Non è un mondo per gli ultimi
13 Luglio 2019
laFonteTV (3191 articles)
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Non è un mondo per gli ultimi

La pausa estiva è arrivata, e io vorrei congedarmi dagli amici e lettori de la fonte riflettendo insieme sulle parole del grande José Saramago, del quale è uscito un nuovo libro con alcuni inediti ritrovati dopo vent’anni sul suo vecchio computer. Nella lucida denuncia della finanza transnazionale “che sta facendo di noi ciò che vuole”, lo scrittore riporta le parole di un funzionario del governo messicano che, interrogato sui motivi della persistente povertà della regione del Chiapas, pur ricchissima di risorse naturali, energetiche e minerarie, risponde dicendo che purtroppo lì ci sono “cinque milioni di contadini d’avanzo”.

Questo brutale cinismo rivela a chiunque di noi abbia ancora la forza di restare umano quale sia la soluzione finale al problema dello sviluppo infinito: far scomparire a poco a poco (inquinando, respingendo in mare, negando le condizioni minime di vita) tutti gli esseri umani d’avanzo, gli indifesi, i diversi, i ribelli, soprattutto i poveri. “La ricchezza come una nuova forma di arianesimo”. Partendo da qui, se proviamo a ricucire le resistenze che in questi anni continuano ad essere portate avanti sul “pianeta azzurro” (ancora Saramago), riusciamo  a vedere la trama sottesa ai fili apparentemente spezzati della nostra testarda storia di divergenze.

Il debito odioso da ripudiare, l’austerità che arricchisce le banche, l’acqua che non riusciamo a far tornare pubblica, i beni comuni mercificati, l’accoglienza che diventa crimine, le dittature striscianti, il fascismo sdoganato ogni giorno, i sovranismi spacciati per nuova democrazia, la povertà nascosta sotto i tappeti rossi e scacciata dai salotti buoni delle città, il territorio espropriato e venduto: sono tutte facce del tentativo di farci diventare cittadini d’avanzo. Non possono eliminarci tutti, così come non si potranno eliminare tutti i poveri, ma vogliono farci diventare marginali, poco più che residui quasi divertenti di un mondo che non esiste.

Che fare? Credo che la risposta sia ancora una volta nelle parole, e ancora una volta in quelle di un intellettuale. Sì, la categoria oggi irrisa di chi ha studiato e comincia quasi a vergognarsene, in questo delirio del fare. I radical chic che danno così fastidio a chi si vanta di non leggere un libro da anni, i nullafacenti che ancora non hanno dismesso l’arte meravigliosa dell’interrogarsi e del dubitare.

Una possibile risposta io la trovo infatti in ciò che Massimo Cacciari scrive in questi giorni su L’Espresso: “la sinistra deve smettere di inseguire moderatismi e ritrovare se stessa nell’essere radicale”. Perché il radicalismo è l’opposto dell’estremismo (quello becero e vincente di Salvini, per intenderci): essere radicali significa semplicemente affrontare i problemi alla radice, in termini di sistema, qui ed ora. Di nuovo l’etimologia ci aiuta a trovare il nome delle cose, e la loro essenza ultima.

La radice, dunque: la parte sotterranea della pianta che assicura il nutrimento; quella che fa vivere e che ci fa riconoscere noi stessi nella storia più generale da cui veniamo. Le parole di Cacciari suonano come musica per me, che per istinto sin da bambina ho percepito come estranei e rivoltanti qualsiasi atteggiamento, insegnamento e scelta di vita che non fossero schierati e netti. Se dunque si agisce affrontando l’essenza dei problemi, e non cercando la mediocrità delle aggiustature che non dispiacciono a nessuno e non risolvono nulla, se rifiutiamo di annacquare ciò che siamo e ciò che vogliamo, indifferenti all’approvazione altrui, siamo radicali; e una sinistra radicale è indispensabile a livello globale e a livello locale.

Nel nostro piccolo Molise senza più sanità pubblica né acqua pubblica (e in questi giorni semplicemente senza acqua in molti paesi), senza lavoro e senza diritti, senza un progetto che nasca da una visione completa di cosa vuol essere, la radicalità delle scelte non è semplicemente un’opzione, è necessità non discutibile. Si deve avere il coraggio di dire che una ideologia serve ancora: quella che oggi può avere solo il volto dell’inclusione, della giustizia sociale e della tutela del pianeta.

Una sinistra radicale non può avere dubbi, in Italia e in Molise, sulle scelte da fare. Tornare e ritornare alla radice dei problemi è l’unica strada che possa cercare chi di noi si ostina a non riconoscersi in un mondo di esclusioni e disuguaglianze sempre più feroci, di respingimenti in mare e in terra, di sfruttamento ossessivo dei beni comuni, di caste sempre più chiuse regolate dalla finanza predatoria che governa il pianeta. Dobbiamo osare, su una terra che non ha più giustizia né pietas per gli ultimi, la radicalità di una visione del mondo non mediocre.

Abbiamo davanti un’altra estate; magari possiamo impiegarne una parte a capire la necessità di questo schierarci ancora più nettamente, di un impegno ancora più interconnesso e concreto: a individuare la nostra forma giornaliera e locale di radicalità, perché nessuno (e nessun bene comune) sia più d’avanzo.☺

 

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