Le api, il miele
17 Gennaio 2018
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Le api, il miele

È incredibile come un insetto possa riportare a tanti ricordi, dalle punture subìte in campagna, al cartone animato l’Ape Maia, per finire al mitico tre ruote con cui nonno mi scorrazzava sul cassone, per gioco. Poi con l’arrivo del generale inverno ed un clima più rigido, e con questo i primi raffreddamenti, l’ape porta il desiderio di utilizzare del buon miele per accompagnare il consumo di una bevanda calda o per farci dei dolci come il croccante con le mandorle e i pepatelli (stavolta il ricordo porta alla nonna).

Ora nelle nostre case difficilmente mancano un vasetto di buon miele nostrano, la propoli, il polline, la pappa reale o la crema di veleno d’api. Tutti questi, sono frutti dell’instancabile lavoro delle api, tanto importanti per la biodiversità quanto da noi trascurate.

Pensiamo a quando da “adulte”, e quindi bottinatrici, raccolgono il nettare dai fiori e lo trasportano nell’ingluvie, un “depo- sito” dell’apparato digerente, dove si mescola con un enzima che trasforma in glucosio e fruttosio il saccarosio del nettare. E già qui ci vorrebbe una standing ovation. Arrivate all’alveare, le api rigurgitano il nettare trasformato che passa di ape in ape perdendo parte dell’acqua in esso contenuto; poi viene disteso nelle cellette dove viene ventilato per far perdere l’acqua rimasta. Il miele ora è maturo e pronto per essere spostato nelle cellette e richiuso con la cera.

Pazzesco ?!? Se volete continuo dando anche dei numeri: per produrre un chilo di miele sono necessari 60.000 voli di A/R dall’arnia ai fiori, sempre per un chilo di miele le api volano per circa 150.000 Km, e in un solo giorno le api di un alveare possono visitare fino a 225.000 fiori. Incredibile, vero ?!? Noi, invece, quanta attenzione prestiamo nell’acquisto di un prodotto quale il miele? Credo non più di cinque minuti, il tempo necessario per arrivare al giusto scaffale del negozio.

Anche io conosco poco l’universo ape-miele, ma un’occasione per approfondire questa realtà l’ho avuta leggendo un articolo sul mensile Terra Nuova, “La rivoluzione dell’alveare”. Già il mondo operoso delle api mi affascinava, figurarsi poi con la rivoluzione di mezzo…

Le api appaiono sempre più indifese di fronte all’inquinamento, ai cambiamenti climatici, ai nuovi parassiti, ai trattamenti e ai ritmi produttivi. E questo riguarda tutti molto da vicino, perché questi delicati insetti sono indispensabili per l’ impollinazione e la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra.

Quindi chi sta uccidendo le api? Quali sono le cause? “Il colpevole dell’ indebolimento e della moria delle api è da ricercare sì nell’azione dell’uomo che con la sua pesante impronta ecologica inquina l’ambiente circostante con pesticidi, ma anche nella conduzione intensiva degli alveari. Pure l’arma del delitto è stata trovata: i pesticidi, in particolare i neonicotinoidi, letali per molti insetti impollinatori. Ma c’è anche l’aggravante di una riduzione della biodiversità floreale, l’industrializzazione etc.” Ma questa è un’altra storia, così direbbe il buon Carlo Lucarelli.

Torniamo un attimo al colpevole, l’uomo. Con la sua azione quotidiana (in)consapevolmente mette a repentaglio la sua stessa esistenza, oltre all’uso dei pesticidi e all’impoverimento dei suoli, applica una produzione intensiva che non fa altro che danneggiare le api. Il nomadismo esasperato delle arnie anche di centinaia di km per garantire sempre migliori fioriture, la somministrazione di sciroppi zuccherini per stimolare la regina a deporre più uova o i trattamenti antibiotici che finiscono per ridurre la vitalità e la capacità di difesa degli insetti.

Quello che accade oggi “alle api è comune anche ad altri animali. Difficilmente un orso, un leone, relegati in uno zoo riescono ad avere degli eredi. Lo stesso accade per molti altri animali allevati, … anche noi umani, sempre più concentrati nei nostri grandi allevamenti urbani, quali sono le nostre città, abbiamo un basso tasso di fertilità…

Leggo però con curiosità, che da pochi anni una novità si sta affacciando del mondo dell’apicoltura soprattutto bio, un ritorno alle origini. La permapicoltura. Un metodo che scardina ulteriormente tutti i princìpi base dell’apicoltura convenzionale, apparentemente “integralista” punta a ricreare l’habitat naturale delle api, non viene praticato il nomadismo delle arnie, non si effettuano nutrizioni zuccherine, né trattamenti contro i parassiti. L’arnia è molto diversa, è più alta, i telai sono semplici stecche sulle quali le api costruiscono i favi in modo naturale, di conseguenza la covata è più nutrita, le api più numerose, l’alveare più forte.

Viviamo in un’epoca in cui la natura non viene vista come un’entità in grado di autoregolarsi, come ha sempre fatto per millenni, quanto piuttosto qualcosa da controllare a piacimento. Chissà se questo metodo, al di là dei cambiamenti che deve apportare l’uomo al suo operato, può finalmente portare le api a rigenerarsi e a continuare il loro fantastico lavoro!☺

 

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