Le case della salute
7 Gennaio 2021
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Le case della salute

Fra i tanti dolorosi insegnamenti che l’emergenza sanitaria porta con sé e che il nostro territorio sta così duramente pagando vi è l’evidente assenza di una rete territoriale che risponda ai bisogni di una sanità che possa dirsi davvero pubblica. In Molise, e il dato è inconfutabile, manca una ‘ragnatela’ di case della salute che supportino la rete e che siano la risposta di prossimità ai bisogni di una popolazione. Questa mancanza di un’ organizzazione reticolare connessa al territorio attraverso strutture specifiche all’interno delle quali operino punti nodali capaci di cooperare tra loro per obiettivi condivisi ci rende ancora più fragili e inadeguati per affrontare la drammatica sfida che giornalmente dobbiamo affrontare.

Non è un puro caso. Non è stato il beffardo destino o la crudeltà di qualche divinità a regalarci l’attuale situazione: è stata semplicemente la scarsa lungimiranza delle scelte politiche degli ultimi lustri a garantire l’attuale stato dell’arte della sanità molisana. Si è preferito, e si continua ostinatamente a preferire la conservazione di un modello obsoleto di ospedalizzazione tout court, una vision, che neanche la pandemia è riuscita a scardinare, che si scontra tragicamente con un nuovo concetto di salute, concreto, competente e adeguato ai diversi bisogni di assistenza sanitaria. Eppure non è di fantascienza che stiamo parlando. I molteplici esempi di medicina territoriale che provengono da regioni davvero virtuose potrebbero aiutarci a ritrovare la giusta rotta per fornire quel diritto alla salute troppo spesso negato.

In questo contesto storico è la rete territoriale dell’assistenza che avrebbe potuto offrire al nostro sgangherato sistema regionale di salute quel supporto che è sempre mancato. La sua colpevole assenza ha evidenziato una carenza grave che ha effetti parimenti complicati sul diritto all’assistenza. Non si tratta di un argomento recente, a conferma di un tema avvertito dal legislatore regionale che non ha trovato attuazione completa.

Le case della salute rappresentano un punto di riferimento certo – e oggi più che mai manca proprio la certezza dell’assistenza – per l’accesso dei cittadini alle cure primarie. Un luogo in cui si realizzano l’accoglienza e l’orientamento ai servizi, che diventa snodo per la continuità nell’assistenza, la gestione delle patologie croniche ed il completamento dei principali percorsi diagnostici che non necessitano dell’assistenza ospedaliera. Di fatto, le case della salute consentono di allentare la presa sui nosocomi, che – in una concatenazione di fatti e conseguenze – diventano l’ultimo step di un percorso assistenziale che sia davvero vicino alle necessità dei pazienti. Complessità diverse, servizi adeguati e in relazione alla densità della popolazione del territorio di riferimento e della collocazione geografica. Strutture dove lavorano insieme medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, specialisti territoriali, infermieri, ostetriche, operatori sociosanitari, assistenti sociali e personale addetto al front office e che danno vita ad una vera e propria filiera della salute, garantendo di conseguenza ogni aspetto sanitario di cui il paziente ha necessità.

Ed è questo un altro concetto chiave, a mio avviso svilito da scelte spesse volte incomprensibili perché sradicate dal contesto: la centralità del paziente è un tema che non rientra nell’agenda politica regionale. Rimettiamo – ma sarebbe più giusto dire – mettiamo per la prima volta il paziente al centro della mission del servizio sanitario e consequenzialmente cambierà la prospettiva della sua vision. Guardiamo con la giusta sete di sapere alle eccellenze che hanno fatto la differenza nella gestione della pandemia.

L’Emilia Romagna è un faro della cui luce possiamo fidarci: le case della salute sono distinte a seconda dei servizi che erogano, ve ne sono di piccole (assistenza di medicina generale per 12 ore al giorno, assistenza infermieristica, consultorio di 1° livello con presenza di ostetrica, assistente sociale, ufficio di coordinamento per le cure domiciliari e sportello CUP), medie (specialistica ambulatoriale, continuità assistenziale h24, ambulatorio pediatrico, ambulatori di sanità pubblica per attività di vaccinazione e screening), grandi (tutte le attività assistenziali relative alle cure primarie, alla sanità pubblica e alla salute mentale,risposte ai bisogni sanitari e sociosanitari che non richiedono ricovero ospedaliero).

Evidenti le ricadute sul benessere, diffuso e solidale, di ogni cittadino che potrà rivolgersi alla struttura che eroga i servizi di cui ha bisogno senza passare per l’ospedale. Cittadini ai quali viene garantito quel diritto negato da lunghe attese e procedure farraginose, ai quali viene prospettato come prima ipotesi e non come ultima ratio il ricovero.

In una regione come la nostra dove il paziente vive spesso in luoghi incantevoli ma isolati, dove la viabilità è pessima, dove persino prendere un mezzo pubblico per raggiungere l’ospedale più vicino diventa una impresa – difficoltà, questa, che induce il più delle volte a rinunciare al proprio diritto alla salute – questi centri non rappresentano soltanto un luogo di riferimento al quale rivolgersi per i diversi servizi sociosanitari ma anche un luogo che garantisce sostanzialmente l’articolo 32 della Costituzione.

Il tempo è ormai scaduto: il diritto alla salute non può attendere. Non più. ☺

 

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