lo stereo acceso
2 Febbraio 2011 Share

lo stereo acceso

 

Tre anni fa, un sabato scolastico come tanti, ultima ora di lezione, quando la felicità dei ragazzi è tutto un sussulto di risatine a stento soffocate e a mala pena i corpi si trattengono ai banchi, la luce opalina dell’inverno prossimo alla fine, e una voce squillante: “Prof.! Meno male! Domani è domenica: mi alzo con calma, accendo lo stereo e via con le pulizie!”.

Sorrido, perché queste gioie minime ma essenziali non tutti sappiamo confessarle, e mi colpisce la schietta ingenuità di un programma semplice e perciò bello; penso: “Vedi la musica! Che il piccolo usuale inferno delle pulizie di casa può trasformartelo in un paradiso…”.

Racconta il mito che Orfeo, musico e cantore della Tracia, avesse persuaso le divinità infere a fargli varcare la soglia dell’Averno, per andare a riprendersi la sposa Euridice, uccisa dal morso di un serpente. La missione ebbe esito tragico, perché, avendo Orfeo infranto il misterioso divieto che gli imponeva di non volgere lo sguardo verso la donna finché ella non fosse uscita dall’Averno, la grazia appena ottenuta fu vanificata ed Euridice rifluì, questa volta definitivamente, nell’abisso; importa, però, che proprio le parole in musica di Orfeo, il suo canto, gli avessero guadagnato l’eccezionale consenso delle terribili divinità averne: narra Ovidio che allora per la prima volta si inumidirono di lacrime le guance delle Furie vendicative e che addirittura Ade e la sua sposa Proserpina, commossi, non resistettero alle suppliche di Orfeo.

Del potere della musica e del canto ognuno di noi fa prova nella consuetudine del quotidiano e nelle occasioni emotive speciali; sempre la musica e il canto ci permettono di entrare in più stretto contatto con noi stessi, col nostro animo, elaborazioni, desideri, frustrazioni (la musica non è un’arte ma una categoria dello spirito umano, scriveva Nietzsche): se le nostre emozioni sono forti è nella musica che ne conosciamo la grandiosità; se ordinarie, la musica quasi ci illumina sulla grazia dell’ordinario, ci aiuta a gustarlo; se ci affligge la noia, il più spaventoso dei mali dell’animo, anche allora la musica ci viene in soccorso, ci fa sentire che possiamo sentire; in ogni caso la musica ci apre una porta sullo spazio interminato dell’infinito, oltre la siepe dell’angusto reale.

Nel nome stesso la musica porta il destino di consuntivo della bellezza: è il terreno in cui interagiscono le manifestazioni artistiche tutelate dalle Muse tutte e i Greci, che tanto amarono la musica da affidarle il comitato della poesia e, nelle tragedie, l’espressione in canto delle riflessioni più problematiche relative all’essenza della vita, hanno speso per la musica molta parte della loro speculazione filosofica: Aristotele, Platone (bellissime le sue parole sulla musica: …la musica è una luce morale. Essa dona un’anima ai nostri cuori, delle ali ai pensieri, uno sviluppo all’immaginazione. Essa è un carme alla tristezza, alla gaiezza, alla vita…), e prima di loro Pitagora, che vedeva nella musica il riflesso diretto delle armonie celesti (qui mi viene in mente – sembra uno scherzo – Jovanotti che balza e canta… e la musica, la musica riempie riempie il cielo…).

Non voglio questionare di musica alta e bassa né sono convinta che dalle distinzioni di genere musicale si possa dedurre un loro diverso merito rispetto al potenziale emozionale: a parte il fatto che notoriamente sui gusti poco si discute, c’è anche che la percezione e la fruizione della musica sono un portato culturale, ambientale, anagrafico: io mai mi sottoporrei al massacro di un  concerto per archi e percussioni in stile giapponese, del quale forse un mio coetaneo nipponico gode immensamente; magari – vai a capire!- Fabri Fibra parla ad un quindicenne come ad un cinquantenne Fabrizio de Andrè; si dà il caso che un neomelodico napoletano suoni per Tizio come una sonata di Chopin  per Caio. Il trait d’union sentimentale, oltre ogni differenza, è pur sempre la musica.

A me la musica e il canto piacciono, molto, mi caricano o mi distendono, mi fanno piangere e ridere, alla bisogna, mi fanno pensare, mi fanno – Deo gratias – fermare; la mia è una discoteca disorganica e caotica, tale la padrona: ci sono le recidive periodiche, dai concerti di Brandeburgo di Bach, alle Sonate per pianoforte di Mozart, all’Incompiuta di Schubert, alla Pastorale di Beethoven, a de André in tutte le salse, e Springsteen altrettale; poi gli occasionali, e perciò sempre graditissimi, da Fossati a Vivaldi a Steve Wonder; e le arie della lirica, da Don Giovanni a Traviata; finanche Vasco, cum grano salis, e Max Gazé e Fiorella Mannoia e le novità che scopro di volta in volta grazie alla  mia amica radio, felice quando mi pare di potere apprezzare in un brano musicale  una bellezza inusitata.

Ho letto con dispiacere che il futuro del  Conservatorio “Perosi” di Campobasso traballa, causa le disposizioni contenute in materia nella Legge Finanziaria Regionale; lo stesso maestro Franz Albanese, storico direttore dell'Istituzione di alta formazione e direttore dell'Orchestra Sinfonica Regionale, in una lettera inviata al presidente Iorio ed ai vertici della politica regionale, ha messo in guardia dai rischi che le decisioni del Consiglio possano ripercuotersi sulla realtà del "Perosi", che tanto ha contribuito alla crescita musicale della nostra regione. 

Il genio linguistico dei toscani, abbondantemente documentato, dalla Divina Commedia a Pinocchio, ha prodotto una chicca misconosciuta, un vecchio detto popolare: Senza lìlleri non si làllera. I lìlleri sono i quattrini (chissà, forse da tallero?) e il verbo lallelare significa godersela, spassarsela cantando distrattamente e senza pensieri.

Mai onomatopea fu più sonante… e più azzeccata. ☺

LucianaZingaro@libero.it

 

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