Un tipico legume primaverile
11 Aprile 2019
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Un tipico legume primaverile

“Che cce megname?”. “Fafe, se zze còc’ne!”, è una battuta scherzosa rimasta nel nostro dialetto dai tempi in cui il cibo scarseggiava. Le fave infatti, note fin dall’età del bronzo grazie alle loro proprietà nutrizionali, hanno da sempre rappresentato uno dei principali alimenti, in particolare per le popolazioni delle regioni del Sud Italia.

Molto conosciuta e apprezzata, come dicevamo, nell’ antichità, era tuttavia circondata da una macabra fama. Si riteneva infatti che Cerere avesse donato a una città dell’ Arcadia i semi di tutti i legumi tranne quelli delle fave, che, secondo una superstizione, erano legate alle anime dei morti, per via dei fiori macchiati di nero. Gli scrittori antichi, da Aristotele ai latini, concordano poi nell’ affermare che il filosofo Pitagora vietava ai suoi discepoli il mangiare le fave, ma dissentono nello spiegare le ragioni del divieto. Durante le feste dedicate alla dea Flora, protettrice della natura che germoglia, i Romani gettavano le fave sulla folla in segno di buon augurio, ma, una volta conclusi i festeggiamenti, questo legume tornava a essere ritenuto impuro, in quanto entrava come cibo per i defunti nel pasto consumato dopo le cerimonie funebri e durante i Lemuria, una festività in cui si commemoravano i morti.

La pianta, appartenente alla famiglia delle Leguminose, è classificata come Vicia faba. Il primo dei due termini deriva dal verbo vincio = “legare”, con riferimento ai viticci o cirri molto sviluppati nel pisello, nella veccia e qualche volta presenti nelle foglie inferiori della fava.

La fava possiede un apparato radicale provvisto di numerosi tubercoli che ospitano specifici batteri azotofissatori, chiamati così perché catturano l’azoto atmosferico, componente dell’aria per il 78%, lo mettono a disposizione della pianta e, contemporaneamente, arricchiscono anche il terreno, a beneficio della coltura che seguirà nell’anno successivo. Per questo la fava viene utilizzata come coltura miglioratrice tra due frumenti. La fava è un legume vigoroso che fornisce un’altissima resa in rapporto alle scarse cure di cui abbisogna. Dopo aver preparato e affinato il terreno, prima dell’arrivo dell’inverno, si effettua la semina a righe su vaste superfici oppure a buchette in piccoli appezzamenti e negli orti familiari, in modo da avere 8-10 piante/mq. La raccolta avviene circa 180 giorni dopo la semina. Non è necessario distribuire un concime azotato visto che, come abbiamo detto sopra, le leguminose utilizzano l’azoto dell’aria, e pertanto è sufficiente solo un concime fosfatico.

Esiste poi un’altra pratica agronomica che utilizza le piante delle fave, ma anche altre leguminose come lupino, veccia e pisello da foraggio, seminate in particolare tra i filari di colture arboree come vigneti e oliveti. Adottata fin da tempi antichissimi e conosciuta col nome di sovescio, consiste nell’interrare le piante ancora verdi allo scopo di arricchire il terreno di sostanza organica e di azoto. Il periodo migliore per questa operazione di interramento coincide con l’epoca della fioritura, quando la pianta è allo stadio di piena vegetazione.

Le principali varietà, distinte in base alla dimensione del frutto, che botanicamente si definisce un baccello, sono:

– Vicia faba minor, detta comunemente favino, utilizzata prevalentemente nell’alimentazione del bestiame;

– Vicia faba maior, dai semi grossi e il baccello lungo 15-25 cm, pendulo e di forma appiattita, che contiene 5-10 semi. Appartengono a questa varietà tutte le cultivar da consumo fresco, come ad esempio la Superaguadulce, detta nel nostro dialetto marev’llane.

Stando ad una credenza popolare diffusa in Italia, se all’interno di un baccello di fava si trovano sette semi, si avrà un periodo di grande fortuna.

Siamo ormai in primavera ed è possibile mangiare fave crude fresche. Grazie ai pochi grassi e alle scarse calorie, esse costituiscono un alimento ideale nelle diete ipocaloriche. I semi, una volta essiccati, possono essere consumati per tutto l’anno. Le persone meno giovani ricorderanno sicuramente ’i fafe cótte ’ngr’pp’late, fave lesse non ancora completamente secche. E chi non approfitterebbe di uno spuntino con le fave e il pecorino freschi? Ma tra le migliori ricette con le fave spiccano gli abbinamenti di questo legume con carciofi, con mezze maniche e pecorino, oppure all’interno di frittate. Ottimo anche il risotto con seppie e fave. Molto saporite sono poi le fave cotte con la cotica del maiale, che ci richiamano alla mente un altro detto popolare: fafe c’a cod’che e cice c’u laure.

Le fave hanno proprietà diuretiche ed energizzanti, e sono ricche di fibre vegetali e proteine. L’apporto calorico di 100g di fave fresche è di 71 Kcal mentre quelle secche, per la stessa quantità, sviluppano 305 Kcal. Pare che le fibre alimentari siano utili a ridurre il tasso di colesterolo cattivo nel sangue; la presenza di fibre nelle fave le rende dunque un alimento protettivo nei confronti delle patologie cardiovascolari.

Ci sono tuttavia controindicazioni da non dimenticare: è frequente infatti notare la scritta “Vendita di fave fresche” negli ingressi dei supermercati. Si tratta di un avvertimento a quei clienti che soffrono di favismo, una patologia ereditaria determinata dall’assenza di un enzima necessario a neutralizzare gli effetti nocivi di alcune sostanze tossiche presenti nelle fave. Chi ne è affetto non può mangiarle; in alcuni casi è pericolosa anche la semplice inalazione dei pollini. Questi legumi possono inoltre causare l’eritema gigante, una reazione cutanea simile all’orticaria, la stessa che si riscontra anche dopo contatto con l’avena e che richiama alla mente ’u r’vende: un’irritazione talmente fastidiosa che, con tono minaccioso, rivolgendosi a qualche nemico, alla fine di una discussione si diceva: te facce pessà ’u r’vende!

E, per concludere, altre due espressioni tipiche: vaje fecenne fafe fafe, quando le gambe non ti reggono per la stanchezza, e, sperando di non avervi annoiati, uffafe!!!

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