Lettere dal carcere (III parte)
9 Marzo 2024
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Lettere dal carcere (III parte)

Si conclude qui la storia del detenuto di origini sarde e ispiratore di quelle Lettere a due professoresse, poi diventate poesie gemelle nella raccolta di Alessandro Fo, Filo spinato (Einaudi 2021) e riportate nella prima e nella seconda parte di questo piccolo ciclo (si veda la fonte di gennaio e febbraio). Il 24 ottobre 2019, pochi giorni dopo aver ottenuto il permesso di ricoverarsi in ospedale, Mario Trudu è deceduto per tumore. All’amarezza che la notizia ha suscitato nei volontari che l’hanno conosciuto danno ancora voce, nella loro pungente ironia, soprattutto i versi finali di questa poesia.
Laura de Noves

Finalmente

… ma troppo tardi. Così Trudu è passato
da quarant’anni al buio di una cella
ai domiciliari in ospedale
che era ormai in fin di vita.

La natura, amava, e la Sardegna.
‘Dentro’ per un delitto non commesso,
fuggì, deciso a delinquere adesso,
visto che aveva (disse) già pagato.
Errore che non gli lasciò più scampo.

«A un colloquio, dopo il primo arresto,
“quando ti abbiamo io e tuo padre creato,
purtroppo, Mario, – mi disse mia madre –,
con la sventura ti abbiamo impastato”».

La prima notte di cella in Toscana
restò alle sbarre alla finestra, in piedi
sul tavolino, a sentire la campagna.

L’ultimo saluto gliel’ha dato
il cappellano del carcere, in reparto.
Non poteva parlare, era intubato.
È stato l’apparecchio a registrare
la commozione. Una traccia di lacrime.

E chissà come siamo sollevati
ora che, tenuto tanto al largo
dall’umano consorzio, finalmente
il pernicioso Mario Trudu è morto,
e ce lo siamo levato di torno.

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