lo stoppione   di Gildo Giannotti
29 Aprile 2013 Share

lo stoppione di Gildo Giannotti

 

  In piena estate può capitare, passeggiando al margine dei campi, di essere avvolti da un dolce profumo di miele: vicino a noi stanno fiorendo degli stoppioni che attirano le api sulle loro infiorescenze color porpora.

Lo stoppione (Cirsium arvense L.), noto anche col nome di scardaccione, appartiene alla famiglia delle Composite spinose e per questo viene spesso accomunato ai “cardi”. Il nome del genere (Cirsium) deriva dalla parola greca kirsós = “varice”; da questa deriva il vocabolo kírsion, citato da Dioscoride per la cura delle varici.

La pianta è un’infestante diffusa in tutto l’emisfero settentrionale. È una specie che si trova in tutti i tipi di terreno, ma predilige quelli fertili, freschi e profondi. È presente negli incolti, spesso però infestando le colture arboree (frutteti, oliveti e vigneti) e quelle erbacee quali frumento, mais, ecc. Inoltre, è in grado di emettere dalle radici sostanze tossiche che impediscono tutto intorno lo sviluppo di altre specie di piante. Si riproduce sia attraverso i semi, che vengono trasportati dal vento anche a notevoli distanze dalla pianta madre, sia per via vegetativa mediante ricaccio dell’apparato radicale. I rizomi sono anzi il mezzo normale di moltiplicazione del Cirsium all’interno di un campo. Essi sono pluriennali, per cui la presenza di queste parti che sopravvivono all’inverno causerà, l’anno successivo, una infestazione veramente grave. Sono utili quindi lavorazioni profonde per estirpare questi organi sotterranei dello stoppione evitando di frammentarli e lasciarli sul posto. L’adozione della tecnica della falsa semina (vedi l’articolo “La senape selvatica” sul n. 3 del mese di marzo de la fonte) risulta il metodo di lotta preventivo più efficace contro questa infestante. Ma in commercio sono reperibili diversi principi attivi diserbanti utilizzabili nelle colture infestate da questa malerba.

Nel nostro dialetto lo stoppione è conosciuto col nome di ’u r’st’cchióne e questo termine viene spesso utilizzato per indicare una persona alta e magra. Curioso è invece il termine metaforico col quale viene indicato nel dialetto di Santa Croce di Magliano: ’u vasciamane, “il baciamano”, con riferimento ai margini fogliari molto spinosi.

Nella medicina popolare le foglie di questa pianta, sotto forma di impiastro, vengono usate per attenuare i dolori dovuti all’infiammazione delle articolazioni. Nelle dispepsie fa bene bere 1-2 tazze di decotto delle sue radici al giorno, dopo i pasti. Il succo del fusto della pianta cura i gonfiori dovuti alle punture degli insetti.

I rizomi crudi sono eduli quando sono giovani e teneri e possiedono un gusto né salato né dolce. I semi, invece, contengono degli alcaloidi tossici. I fiori secchi degli stoppioni (come del resto anche quelli dei cardi) venivano utilizzati un tempo in Francia per far cagliare il latte. In alcune zone vengono usati, per scopi alimentari, anche i fiori, le foglie e le radici. Il capolino cotto ha un gusto che ricorda un po’ il carciofo. I giovani steli possono essere mangiati cotti dopo una bagna di 24 ore nell’acqua salata, ma vanno privati delle spine.☺

giannotti.gildo@gmail.com

 

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