lancia in resta
14 Aprile 2010 Share

lancia in resta

 

Saper parlare una lingua diversa dalla propria – e non è un titolo di vanto – consente di riflettere sul senso profondo delle parole,  il cui uso oggi si va modificando in “abuso”.

L’individualismo esasperato, propagandato anche dai mezzi di informazione che ci sovrastano, porta a credere che tutti siamo liberi, soprattutto liberi di esprimerci, di esprimere la propria opinione e la personale idea del mondo e delle relazioni umane. E c’è invece chi sostiene che “se i cittadini non possono informarsi adeguatamente, le loro scelte sono apparenti e non effettive, essendo sviate dalla parzialità, inesattezza o tendenziosità delle notizie che vengono loro fornite” (Gherardo Colombo, Sulle regole).

Mi soffermo perciò sul termine inglese freelance [pronuncia: frilèns]: con esso si indica genericamente il libero professionista, colui che svolge una professione autonoma e vive dei proventi derivanti dalle prestazioni che effettua. In senso storico può riferirsi anche ai soldati mercenari, quelli che in tutti i tempi hanno fatto della guerra il loro mestiere e in cambio di lauti compensi hanno combattuto su vari fronti. Freelance può essere anche una persona impegnata politicamente ma che si ritiene indipendente rispetto a partiti o schieramenti.

Il vocabolo è composto dall’aggettivo free [pronuncia: fri] (che vuol dire: libero) e dal sostantivo lance [pronuncia: lens] (che significa: lancia), sottolineando in tal modo la condizione di perfetta autonomia di chi, dell’arte che possiede, fa un uso libero e consapevole.

Molto comunemente freelance viene oggi utilizzato, in italiano, per riferirsi ad una categoria ben precisa, quella dei giornalisti. E di loro in questi ultimi tempi si sta discutendo molto.

Di stretta attualità, infatti, anche grazie alle esternazioni di qualche “comico-predicatore” (leggi Beppe Grillo) o, qui in regione, alla paventata approvazione di una legge sull’editoria molisana, torna alla ribalta il tema dell’informazione.

L’affascinante professione che ha annoverato tra le sue fila, ieri più che oggi, firme illustri accompagnate da altrettante scelte coraggiose, sembra aver rinunciato quasi definitivamente allo status di freelance, di autonomia rispetto a qualsiasi controllo, di indipendenza da poteri forti o occulti, di vera libertà di informazione.

Quest’ultima è attualmente nelle mani di pochi gruppi editoriali che controllano il mercato e di conseguenza sono i datori di lavoro dei giornalisti, i quali, a loro volta, sono molto attenti a contraccambiare la protezione e il mantenimento con l’elogio del padrone. Il distacco dalla realtà e la dipendenza personale, impedendo loro una partecipazione viva ai problemi, si traducono in sterilità creativa, in volontà di instillare quella “percezione di insicurezza… [che] incrementata e indirizzata ad arte, seleziona le notizie, alimenta la paura, enfatizza gli aspetti che maggiormente impressionano”. Per rassicurare, certo, ma non per informare.

Le prerogative, invece, del giornalista freelance sono quelle di considerare indispensabile  “l’esercizio delle capacità critiche, cioè della verifica dei fatti, delle informazioni”.

Nell’agosto del 2004 in Iraq moriva, in circostanze che ancora non sono state chiarite, Enzo Baldoni: era un giornalista freelance, un uomo che ha voluto vedere da vicino cosa significasse la guerra. Il suo “affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente” – come ha scritto in quei giorni – è stata l’unica ragione del mestiere che aveva scelto di fare, in piena libertà!  ☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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