Noterelle sull’italia e dintorni
4 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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Noterelle sull’italia e dintorni

L’appuntamento del referendum ha messo sul tappeto un problema rilevante, ossia la perdita dell’autonomia “amministrativa” dell’Italia a causa delle limitazioni che le banche e le fondazioni private esercitano sul nostro Paese. Questa è la posta in palio e lo dimostrano sia l’accordo fra la UE e il Canada (CETA), sia quello che si concluderà, pensiamo a breve – nonostante l’opposizione feroce di settori democratici e responsabili della società civile -, fra gli USA e la Ue, accordo economico e finanziario conosciuto come Ttip. Dunque, la tenuta democratica del nostro Paese e l’interrogativo dei rapporti con la UE, controllata da organismi non eletti da nessuno e che limitano enormemente la vita quotidiana italiana e delle altre nazioni dell’Europa, sono le questioni (accanto alle tematiche sul lavoro e sulla disoccupazione galoppante) più consistentemente presenti oggi nel panorama politico italiano. C’è una opposizione a questo furto della democrazia? Certo che c’è: per esempio, le associazioni di volontariato (Medici senza frontiere, Emergency, Libera contro le mafie, WWF, Lega Ambiente, settori organizzati del mondo cattolico progressista, associazioni legate all’orizzonte protestante e valdese in primis), segmenti, anche se modesti, di organizzazioni partitiche, la stessa partecipazione popolare ai referendum sull’acqua e sul NO alle Trivelle, gruppi di intellettuali critici e militanti (Ferrara, Bevilacqua, Rodotà, Settis, Zagrebelsky, Canfora, Viale, ed altri ancora). Tutto questo lascia ben sperare per una ripresa della vita democratica e della responsabilità civile degli Italiani.

Ora queste opposizioni trovano alimento non soltanto in sé (ossia nella propria capacità di critica analitica e di proposte), ma anche nella storia recente, come quella che ha contraddistinto gli Anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Questi anni intensi di lotte cruente e dolorose hanno alimentato non soltanto l’antifascismo, ma hanno anche preparato il clima culturale e civile nel quale si è mossa la stagione politica della Costituente, eccezionale momento di partecipazione alla costruzione di un’Italia nuova, che ha potuto in questo modo scrivere la nostra Carta Costituzionale. Tra i tanti vogliamo ricordare un intellettuale, filosofo e giurista, socialista progressista/liberale, aderente al Partito d’Azione, antifascista, che ha conosciuto nell’esilio e nella galera la durezza della lotta per la democrazia e la rigidità del regime fascista/mussoliniano.

Questo personaggio è Riccardo Bauer, intellettuale che ha avuto un forte senso della politica e dell’ethos che deve suffragarla, alimentandola. Alcuni esempi: nel 1946 rifiuta di fare il ministro della nascente Repubblica e Norberto Bobbio scrive che la decisione di Bauer “è un fatto su cui ci sarebbe da fare qualche riflessione”, aggiungendo, inoltre, che “(…) le specificità del mestiere o della professione o della vocazione del politico cui l’uomo di studio, l’uomo di fede e di profonde convinzioni ideali, mal si adatta (…)” implicano la necessità di una seria riflessione sul come essere intellettuale e quale sia o debba essere il ruolo dell’intellettuale nella società civile. In questa, se avesse voluto percorrere il cursus honorum, avrebbe avuto tutte le carte in regola per offrire il suo contributo, senza dare la sensazione, presuntuosa, di essere un “tecnico” che schifi la politica, il fare politica (come è accaduto con i governi tecnici di Monti e Letta negli ultimissimi anni a noi vicini, come sta capitando con l’enfant prodige di Palazzo Chigi). Alla luce di questa premessa metodologica appaiono rilevanti due articoli scritti da Riccardo Bauer nel 1929.

Il primo, del mese di marzo apparso sulla rivista “Nuova Libertà”, scritto a quattro mani con Ernesto Rossi (uno degli estensori del Manifesto di Ventotene), sviluppa il tema di uno stato democratico in contrapposizione con quello fascista. “Ma in che misura uno stato si può dire “democratico”? Nella misura di soddisfare (…) i bisogni che nascono dal fatto della convivenza sociale”, simile, questa, ad una grande cooperativa che si basa sulla divisione dei poteri e sul principio di una vera rappresentanza.

Tale rappresentanza è costituita da eletti che si riuniscono “con continuità” e che sono scelti direttamente con il voto popolare ogni cinque anni tra coloro che i partiti (parliamo degli Anni Trenta e non di oggi, in cui i partiti non ci sono quasi più o comunque sono tutt’altra cosa!!!) hanno deciso di candidare. Bauer (con Ernesto Rossi) mette in chiaro e illustra, inoltre, anche le competenze del capo dello stato, la cui attribuzione principale è quella di essere imparziale. Inoltre, l’articolo delinea anche l’organizzazione dello Stato che si fonda sul decentramento amministrativo, perché “il controllo riesce difficile o impossibile, quando allo Stato vengono attribuite troppe funzioni e quando le funzioni vengono esercitate esclusivamente dal centro (…)”.

Il secondo articolo, sempre del 1929, apparso su “La lotta politica” alla quale collaborava anche Nello Rosselli, rivista che ambiva essere l’organo dei giovani che volevano cimentarsi con la politica, si rivolge essenzialmente ai giovani, sviluppando il concetto del perché si faccia politica e quale debba essere il suo presupposto, il suo cardine. L’alimentazione strutturale della politica deve essere la passione per la stessa, ma suffragata, irrorata, alimentata da un profondo senso dell’ethos, da una superiore coscienza etica tesa a “delineare e a preparare il domani. Questa è chiaramente la declinazione di una visione metapolitica diremmo sovrastrutturale, imbevuta di quel senso di responsabilità che rende non gravoso l’impegno militante ma che lo arricchisce, alimentando la sensibilità di chi fa politica e l’essenza stessa del fare politica.

Ora alla luce della crisi sostanziale e apparentemente irrefrenabile della politica odierna; alla luce della corruzione dilagante; in considerazione del mercimonio che avviene nella prassi politica quotidiana nella quale domina la finanza che detta le leggi e che si sceglie il personale adatto, servile per il suo scopo; in considerazione del disgusto che l’opinione pubblica esprime nei confronti delle classi dirigenti e della stessa politica; valutando che occorre porre un freno all’antipolitica dominante, ecco che riscoprire un intellettuale che ha pagato di persona (con l’esilio e la galera) le proprie scelte, è davvero un bene per tutti noi che ci interroghiamo se convenga o meno fare ancora politica!!! Certo, che conviene, anzi è un imperativo categorico, è un apriori kantiano… Di qui, il passato, vicino o lontano che sia, per noi è vita, è il presupposto, un elemento con il quale alimentiamo la nostra passione per la politica.☺

 

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