Vivere, anche feriti
12 Luglio 2023
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Vivere, anche feriti

Molti sono in Italia i poeti appartati, che magari coltivano per mestiere altri campi della letteratura, ma nutrono una segreta passione per i versi, nei quali ottengono risultati eccellenti, che tuttavia non li spingono a sgomitare, come molti loro ‘concorrenti’, per ottenere pubblicazioni, visibilità, recensioni, premi… Una di questi è stata Silvia Rizzo (1946-2022), già insigne professoressa di Filologia Medioevale e Umanistica alla «Sapienza» di Roma, cui nel maggio di quest’anno l’Accademia dell’ Arcadia ha dedicato un convegno celebrativo. Poco prima di raggiungere l’età del pensionamento si è ritirata nelle campagne di Campiglia d’Orcia a condurre una vita a contatto con la natura, con una rosa di amati animali, e di ancora più amati libri – e a dedicarsi a leggere e scrivere (sono appena usciti, postumi, per Edizioni di Storia e Letteratura, i suoi racconti Storie di Val d’Orcia). Le poche, splendide poesie che ha pubblicato – privilegiando appunto i temi naturali, e quelli ‘di sempre’ degli affetti e dei libri, nei versi della nostra più alta tradizione (endecasillabi e settenari) – sono affidati all’ esile raccolta Orchidee dell’Amiata (Edizioni di Storia e Letteratura, 2015). La sensibilità che vi si dispiega è bene illustrata da Il ginepro schiantato. Può capitare, passeggiando su una spiaggia ancora selvaggia, di incontrare un albero travolto dalle furie dei venti, che tuttavia ‘si abbarbica’ alla vita, ostinatamente resistendo. Dopo averne descritta la condizione, Silvia Rizzo così chiude la poesia:

Contorto e scabro il tronco ora discende
serpendo fra le pietre fino al mare;
verdeggia ancora e spinge verso il cielo
i nuovi rami rosi dal salmastro.
Pensosa lo contemplo
leggendo nelle forme la sua vita.
Vorrei sapere anch’io come quest’albero
trasformare in bellezza una ferita.

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