l’indifferenza
2 Febbraio 2011 Share

l’indifferenza

 

Brutta bestia l’indifferenza! Quando arriva a impossessarsi di te non te ne liberi più. Cominci a pensare, parlare e agire in conformità dei riti collettivi di una pubblica opinione che riduce il sentimento alla dimensione dell’immediato. Ti importa poco che il conflitto politico metta in ombra il bene comune; né ti scuotono più di tanto i morti sul lavoro, né i malati terminali; non ti suscita commozione il vecchio; non ti interessa che le imprese ricattino i lavoratori col miraggio della novità che maschera l’ingranaggio di una sincronizzata routine; non ti preoccupa che la scuola abdichi non solo all’educazione ma anche all’istruzione.

A meno che dal palcoscenico televisivo non siano veicolati la lacrima, lo sdegno, la condanna. È allora che esci dalla tua apnea emozionale e ti senti catapultato nel mondo delle passioni sopite. E ti sembra di far parte di una umanità vera. Ma quando si spengono le luci dello scenario virtuale torni alla tua immaginazione frustrata. La spontaneità e la schiettezza, sfiorate solo per un attimo, lasciano il posto al macigno della noia e alla speranza delusa.

Ti rifugi allora nell’ipocrisia delle buon maniere, tanto più affettate quanto insincere. E ti consoli del fatto di vivere, purtroppo, nel tempo dell’anonimato, laddove ognuno vale per ciò che produce e non per ciò che rappresenta. A rassicurarti è la convinzione di appartenere al tempo della frammentarietà, entro il quale si fa fatica a riconoscersi in una identità unitaria e si preferisce perdersi dietro esperienze diverse; ti reca sollievo il fatto di non essere l’unico, nell’epoca della comunicazione di massa, a sperimentare paradossalmente l’incomunicabilità dei linguaggi; ti senti giustificato dall’individualismo dilagante: tutti più isolati, tutti più egoisticamente orientati, tutti più timorosi gli uni degli altri, in virtù di un terrorismo più mediatico che reale; ti conforta che altri come te percepiscano sempre più disorientamento e insicurezza.

E quando più non speri che il cuore ti rimandi l’eco del proprio grido, e ti chieda di ricercare un senso, di sfuggire alla paralisi dell’azione, alla forzata assenza di gravità in cui sei piombato e ti ordini di ricollocarti nel produttivo “darsi da fare”, si rivelerà di straordinaria attualità ciò che Antonio Gramsci scrisse nel febbraio del 1917. “L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti… non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare… Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo?Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano”.

annama.mastropietro@tiscali.it

 

 

 

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