malato muto o medico sordo?
18 Aprile 2010 Share

malato muto o medico sordo?

 

«Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: "È stato concepito un uomo!"…E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? Perché due ginocchia mi hanno accolto,  e perché due mammelle, per allattarmi? Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace» (Giobbe 3, 3. 11-13).

Si dibatte sul o del malato, della malattia, delle terapie, dei poteri da esercitare (o non) su di lui, finanche del potere di dare a lui la morte, come atto pietoso nei confronti della sua condizione “terminale”. Il contesto sotteso e mai enunciato di questo dibattito si può sintetizzare in quella terribile e disumana risposta che sempre più spesso viene pronunciata anche dagli specialisti della medicina: «per te non c’è più niente da fare».

Ne deriva che, tutto ad un tratto, come per improvviso risveglio da un lungo sonno, scopriamo che la vita umana è “a termine”: ha un inizio (formalmente segnato con la data di nascita, ben nove mesi dopo il suo vero inizio) e  ha un termine, formalizzato dalla data di morte. E’ la classica scoperta dell’acqua calda. La morte e la malattia o la sofferenza sembrano rispuntare come il male assoluto e non come la condizione ordinaria della stessa vita dell’uomo; temi che campeggiano nei discorsi, mentre sfuma, come in dissolvenza, il soggetto ovvero il malato, il sofferente, il fragile, Recita un salmo: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore”. (Salmo 90,12).

C’è una sapienza del cuore da cercare ritrovare perché ci si ponga avanti alla persona che  vive la sua lotta per la vita (agonia)  laddove essa giunge al suo naturale compimento.

Altre due storie: di due vecchiette inferme e credenti a cui portavo l’eucaristia. Immobile a letto l’una e su una sedia l’altra, mi dicevano ogni volta “io voglio morire, mi prego ogni giorno la morte”. Nei lunghi colloqui avuti alla fine, con molto pudore mi rivelarono le ragioni. L’una mi disse: “vedi questo telefono (era accanto al letto) se non chiamo io non chiama nessuno” e l’altra un giorno mi disse: “ho fatto la delega delle mie due pensioni a mia figlia, che mi vuol bene e mi assiste bene, ma non mi lascia neppure uno spicciolo. Vengono i miei nipotini (tanto della figlia che degli altri figli) non posso mai far loro un regalino… che ci sto a fare? L’una non aveva “nessuno”, mentre scoprii al funerale una vasta e numerosa parentela locale, l’altra voleva essere semplicemente la “nonna” dei suoi nipoti ma le veniva impedito con la classica risposta: “che ci devi fare dei soldi? tu sei sempre in casa, pensiamo noi a tutto!”. Vero, ma la figlia non poteva essere la madre e nonna dei suoi stessi figli. La nonna era lì, bastava accorgersi che esisteva, non la si poteva “ridurre” solo ad un “ammalato” anziano bisognoso di servizi e di cure.

Alcuni sostengono che è il malato che chiede di morire. Siamo certi che la sua è una domanda di morte?.

Bernard Haring, famoso maestro di morale, in una lezione sulla obbedienza alla verità  provocò un dibattito tra noi alunni proponendoci un caso. All’epoca delle leggi razziali naziste un membro delle famigerate SS si presentò alla superiora di una scuola materna tedesca chiedendo alla superiora quanti bambini ebrei fossero presenti; la superiora rispose subito che non ne avevano nessuno, mentre in  realtà ne nascondeva più di una diecina. La superiora aveva mentito o aveva fatto la verità? Dopo un lungo e inutile dibattito ci aprì la mente. La superiora aveva fatto la verità, non perché la sua  bugia era  “pietosa” o a fin di bene, come si suole dire, ma perché aveva risposto con verità alla vera domanda non detta, ovvero: ci sono bambini ebrei da rastrellare e mandare ai campi di sterminio? (dato il contesto delle leggi razziali e la nascita del sistema concentrazionario nazista). Non vi era infatti nessun bambino da rastrellare e mandare ai campi di concentramento ebrei o non che fosse… La sapienza del cuore di tanta gente umile ha negato ai nazisti bambini uomini e donne, nascondendoli e aiutandoli mentre tanti “soloni” della cultura e del potere si sono prostrati ai prepotenti, rendendosi complici di genocidio.

La domanda di morte del malato svela la nostra ipocrita decisione e invita a portare a compimento ciò che già, giorno per giorno, stiamo realizzando; esegui la sentenza che nel tuo cuore hai già pronunciato: “per te non c’è più niente da fare”.

 

Crediamo davvero che il giovane lanciatosi dal balcone a Torino volesse la morte o non ha reso visibile una morte sociale e spirituale che gli amici avevano decretato chiamandolo “omosessuale”? Possiamo pensare che in tanti passaggi sofferti della vita, e nell’ultima lotta (agonia) verso il suo compimento nella morte, desideriamo solo morire e non che qualcuno ci faccia sentire col suo calore la bellezza della nostra presenza, così, nuda, povera, fragile, ma importante e bella ai nostri occhi? Vogliamo ancora continuare a rispondere alle parole e non ascoltare le domande?

Giobbe, al suo grido di dolore, troverà Colui che gli si farà accanto, che riaprirà il suo cuore, mentre tutti i presenti lo avevano chiuso nella disperazione del disprezzo. È sottratta ai malvagi la loro luce ed è spezzato il braccio che si alza a colpire (Giobbe 38, 15). ☺

 

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