Migramorfosi
6 Aprile 2025
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Migramorfosi

Sette milioni di immigrati sono la stampella demografica che ci ha permesso di tirare avanti per trent’anni. Ma ne abbiamo approfittato senza investirci. Il risultato è un Paese diseguale e diviso. Ora dobbiamo tornare ad aprirci; ne va del nostro futuro. L’immigrazione continua ad essere sinonimo di svantaggio e marginalità. Le crisi dell’ultimo decennio hanno aggravato la situazione, colpendo gli stranieri in maniera più pesante dei cittadini. Inseriti in settori più esposti, generalmente meno garantiti, i primi hanno perso lavoro o subìto riduzioni di orario e di salario assai più spesso degli altri. Siamo una società sempre più stratificata in base all’origine e al colore della pelle.
Alla radice vi è un drammatico ritardo culturale e politico; mentre i media continuano a ricondurre ossessivamente gli immigrati a due stereotipi contrapposti: intruso minaccioso o povera vittima. La politica è impantanata da anni in uno sterile gioco delle parti ed ogni serio progetto di riforma è stato abbandonato. Emergenzialismo e improvvisazione dominano. Intanto sfiducia e frustrazione montano tra gli elettori italiani come tra i migranti e loro discendenti. La metamorfosi che i primi arrivi di massa avevano innescato sul finire del secolo scorso è rimasta incompiuta. Il problema è che, come Paese, questo stallo non ce lo possiamo permettere.
Uno dei modi possibili di raccontare la storia complessa è riconoscere che di fronte ai colpi inferti dalle crisi “a cascata” di questi anni, gli immigrati hanno funzionato da cuscinetto, assorbendo in parte la botta diretta e attutendone così l’impatto su noi nativi; gli immigrati ci sono stati utili anche per questo. Eppure ci guardiamo bene da ammetterlo e ancor più di riservare loro una seppur vaga riconoscenza o quanto meno riconoscimento pubblico. Non c’è da stupirsi dunque che l’indifferenza collettiva e la disattenzione dei media si accompagnino alla totale inerzia politica, invece di riconoscere che l’impatto asimmetrico e oggettivamente discriminatorio delle crisi sistemiche richiederebbe sostegni adeguati e un’attenzione specifica.
Gli strumenti del welfare d’emergenza messi in campo in questi anni hanno sistematicamente penalizzato gli immigrati. L’esempio più clamoroso è stato quello del reddito di cittadinanza istituito nel 2019. Imponendo dieci anni di residenza, come requisito necessario per accedere alla misura, si è consapevolmente e colpevolmente esclusa una fetta importante della popolazione immigrata in cui la povertà è particolarmente concentrata. Non sorprende che il rapporto periodico dell’INPS a gennaio 2023 attesti che nell’89% dei casi il richiedente risulta di cittadinanza italiana, nel 7% è un cittadino extra comunitario in possesso di permesso di soggiorno e il 4% è un cittadino europeo. In altre parole solo uno su dieci, tra i percettori del reddito, è straniero, mentre tra i poveri gli stranieri sono uno su tre.
Quante siano esattamente le vittime alle nostre frontiere non lo sa nessuno, perché un numero imprecisato di eventi mortali sfugge ad ogni rilevazione, inoltre mancano stime ufficiali da parte dei governi e delle istituzioni europee. È giusto, umanamente, che le notizie sugli sbarchi e sulle morti di migranti in mare abbiano un ruolo così importante nel panorama mediatico. Però nella costante descrizione di un fenomeno attraverso una sua parte (sineddoche) il fenomeno migratorio si riduce a quei poveri corpi galleggianti, al sorriso esausto o allo sguardo vuoto di chi è stato appena salvato dopo aver visto morire un amico o un figlio. Si opera così una distorsione enorme della realtà dal punto di vista quantitativo.
Ogni anno un numero oscillante tra 2 e 2,5 milioni di migranti entrano legalmente nell’Unione Europea, mentre gli arrivi di fortuna e irregolari sono nell’ordine di centinaia di migliaia: 330mila nel 2022. Ma le immagini, si sa, influenzano le nostre percezioni molto più che i numeri. Ne deriva la distorsione che i cittadini europei sovrastimano grossolanamente la presenza immigrata nel suo complesso e, al suo interno in particolare la componente irregolare, generando quello scollamento tra realtà e percezione gravemente sbagliata. Se queste sono le percezioni della maggior parte del corpo elettorale è ovvio che il tema delle migrazioni non autorizzate sia al centro del dibattito politico, mentre gli altri aspetti centrali del fenomeno, come l’immigrazione legale o l’integrazione siano asfittiche e carsiche: appaiono in sezioni di studio ma spariscono dall’agone dibattimentale e operativo della politica.
In questo primo quarto di secolo la storia racconta che “frenare”, almeno temporaneamente, le migrazioni è possibile, persino senza violare in maniera troppo diretta e clamorosa i princiìpi in materia di asilo che regnano formalmente sulle sponde europee del Mediterraneo. Il trucco per ottenere questo risultato è riassunto in una parola quasi magica: “esternalizzazione”, ovvero una politica che delega sistematicamente l’azione di prevenzione, controllo e repressione dei movimenti migratori indesiderati a “Stati terzi”, per lo più situati appena fuori dal privilegiato e agognato recinto delle sedicenti democrazie liberali.☺

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