Non è mai troppo tardi
17 Aprile 2016
laFonteTV (3191 articles)
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Non è mai troppo tardi

In tempi come quelli odierni, in cui la scuola è in balìa di scellerati progetti governativi e perde credibilità e smalto ogni giorno, la nitida figura del maestro Alberto Manzi (che ho approfondito di recente, anche mediante la visione del film-tv che mi era sfuggito due anni fa) fa venire malinconia. Ma non degli anni ’50 in sé per sé. Piuttosto di un’idea, anzi di un ideale di scuola, di una motivazione, di una spinta etica che ormai sembra roba da vecchia soffitta.

A vedere “Non è mai troppo tardi”, che consiglio a quanti – come me – non lo hanno seguito a tempo debito, l’entusiasmo di un insegnante che si spende per i suoi ragazzi (i più difficili, quelli che ti rimettono in discussione da capo a piedi) con una tenacia eroica, e che poi finirà col presentare una trasmissione con l’obiettivo, con la missione di poter insegnare a milioni di persone a leggere e scrivere, fa riflettere tristemente sullo stato della scuola di oggi, nonché del servizio pubblico e della Rai.

La fiction, prima di arrivare alla messa in onda del programma che rese famoso il protagonista e che s’intitolava, appunto, “Non è mai troppo tardi”,  racconta la sua carriera da insegnante in un carcere minorile, e poi in una scuola elementare. Un contesto che permette di conoscere i suoi metodi didattici innovativi contrari ai rigidi divieti: Manzi non mette voti, non usa il registro di classe e dispone gli alunni in circolo, senza creare classifiche di rendimento e senza discriminare nessuno. Offre a tutti la stessa possibilità, e a tutti rende le informazioni accessibili attraverso il gioco e l’approccio pratico alle nozioni.

Ma, proprio attraverso questo viaggio in una metodologia straordinariamente efficace, balza agli occhi la consapevolezza che la scuola italiana degli anni ‘50, sebbene con le dovute proporzioni, ha gli stessi problemi della scuola di oggi e avrebbe bisogno di una profonda revisione professionale e morale, a partire da alcuni nodi irrinunciabili: il ruolo dei dirigenti (molto spesso d’intralcio rispetto al lavoro dell’insegnante sano e coerente); la finalità e i metodi della valutazione; quella che oggi si chiama “didattica inclusiva”, ossia la capacità di abbracciare tutti, di portare tutti allo stesso nastro di partenza, il figlio del medico, come quello dell’operaio, come il dislessico; la relazione docente-alunno; l’ aggancio tra i contenuti e la vita, nonché i magheggi dei “piani alti”, che assegnano cattedre a chi, spesso, ha solo un cognome che vale più di un punteggio.

Una carriera ricca di soddisfazioni, quella del maestro degli italiani, ma non priva di amarezze e difficoltà, legate ai richiami che lo hanno portato ben sette volte a rendere conto del suo operato dinanzi alla commissione disciplinare ministeriale. Già. Troppo avanti, troppo libero rispetto ai superiori (di fronte ai quali non ha mai chinato il capo, non ha mai rinunciato ad una sua idea), troppo bravo per essere apprezzato. È il paradosso della scuola italiana ancora oggi.

E così il film-tv diventa un’opportunità per fare critica sul sistema scolastico nazionale odierno: “cambiare la scuola italiana è una grande sfida”, diceva Manzi. Quella frase, purtroppo, è ancora attuale. Non è mai troppo tardi né per imparare l’alfabeto, né – soprattutto – per insegnare ai ragazzi a credere in sé stessi al di là del registro e delle prove scritte. Diceva anche questo, lo viveva anzi. Quanti di noi, oggi, ci credono ancora fermamente e lavorano perché sia così? In quanti consigli di classe si fa squadra per conquistarsi la voglia di imparare e la curiosità di un bambino, senza bollarlo facilmente come “sfaticato” e basta?

L’attenzione e la voglia di imparare di un bambino – parole sue – vanno conquistate“. E, spinto da questa convinzione, mette in moto – tanto per dirne una, forse meno celebre della trasmissione ma estremamente significativa – un circolo virtuoso di fiducia ed energia nei ragazzi del riformatorio “Aristide Gabelli”,  fino a realizzare “La tradotta”, il primo giornale mai stampato in un carcere minorile e realizzato da 90 giovanissimi detenuti, abbandonati dalle istituzioni, che li considerano quasi vuoti a perdere, scarti per cui non val la pena sprecare neppure un foglio e una matita.

Lo sforzo quotidiano di far innamorare della cultura un alunno alla volta subisce un’amplificazione insospettabile quando Manzi sostiene il provino come conduttore della trasmissione Non è mai troppo tardi”, appunto, che ha lo scopo di alfabetizzare la popolazione del dopoguerra. Con gli esiti che molti di noi forse non conoscono, e che portarono alla licenza elementare centinaia di migliaia di italiani analfabeti, che si appassionano alla scrittura e alla lettura proprio grazie ai modi colloquiali dell’insegnante e ai buffi esperimenti per catturare l’attenzione. Grazie alla sua passione per ciò che faceva, in sostanza.

È una bella storia. È una storia vera. Godiamone, facciamocene ispirare. Abbiamo bisogno di modelli positivi, di iniezioni di fiducia per credere nella nostra scuola, rinnovarla, ridarle dignità. ☺

 

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