Le nostre armi
5 Luglio 2014 Share

Le nostre armi

Lettera aperta a quanti hanno perso il lavoro

Il lavoro è un diritto fondamentale e perciò deve essere data a tutti l’opportunità di lavorare, tanto che i padri costituenti come primo punto asseriscono: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Comprendo pertanto la tua rabbia e il senso di impotenza che attraversa la tua esistenza a causa della perdita del posto di lavoro. Vivo in una situazione privilegiata perché “un tozzo di pane non mancherà mai dalla tua tavola”, ebbe a dire il vescovo Santoro quando mi ordinò prete, ma sono pronto a condividerlo con chiunque mi onora della sua presenza e a schierarmi dalla tua parte nelle giuste e legittime rivendicazioni che intraprenderai. Così come gli impoveriti sono costretti a vendere i beni di famiglia per far fronte alla crisi, allo stesso modo vado ripetendo da anni che è tempo che le chiese si liberino di tutte le ricchezze non artistiche per far fronte alla drammatica situazione presente. Non sarà molto, ma sicuramente un segno di solidarietà nei confronti di chi è allo stremo, nello stile di papa Francesco, più ammirato che seguito quando chiede una povertà effettiva.

Scriverti che la disoccupazione ha raggiunto livelli mai visti prima, che quasi la metà dei giovani non sa che cosa sia il lavoro retribuito, che i lavoratori iscritti alle liste di mobilità aumentano in modo esponenziale, che molti, sfiduciati, non si iscrivono neppure nelle liste di disoccupazione per cercare un’opportunità, che il lavoro sommerso registra un forte incremento, certamente non può esserti di sollievo. Allo stesso modo non aiuta a risolvere il tuo problema dirti che la crisi ha segnato profondamente l’assetto economico della nostra regione, riflesso della situazione mondiale. Tutto questo però non può essere accettato fatalisticamente, deve portarci ad individuare responsabilità ed elaborare strategie atte a venirne fuori.

Se il lavoro è una dimensione fondamentale dell’esistenza (e per i credenti è partecipazione all’opera della creazione voluta da Dio), se il lavoro è per l’uomo e non viceversa, se non è né punizione né maledizione, se il lavoratore non è semplice strumento di produzione né forza lavoro, se la priorità è del lavoro non del capitale, diventa inaccettabile un sistema in cui, mentre i poveri impoveriscono sempre di più, i ricchi diventano super ricchi e va combattuto con tutti i mezzi nonviolenti a disposizione, nel rispetto della legalità, non delle leggi che i facoltosi provvedono a farsi approvare, prima che l’ira dei poveri si coalizzi e diventi rivoluzione incontrollabile. Solitamente si porta il principio del “a ciascuno il suo” per difendere le grandi e piccole proprietà, leggendolo naturalmente con gli occhi di chi ha accumulato. Proviamo a ribaltare l’angolo di visuale e metterci nei panni del povero: ci ritroveremo che lo stesso principio denuncia una situazione di profonda ingiustizia che va immediatamente rimossa. È per questo che sto dalla tua parte. Don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, negli anni ’60 aboliva la proprietà privata nelle sue comunità su questo presupposto: nasciamo tutti nudi e allora perché alcuni si ritrovano a possedere più del necessario mentre altri non hanno l’essenziale? Assistiamo passivamente, magari con invidia, a compensi esorbitanti e inverecondi di imprenditori, amministratori delegati e altri furbi che riescono a tenere il coltello dalla parte del manico. Se è vero che siamo sulla stessa barca, non è accettabile che ci sia chi si gode la vita a poppa, mentre i più arrancano nel disperato tentativo di tenerla a galla.

Per reagire significativamente abbiamo due strumenti a disposizione: il voto e lo sciopero. Il voto, spesso irresponsabilmente, lo sciupiamo legittimando affaristi, delinquenti di ogni sorta o ignavi che si guardano bene dal voler rifondare le regole del gioco in modo che si diano a tutti delle opportunità. Tutti i politici e amministratori pescati con le mani nella marmellata, e quelli che riescono ancora a nascondere il barattolo, non sono stati legittimati ad occupare quei posti dal voto popolare? Qualcuno, magari, si guasta dopo, ma i più li abbiamo scelti proprio perché erano già come la magistratura li va scoprendo. La saggezza degli antichi romani, in modo lapidario e sarcastico, diceva: i senatori sono buone persone, è il senato che è una brutta bestia!

Abbiamo un’altra grande arma democratica per attestare la sovranità popolare: lo sciopero. Quando tutto manca e i responsabili sono così irresponsabili da non voler sentire ragioni è proprio con lo sciopero, con le manifestazioni di massa che li costringeremo ad ascoltarci, a cambiare strategie, ad andare nella direzione che noi indichiamo. È necessario ritrovare compattezza, renderci conto che da soli non si va da nessuna parte, che i privilegi vanno a scapito di altre persone o categorie. Non sono gli immigrati a rubare posti di lavoro, è una cattiva politica che crea esuberi, scarti umani, che mette ai margini chi ha ancora molto da dare alla società.

Nel Molise noi stiamo scommettendo e promuovendo la Clean Economy, in modo da creare sviluppo senza fare scempio del territorio e favorire quindi la vocazione turistica. Per questo chiediamo anche una politica industriale che sappia armonizzarsi con l’ambiente. D’estate chi può va in ferie, noi rimaniamo a lottare. Caparbiamente. Con te saremo di più. ☺

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