci riusciamo; quando non ci riconosciamo in un gesto sbagliato, una parola esagerata, un atteggiamento dannoso, un’omissione. Noi stessi viviamo una diversità dentro di noi. Noi stessi facciamo fatica ad amarci. In noi riconosciamo a fatica ciò che invece negli altri è più evidente: un difetto, un vizio, un’inclinazione negativa. Quando riconosciamo nell’altro una sofferenza profonda è perché quella persona non si sta accettando, non riesce ad amarsi perché non accetta nel profondo qualcosa di sé. Capita spesso in un detenuto consapevole della propria colpa ed ancora non riconciliato con se stesso. Capita spesso anche a noi quando non siamo riconciliati con noi stessi. Capita, ad esempio, ad una donna vittima di abusi sessuali che si colpevolizza ed assolve il proprio violentatore, specialmente quando questi è il padre o un parente, perché sa che ammettere dentro di sé la realtà significa allontanarsi da quell’amore che in realtà è una dipendenza affettiva pericolosa e dannosa. Dovremmo amare qualcosa che non viene mai meno, che non scompare, anche se ci siamo macchiati della colpa più grave che possiamo imputare a noi stessi. Dovremmo amare la nostra “dignità umana”, nucleo di umanità.

La nostra onnidebolezza o la nostra diversità da noi stessi però non è nostra nemica. Essa è la migliore compagna se sappiamo accettarla come condizione umana ineluttabile ed ineliminabile. L’accettazione della propria debolezza è il primo passo di un percorso di cambiamento fatto di incoerenza e incongruità. Quando abbiamo paura, noi trasmettiamo paura, magari velata da rabbia, rancore. Chi vive questa situazione non solo non è prossimo verso gli altri, ma non è prossimo neanche verso se stesso. Quando la persona umana perde questo senso profondo della relazione con se stesso, uccide il prossimo perché uccide la fonte stessa della prossimità che è la dignità umana. Da qui le parole “Ama il prossimo come te stesso”. Amiamo noi stessi di un amore sano guardando la nostra fragilità, e la nostra onnidebolezza, senza scandalizzarci perché, altrimenti, allontanandola, seppellendola, non avremo neanche gli occhi limpidi per accettarla negli altri. Parlo di una accettazione che è amore, che sa guardare oltre, che sa pregustare il cambiamento, ovvero la restaurazione di una dignità umana ricostruita nell’armonia e nella pace sia interiore che con il prossimo. Abbiamo paura degli altri perché abbiamo paura di noi stessi, di quello che in realtà siamo ovvero fragili e pervasi dalla nostra onnidebolezza. Il “mondo” ci dice: “ti do il benessere”, ma tu devi essere individualista altrimenti non sarai mai ricco dei beni materiali a cui tanto ambisci”. Se cadiamo in questa trappola allora sentiamo una profonda insicurezza. E il “mondo” saprà darci ciò di cui crediamo di aver bisogno, ma a patto che allontaniamo, releghiamo, confiniamo l’altro che è un pericolo perché diverso, perché vuole il nostro lavoro, perché viene ad occupare la nostra terra. Ed allora puniamo i poveri, perché “offendono il decoro urbano”. Trasformiamo la sofferenza di chi ha sbagliato in un reato o punizione senza fine. Il viaggio più lungo che ogni persona è chiamata a fare è quello tra la sua mente ed il proprio cuore. Tra la razionalità piegata ad un benessere economico ad ogni costo ed un amore che chiede solo di “essere” e trovare una persona da amare.

Ogni volta che rinunciamo ad una relazione possibile diventiamo pieni di paura e perdiamo il coraggio di amare, di mettere la nostra vita in un sincero servizio per l’altro. Guardiamo nelle nostre famiglie: la diffidenza, il sospetto, la differenza e la diversità vissute come minaccia rendono la nostra pace familiare vacillante ed a rischio, e noi profondamente angosciati, feriti, cattivi, schiavi del rancore. Esiste un rancore personale accanto ad uno sociale che viene strumentalizzato dal potere, ma esiste anche un potere che si adegua alle nostre paure dominandoci, rendendoci passivi. ☺

adelellis@virgilio.it

 

eoc

eoc