Necessità del biologico
10 Gennaio 2020
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Necessità del biologico

È la domanda in continua crescita di prodotti bio da parte del consumatore globale, soprattutto nell’ultimo decennio, a spingere per questo tipo di agricoltura che richiama molto quella di un tempo, basata sulla rotazione e gli avvicendamenti delle colture, concimazioni organiche e mancanza di utilizzo di mezzi strasmisurati di fronte alle necessità di piccole e medie aziende.

L’Agricoltura biologica non è più una scelta, ma la primaria e più attuale delle innovazioni.  Una vera e propria necessità, soprattutto per il clima, dopo il fallimento dell’agricoltura industriale e i suoi disastri (spopolamento, inquinamento, CO2), che ha coinvolto e condizionato il mondo contadino, sempre più nelle mani del sistema neoliberista nelle mani delle banche e delle multinazionali.

Un mondo che paga un alto prezzo (ogni giorno, in Italia, chiudono 50 aziende agricole, piccole e medie nella quasi totalità) a un tipo di sviluppo che ha privilegiato, oltre all’ agricoltura industriale, anche asfalto e cemento, e, così,  ridotto a poca cosa il territorio, e, con esso, la sua attività primaria, che è stata e resta l’agricoltura. Un’enormità la sottrazione di suolo, ancor più se si considerano e vengono addizionate altre superficie, quelle  dei suoli che hanno ridotto, addirittura esaurito, la propria fertilità per arature profonde, fitofarmaci, diserbanti, OGM, additivi, coloranti e sostanze chimiche. Si parla di una perdita di 10 milioni di aree agricole fino ad oggi, ciò che ha comportato lo spopolamento di vaste zone, in particolare quelle montane e delle aree interne  E, non solo, anche, la perdita pesante di risorse fondamentali come cibo, biodiversità, paesaggio agrario, ambiente, tradizioni. La scelta della quantità ha impoverito l’agricoltore e l’ha reso sempre più strumento della finanza che, nel contempo, ha preso il sopravvento sulla politica, portata a fare scelte tutte e solo a vantaggio delle banche e delle multinazionali.

L’agricoltura biologica non è un ritorno al passato, ma la possibilità di dare, al passato, la continuità persa con l’introduzione, negli anni ‘50/’60, dell’agricoltura industriale, la sua diffusione anche in un Paese dal territorio prevalentemente collinare e montano, com’è l’Italia. In pratica, la cancellazione degli ultimi cinquant’anni, per riprendere il discorso interrotto e dare il via a quell’inversione di tendenza di cui ha bisogno il Paese e il futuro delle nuove generazioni. L’agricoltura giusta per ridare alla ruota dell’economia il perno necessario perché possa girare, e, per rendere praticabile l’uso sostenibile del territorio, dare spazio a quell’economia circolare di cui il Paese ha urgente bisogno. L’Agricoltura biologica, quindi, quale ragione di un nuovo tipo di sviluppo e non causa forzata di un fallimento, com’è stata ed è tutt’ora l’agricoltura industriale.

Una scelta che non può essere rinviata, avendo l’accortezza di non continuare ad essere ostaggio degli stessi interessi che fino ad oggi hanno governato il settore  più che mai primario e di enorme attualità. Programmare l’agricoltura e ridare ad essa il ruolo che la storia dell’umanità le ha assegnato, vuol dire riportare lo sguardo nella direzione del futuro, a partire da quello che è già domani: la sicurezza alimentare per i 7,5 miliardi di persone che attualmente abitano il globo e i 10 che lo abiteranno nel 2050. Oggi, quando sono oltre 800 milioni le persone, soprattutto bambini, che muoiono di fame e due miliardi quelle che soffrono la fame.

Tutto questo in un mondo che allarga sempre più la forbice delle disuguaglianze, spinge milioni di persone a emigrare; apre al razzismo e all’odio; spinge governanti, mentalmente criminali, ad accendere conflitti, dichiarare guerra, far rischiare l’accensione di bombe nucleari, l’ espressione più alta della pazzia dell’uomo.

Si parla tanto, quale risposta al bisogno della fame, della Sicurezza alimentare. Una risposta che, però, non basta e che, purtroppo, non ci sarà se resta nelle mani di dieci aziende multinazionali che controllano il mercato mondiale dell’agroalimentare o, in quelle po- che che si sono accaparrate i semi, o, ancora, in quelle della grande distribuzione che, come nel Molise, continua a fagocitare quel poco che è rimasto della piccola distribuzione, ragione prima di prossima chiusura di molti dei 136 paesi che rappresentano questa regione.

Serve la Sovranità alimentare, cioè la possibilità per ogni paese del mondo di decidere insieme con i propri contadini/agricoltori che tipo di vegetale piantare e come coltivarlo, quale animale scegliere e come allevarlo. Sovranità quale diritto dei diretti interessati a scegliere per: allargare e non ridurre; diversificare e non omologare; offrire qualità sapendo che essa è, non solo l’espressione di un territorio e, insieme, dell’opera e intelligenza del produttore, ma la premessa di una bontà che serve alla salute del consumatore.☺

 

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