Miriam Makeba
16 Luglio 2019
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Miriam Makeba

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

“Morirò cantando e in piedi”, aveva predetto. E morì in Italia nel 2008, durante un concerto anticamorra. Per quanto lei minimizzasse, Miriam cantava dando voce a un continente, con uno stile divenuto orgoglio delle radici. Aveva un carisma personale che l’aveva portata a essere simbolo di tutto un continente. “Quando hanno cominciato a chiamarmi Mama Africa, io dicevo: Ma non vorrete mica addossare sulle mie spalle tutte le responsabilità di un terra così grande e così vecchia! Credo sia stato più un gesto di affetto che altro”. E così minimizzava anche quando le chiedevano dell’impegno politico nella sua musica: “La gente pensa che abbia fatto tutto di proposito. No, è capitato! Cantavo la mia vita, la mia verità. A noi in Sudafrica piace cantare di quello che ci capita, specialmente di quello che ci fa male”. “Sinceramente sono solo una piccola cantante, non sono una politica nemmeno un’ economista o qualcosa del genere. Vorrei soltanto che le persone fossero dei soldati: possiamo esserlo tutti e non per aggredirci l’un l’altro ma per combattere la povertà, le malattie, le epidemie, l’avidità, tutti i mali del mondo”.

Lei cantava l’umanità dolente, il disagio di quelli intorno a sé, la rabbia repressa dell’apartheid, un continente brutalizzato nei secoli. Eppure nonostante quella capacità di minimizzare la sua avventura straordinaria, la vita intera di Miriam Makeba è diventata proprio simbolo di tutto questo, una cavalcata nel dolore degli ultimi. Dopo i suoi inizi di cantante in Sudafrica e i successi con il gruppo afroamericano Manhattan Brothers, si trovò ad andare alla Mostra del Cinema di Venezia come ambasciatrice per Come Back Africa, film anti-apartheid in cui aveva una piccola parte. Da lì conquistò l’Occidente diventando una sorta di testimonial della world music, e in Occidente restò. A Londra conobbe Harry Belafonte e iniziò con lui il sodalizio che la portò al successo in America. Time la definì “uno dei talenti più emozionanti apparsi da tanti anni”. Quando però cercò di tornare a casa, per il funerale della madre, scoprì che il governo di Pretoria le aveva tolto il passaporto. “Ancora oggi mi chiedo perché” disse a Robin Denselow, giornalista del Guardian in un’intervista del maggio 2008, pochi mesi prima di morire.

Sicuramente il nome Miriam Makeba potrebbe dire poco ad alcuni. Tuttavia, molti conosceranno la canzone: Pata pata. La canzone è molto orecchiabile e parla di una ragazza che danza ancheggiando, una ragazza felice e senza pensieri. Peccato che così non fosse nella realtà per i giovani sudafricani dell’epoca, i quali, per il solo fatto di possedere l’omonimo album, rischiavano di essere condannati da tre a sette anni di carcere con l’accusa di banda armata. Eppure non è una canzone di protesta né di lotta politica… ma la troppa libertà che Miriam si era presa, metteva paura al governo dell’apartheid. Per quasi trent’anni, la vita di Makeba prosegue tra alti e bassi in giro per il mondo. Raccoglie successi e riconoscimenti come il Premio Dag Hammarskjöld per la Pace nel 1986 e scrive la sua autobiografia Makeba: My Story, finché, negli anni ’90, dietro invito ed insistenza di Mandela in persona, Mama Africa torna nel suo paese natio. Ciò nonostante, la sua casa ormai è il palcoscenico e la musica è l’unica cosa che la rende libera non facendola sentire in esilio, bensì cittadina del mondo. Nei dieci anni a seguire, continua a partecipare a documentari e film sull’apartheid come Sarafina! (1992) e Amandla! A Revolution in Four-Part Harmony (2002), viene nominata Ambasciatrice di buona volontà della FAO (1999) e riceve la Medaglia Otto Hahn per la Pace (2001).

Nel 2005, provata da una vita intensa e problemi di salute, Miriam Makeba inizia un ultimo tour mondiale per dare l’addio alle scene. Tra le tante tappe, la cantante sudafricana approda il 9 novembre 2008 anche in Italia e precisamente a Castel Volturno, dove due mesi prima vennero massacrati dalla camorra sei immigrati africani. In un evento dedicato a Roberto Saviano e incentrato alla lotta contro la camorra, anche lei vuole fare sentire la sua presenza. È così che, a settantasei anni, Miriam porta gioia, solidarietà e speranza con la sua musica, ancheggiando nonostante i malanni a ritmo di Pata pata. Purtroppo, mentre la gente applaudiva e lei salutava il suo pubblico per congedarsi, la coglie un malore e muore poche ore dopo. Uno spettatore del suo ultimo concerto testimonia: “L’energia che sprigionava era incredibile, la voce toccava tutti quelli che sotto il palco erano lì ad ammirarla. Eravamo lì. Tutti uniti nei suoi occhi. Tutti insieme per quella grande donna simbolo di un mondo che può cambiare se davvero lo si vuole. Mama Africa danzava cantando Pata pata, e sorrideva. Il modo più bello per iniziare il suo nuovo e lungo viaggio”.☺

 

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