l’unica ruta che ci piace
15 Aprile 2010 Share

l’unica ruta che ci piace

 

Dalla ruta prende il nome l’intera famiglia delle Rutacee, alla quale appartengono tutte le specie degli agrumi, tipiche delle regioni calde, generalmente legnose e dotate di odori aromatici penetranti.

             La ruta è un suffrutice, cioè una pianta che ha le parti basali legnose e quelle superiori erbacee. Ha foglie punteggiate per le presenza di ghiandole oleifere e fiori piccoli, gialli, riuniti in infiorescenze terminali, che presentano un curioso e caratteristico meccanismo di impollinazione: lo stimma, l’organo femminile del fiore, è nascosto sotto una prominenza cosparsa di nettare. Tutt’intorno alla prominenza sono inseriti gli stami, gli organi maschili, che maturano uno alla volta curvandosi sopra alla stessa prominenza, affinché un insetto, nel succhiare il nettare, possa caricarsi di polline. Esaurito il polline, lo stame avvizzisce per cedere il posto ad un altro che nel frattempo è maturato e così via: il gioco si ripete per tutti gli altri stami. Infine la prominenza centrale si apre liberando lo stimma che potrà essere così pollinizzato da un insetto proveniente da un altro fiore. È questo uno stratagemma della natura per impedire la autofecondazione che porterebbe alla degenerazione della specie.

Spontanea nei luoghi aridi e calcarei della regione mediterranea, predilige gli ambienti sassosi, le rupi con vegetazione rada; spesso la vediamo anche sui muraglioni. Non è molto diffusa ma la si trova qua e là piuttosto sporadicamente.

Può essere coltivata in vaso o in giardino e, specialmente se potata, forma densi cespugli di un delicato colore ceruleo, tra il celeste e il viola. Si tratta di un particolare interessante per chi vuole un giardino ricco di sfumature di colore, ma anche per chi vuole tenere lontane le vipere, come chiarito sotto. La varietà selezionata dai vivaisti con la caratteristica del fogliame dai toni grigio-blu molto accentuati è la jackman’s blue. In terrazza, poi, anche in un piccolo vaso, la ruta sarà una pianta di facile coltura e di soddisfazione.

A chi volesse ritrovare un sentore di tempo andato, un vaso di ruta posto sul davanzale e infiocchettato di rosso ricorderà invece antichi usi contadini contro il malocchio e altre credenze popolari. Oggi si parla poco di ruta, ma una volta era molto stimata, al punto da avere una reputazione magica: pare che liberasse dagli spiriti maligni e dal diavolo. I Druidi e i Sassoni, la consideravano una pianta sacra e la spargevano nella case e nei luoghi pubblici. Nel campo della superstizione popolare, ’a rúte è ritenuta tuttora una pianta magica: così, mentre nell’Italia meridionale le madri ne appendono mazzetti al collo dei figlioletti per preservarli dal malocchio, nell’Italia del nord, fino a qualche tempo fa, lo sposo ne teneva un mazzetto in tasca il giorno delle nozze per scacciare le invidie. Secondo un’altra credenza, il futuro marito poteva apparire in sogno a una giovane se metteva sul guanciale un rametto di ruta.

Nell’Odissea si narra che Mercurio munì Ulisse di ruta per vincere i veleni che Circe gli avrebbe istillato nel corpo e nella mente. Questa leggenda consolida un’altra antica tradizione sulle virtù della pianta. Era stato osservato che la pianta veniva mangiata dalle donnole prima di andare a caccia di serpenti. Divenne, per tal motivo, uno dei principali ingredienti dell’«antiveleno», molto usato dai Greci e dai Romani quando temevano un avvelenamento da parte di chi si voleva liberare di un nemico, di un concorrente, di un marito o di una moglie. Tuttavia già Ippocrate e Teofrasto, vissuti rispettivamente nel IV e V secolo prima di Cristo, conoscevano le virtù della ruta a cui attribuivano i meriti di calmare gli attacchi epilettici e di rinforzare la vista. Ma anche Plinio, Columella, Varrone, Cicerone ne ricordano i pregi; Apicio la cita addirittura come ingrediente in alcune ricette di salse, antipasti, pesci, carni e piatti misti. A partire dal Medioevo, invece, artisti, scultori ed artigiani ne usavano il decotto, oppure una soluzione leggera, per rafforzare la vista facendo dei lavaggi oftalmici. La Scuola Medica Salernitana, infatti, così affermava: Giova la ruta agli occhi, fa la vista assai acuta, e scaccia la caligine.

Se il seme della ruta bevuto con vino era un antidoto contro i veleni, le parti verdi, cotte nell’olio e ingerite, ammazzavano i vermi parassiti intestinali. Nelle nostre zone, molto più semplicemente ci facevano annusare con un respiro profondo un ramoscello di ruta per combattere ’a v’rm’nare: è dunque un efficace vermifugo. Ma veniva prescritta anche contro le sciatiche, nelle infiammazioni polmonari, per alleviare i dolori reumatici. La medicina moderna ha riconosciuto le proprietà antielmintiche, antispasmodiche e sudorifere di questa pianta. In particolare la ruta contiene la «rutina», un glucoside parente dei flavoni e quindi della vitamina P. Per questo alcuni operatori americani la ritengono utile nella cura delle ipertensioni e nelle fragilità vasali. Contiene poi un olio essenziale di odore acutissimo, piuttosto sgradevole, che, assieme alla rutina, altro principio attivo, le conferisce le proprietà terapeutiche suddette. Il nome scientifico, Ruta graveolens L., che deriva dal greco rhyte (pianta aromatica amara) per quanto riguarda il genere, e dal latino graveolens (puzzolente, nel senso di “forte odore”) per quanto riguarda la specie, vuole proprio sottolineare l’odore sgradevole della ruta. La rutina si comporta anche da moderatore dei fattori negativi dall’ingestione di alcol; di qui l’uso di infonderla in liquoreria specialmente in acqueviti e grappe.

Grappa

Porre in un litro di grappa tre bei rametti di ruta. Esporre al sole per due settimane scuotendo il vaso tutti i giorni. Filtrare. Lasciar stagionare alcuni mesi prima di iniziarne il consumo.

Infuso

6-7 foglie in mezzo litro di acqua per risolvere disturbi dovuti a spasmi intestinali.

N.B. Pur essendo considerata un’erba santa per le sue proprietà medicinali e pur essendo usata nel Meridione per “fatture” guaritrici, dato che la ruta «sette mali stuta», è una pianta da utilizzare con estrema cautela e a dosi minimali: talora è sufficiente il solo contatto con la pelle durante la raccolta per scatenare numerose dermatiti.

giannotti.gildo@gmail.com

 

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