Lotta necessaria
3 Giugno 2015 Share

Lotta necessaria

Mentre Renzi “fa lezione” agli insegnanti su “La Buona Scuola” (con lavagna e gessetto, commentabile?), e mentre attendiamo gli sviluppi della mobilitazione di massa che il 5 maggio scorso ha portato centinaia di migliaia di insegnanti in piazza, per protestare contro il DDL del governo sulla riforma della scuola, proviamo a fare il punto sui motivi del grande sciopero unitario, che – si ipotizza – potrebbe proseguire idealmente nel blocco degli scrutini: uno strumento che, lungi dal danneggiare gli studenti (come qualcuno, nascondendosi dietro ad un dito, dice) è uno dei pochi mezzi efficaci di pressione che il corpo insegnante può utilizzare per farsi ascoltare.

Il Governo ha scelto la strada del disegno di legge (DDL) per intervenire sulla scuola, come sappiamo, ma molte misure andrebbero espunte dal testo per essere trattate con strumenti adeguati e nelle sedi appropriate. Il piano delle assunzioni, prima di tutto, per il quale occorrerebbe un provvedimento d’urgenza per garantire le 150.000 assunzioni promesse fin dall’inizio del prossimo anno scolastico, e ora già scese a 100.000. “Nelle promesse dovrebbero cancellare il precariato della scuola, ma la proposta governativa non dà le risposte attese sul precariato”, spiega Massimo Di Menna, della Uil scuola. “Ci sono insegnanti precari che hanno superato prove e corsi a pagamento per l’abilitazione e che insegnano da anni, per i quali è previsto il licenziamento”, dice Di Menna. Si tratta di 166mila abilitati che non sono iscritti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento, perché bloccate nel 2007, e resteranno fuori dalle assunzioni programmate.

Assunzioni a parte, preoccupa anche il fatto che numerose materie contrattuali – distribuzione del salario, carriera e valorizzazione professionale, mobilità del personale, sostituzione dei colleghi assenti, superamento dell’anno di prova – sono state tolte alla discussione con le parti negoziali, ad un patto di regole condivise e dunque al contratto nazionale, che dovrebbe disciplinarle. La decontrattualizzazione di questi aspetti è in effetti uno degli aspetti più negativi di tutto l’impianto di questo DDL.

Inoltre, la discrezionalità affidata ai dirigenti scolastici, nella valutazione e chiamata dei docenti, così come nella distribuzione del salario, è una scelta autoritaria che contraddice basilari principi di trasparenza, di democrazia. Il dirigente (“sceriffo”, come da più parti viene chiamato) avrà fidati esecutori e controllori, chiamati ‘mentor’ (due per scuola), scelti solo fra chi sarà risultato ‘meritevole’ per tre volte consecutive (ottenendo la ‘elargizione’ del bonus per ben 9 anni). I ‘mentor’ saranno dunque al massimo il 10% della categoria, matureranno una “indennità di posizione” e saranno gli unici ad incrementare minimamente lo stipendio base.

E noi tutti? Ci saranno crediti didattici, formativi, professionali che confluiranno nel portfolio del docente, “vagliato” discrezionalmente dal DS, ‘sentiti’ il Collegio Docenti ed il Consiglio di Istituto. Il Dirigente potrà anche licenziare, in caso di valutazione negativa. Per premiare invece i “meritevoli”, vengono stanziati 200 milioni, mentre il budget di scuola (in media 25-30 mila euro) sarà gestito direttamente dal Dirigente (“sentito il Consiglio di Istituto”, dice il ddl) e non sarà più materia di contrattazione con le RSU.

E la titolarità territoriale che sostituirebbe quella sulla propria cattedra nel proprio istituto? Quelle di quest’anno sono state le ultime domande di trasferimento libere. I neo-assunti finiranno tutti in un ‘ruolo’ regionale, all’interno del quale potranno scegliere solo un ambito territoriale, inseriti in un albo territoriale (come gli insegnanti di religione, che operano nei limiti di una diocesi). Dovranno quindi fare la ‘questua’ dai dirigenti scolastici di quell’ambito per ottenere il posto in un istituto: quest’incarico avrà durata triennale che, se non riconfermato, obbligherà al ritorno nel ‘limbo’ territoriale. Chi non verrà ‘scelto’ rimarrà a disposizione sull’intero territorio a fare solo supplenze e sostituzioni. Chi è già di ruolo, pur conservando il posto attuale, verrà inserito comunque nell’albo territoriale, ma se dovrà chiedere trasferimento o risulterà perdente posto, sarà obbligato a fare la stessa trafila dei neo-assunti. Ogni dirigente avrà mano totalmente libera nello scegliere fra docenti ed ata le persone di sua fiducia, premiandole o penalizzandole come meglio crede. Tutti i docenti, per trasferimento o perdita di posto, perderanno la titolarità sul proprio istituto: con l’‘organico funzionale’ ognuno diventerà titolare “in una rete di scuole” ed inserito in un ‘albo’, dal quale i dirigenti pescheranno il loro ‘team’. Se necessario, potranno venire obbligati a sostituire gli assenti anche in scuole diverse. Il dirigente chiamerà nella propria scuola i docenti che vuole, scegliendoli dal Registro senza vincolo alcuno di graduatoria o di diritti acquisiti.

L’introduzione di tale organico funzionale pluriennale, al di là di tutti questi dettagli, andrebbe finalizzato a potenziare l’offerta formativa, non semplicemente a ridurre le supplenze.

E, infine, uno sguardo preoccupato ai meccanismi ipotizzati di finanziamento: il governo ha infatti previsto per tutte le scuole, statali e paritarie, nuove forme di contributi esterni, il 5 per mille dalle dichiarazioni dei redditi a favore delle scuole frequentate dai figli; elargizioni in denaro da parte di privati cittadini e, solo per le paritarie, la detrazione fiscale fino a 400 euro all’anno per le spese sostenute per le rette. Misure che – contestano i sindacati – rischiano di accentuare i divari tra gli istituti frequentati dai figli dei professionisti e quelli delle aree a rischio. Ma insomma, quale buona scuola? La realtà della scuola, quella vera, è diversa e lontana anni luce da quanto il Governo dipinge, è quella di personale malpagato e umiliato, di scuole che cadono a pezzi, di risorse che mancano, di dispersione scolastica in aumento, di precarietà dilagante, di ragazze e ragazzi in difficoltà perché manca una legge sul diritto allo studio. Il disegno di legge non solo non risolve queste questioni ma non rinnova i contratti, concede pochi spiccioli a pochi docenti, non cancella la precarietà, mette in discussione la libertà dell’insegnamento, ignora il personale ATA e rende sudditi i docenti. Il suo modello di scuola è autoritario e ingiusto per chi nella scuola lavora, per i precari e per gli studenti. E queste sono le vere ragioni che hanno portato l’80% del personale a scioperare e a partecipare in massa alle manifestazioni, il 5 maggio scorso.

Vengono allora facilmente in mente le parole di Tullio De Mauro, che lasciamo qui come spunto di riflessione, dopo i dati. Perché la scuola è irriformabile? Gli è stato chiesto di recente. «Non si è mai riuscita a riformare perché la classe politica, imprenditoriale ha sempre nutrito una diffidenza verso l’istruzione. Queste classi non amano la crescita del livello d’istruzione”. Ecco, su questo bisognerebbe aprire gli occhi per capire che forse va alzata anche l’asticella della lotta. L’importante è che non si fermi qui.