Leggere il territorio
6 Ottobre 2016
La Fonte (351 articles)
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Leggere il territorio

Il primo passo, quello che permette di sillabare il contesto, è saper calibrare le distanze ovvero la messa a fuoco di quanto abbiamo di fronte, così come normalmente accade allorquando siamo in presenza di un normalissimo giornale, di cui, come ben sappiamo, è possibile leggere il titolo a tutta pagina, quello di spalla, i sottotitoli o i caratteri via via più piccoli adoperati per i contenuti dei singoli articoli. È lo stesso che osservare la Terra dallo spazio, da un aereo, da un elicottero, da un’altura o i pochi metri quadri che sono intorno a noi, quelli che, per così dire, possiamo toccare con mano.

Qual è, però, il grado di consapevolezza del contesto e/o dei singoli elementi presenti nello spazio che ci circonda, quello, cioè, nel quale abitualmente viviamo? Siamo in grado di distinguere la nostra posizione rispetto all’essere in corrispondenza, ad esempio, dello spartiacque tra due corsi d’acqua o nel bel mezzo del bacino idrografico di un fiume di medie o grandi dimensioni o in quello di un suo affluente più o meno importante? E, ancora, siamo capaci di valutare in quale zona di un bacino imbrifero ci troviamo ovvero nella parte alta, in quella media o in quella bassa, laddove, cioè, le acque trasportate, ormai al termine del proprio tragitto, avendo raggiunto il livello altimetrico verso cui, per gravità, tutto, prima o poi, è destinato ad approdare, stanno per riversarsi in mare?

Quando si osserva il paesaggio che ci circonda, anche un occhio non particolarmente competente è in grado di associare le pendenze mostrate dai versanti collinari e montani alla natura fisico-chimica dei materiali rocciosi di cui sono costituiti. Laddove, infatti, le forme del paesaggio risultano dolci, con rare o addirittura inesistenti sporgenze, è la presenza di terreni argillosi e/o sabbiosi ad essere prevalente. Al contrario, pareti verticali, o pressoché tali, sono il segno tangibile della presenza di materiali lapidei ovvero più consistenti e tenaci.

Altrettanto interessante è saper distinguere se una valle è il risultato dell’ azione di un corso d’acqua o del lungo lavorìo di una lingua di ghiaccio, ovvero se trattasi di una valle fluviale o glaciale. Nel primo caso si dice che la valle è a forma di V, per il fatto che l’escavazione è il risultato dell’ azione erosiva dell’acqua che, nel corso del tempo, ha approfondito il fondo valle. Diversamente, nel caso di quella glaciale, la forma è ad U ed è dovuta all’opera, continua e costante, che la lingua del ghiacciaio ha esercitato sia sul fondo che sulle pareti verticali dell’ area, laddove la presenza delle striature ad opera dei materiali trasportati contribuisce ad avvalorarne l’origine.

D’altronde, l’attenta osservazione dei materiali rocciosi, accumulati in fondovalle, permette di risalire alla loro provenienza, in quanto strettamente legata alla loro natura e alle modalità di trasporto subìte durante il tragitto. Un corso d’acqua, infatti, nel procurare il movimento, da monte a valle, di quanto è al suo interno, oltre a selezionare le dimensioni dei ciottoli, man mano decrescenti, provvede a modellarne le forme, trascinandole e/o permettendo loro di saltellare e rotolare sul fondo e a contatto con le pareti dell’alveo fluviale. Nel caso del trasporto all’interno della lingua glaciale, invece, trattandosi di massa unica e indistinta, venendo a mancare sia la selezione granulometrica, sia l’azione modellatrice, i singoli elementi, permangono, fino all’arrivo in fondo valle, così come sagomati alla partenza ovvero a spigoli vivi. ☺

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