Mlk cinquant’anni dopo
7 Aprile 2018
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Mlk cinquant’anni dopo

Era il 3 aprile del 1968, quando a Memphis, nel Tennessee, sul ballatoio di un hotel dove si trovava in attesa che cessasse l’allarme bomba sul volo che avrebbe dovuto prendere, Martin Luther King fu colpito alla testa da alcuni proiettili. Il presunto assassino fu arrestato due mesi più tardi a Londra. Giurò di non essere stato lui a sparare e promise di fare il nome del colpevole. Ma la notte seguente fu accoltellato nella cella in cui era detenuto. Lo stesso scenario della morte del presidente Kennedy (il presunto assassino ucciso mentre si trovava nelle mani della polizia) si ripeteva per la morte di quello che l’FBI considerava il più pericoloso leader nero del paese.

Ma chi era davvero MLK? Nato come Michael King ad Atlanta il 15 gennaio 1929, da un predicatore battista e da una maestra, aveva appena cinque anni quando, in occasione di un viaggio in Europa e nella Germania nazista, rimase folgorato dalla figura di Martin Lutero, il riformatore protestante di cui assunse scherzosamente il nome con cui sarebbe poi diventato famoso. Alla fine della Seconda guerra mondiale, si trasferì in Pennsylvania per studiare teologia e diventare pastore battista, sulle orme del padre, e poi a Boston per conseguire, grazie a una borsa di studio, il dottorato in filosofia. Ma la svolta arrivò in seguito ad un episodio accaduto a Montgomery nel 1955. A bordo di un autobus, una ragazza di appena quindici anni, Claudette Colvin, si rifiutò di obbedire all’autista, che, istigato da alcuni bianchi, impose di scendere a quattro donne nere che occupavano posti a sedere non riservati, cioè destinati indistintamente a bianchi e neri. Claudette fu arrestata, ma il suo gesto fu imitato, alcuni mesi dopo, da un’altra donna di colore, Rosa Parks, che subì la sua stessa sorte, finché la comunità nera si ribellò. MLK intuì che era arrivato il momento di avviare quell’azione non violenta che avrebbe fatto di lui una delle icone della pace nel mondo. La forza delle sue richieste culminò nella grande manifestazione per i diritti civili del 28 agosto 1963. In quell’occasione, davanti ad una folla di duecentomila persone radunate a Washington, pronunciò quello che è diventato il discorso più famoso del XX secolo: “I have a dream”. Per diciassette minuti il leader dei diritti civili degli afroamericani trattenne la folla dei manifestanti, e il resto dell’America che lo guardava alla TV, osando dire l’indicibile: che la giustizia passa per l’uguaglianza, che la libertà non conosce differenze razziali e che gli uomini sono tutti uguali. La legge per i diritti civili venne approvata il 10 febbraio 1964 e nel dicembre dello stesso anno MLK venne insignito del Nobel per la pace. Il premio gli fu conferito – stando alla motivazione ufficiale – anche per non esser venuto meno ai suoi princìpi nonostante le violenze subite e le minacce di morte a lui e alla sua famiglia.

E proprio a cinquant’anni dalla sua morte, vale la pena di rileggere almeno un frammento della sua saggezza, che, ancora terribilmente attuale, sembra scuoterci da quell’indifferenza che ci rende a volte così passivi: “La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vanagloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto? Prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare; ma bisogna prenderla, perché è giusta”.☺

 

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