l’accidia
20 Febbraio 2010 Share

l’accidia

L’accidia, nel suo significato immediato contiguo alla “ignavia” dantesca (mancanza di volontà e di forza morale), è un tema, purtroppo, molto attuale ed implica una serie di riflessioni su quanto sta succedendo ai nostri giorni sia sotto l’aspetto politico-culturale che sotto quello squisitamente etico, con ricadute sui comportamenti individuali.

L’immagine che abbiamo di fronte a noi è quella universalmente nota degli “ignavi” dell’Inferno di Dante Alighieri – Celestino V, per esempio, noto come “colui che fece ‘l gran rifiuto”-. Dante dice che quando si è trovato di fronte agli ignavi, che sulla terra si astennero dal partecipare agli eventi, in particolare a quelli che impongono una scelta precisa, ha accelerato il passo, non guardandoli e passando oltre, non senza rendersi conto, però, che queste anime erano sollecitate a correre disordinatamente dietro alcuni stracci di insegne, aggredite e morse da mosche che, aprendo ferite, ne facevano fuoriuscire il sangue, presto intriso di polvere e fango.

Ora noi non ci soffermeremo a parlare dell’accidia intesa come noia, per esempio quella leopardiana -; ne metteremo, invece, in risalto l’aspetto che attiene esclusivamente all’apatia, all’indolenza ad operare il bene (individuale/privato e collettivo/pubbli- co).   

L’accidia, dunque, è l’inerzia, la pigrizia assoluta che oggi sta investendo gran parte dei cittadini, anche quelli che si definiscono progressisti, democratici,  o peggio ancora “di sinistra”.

In relazione a questi ultimi e alla loro filosofia politico-esistenziale, l’analisi è più complessa, in quanto gli elementi di riflessione sono molteplici e in parte potrebbero essere attribuibili a considerazioni generali, valide anche per i settori della società italiana moderati che hanno scelto, consapevolmente o inconsapevolmente, di stare dalla parte dell’ammaliatore del “volgo”, dell’eletto per eccellenza, dell’unto del Signore, come ama definirsi e come grida forsennatamente a tutti i venti la maschera tragicomica di cui parliamo.

La verità è che gli italiani si stanno abituando alla cultura che egli esprime, punta di un iceberg che rappresenta ormai il sentire comune, la coscienza dei più, che hanno deliberatamente scelto un percorso fatto delle idee portanti del neo-liberismo, cioè il danaro, il successo e tutto quanto a questa visione edonistica della vita può essere ricondotto. La prassi del Totocalcio, il lotto, il superenalotto, il gratta e vinci, le corse ippiche, le scommesse clandestine sono tutte forme di una preoccupante e cruda definizione della vita che si fonda sul facile ottenimento del benessere considerato a portata di mano di chiunque voglia sfidare la sorte… Ovviamente questa tendenza del comportamento dell’italiano medio non è da noi stigmatizzata in quanto atteggiamento piccolo-borghese, ma ci indica quali siano oggi le aspettative complessive della maggioranza del popolo italiano, su cui è calata una crisi economica spaventosa, per adesso non risolta, e che ci fa capire quanto sia enorme il disorientamento socio-culturale ed etico insieme di gran parte della popolazione (la mancanza del lavoro o la sua estrema precarizzazione determinata dalla legge Biagi o dalle leggi del mercato ne sono la prova). Tale crisi non  riguarda solo l’Italia ma tutto il globo, per cui ci rendiamo conto che alla vittoria odierna del capitalismo e della sua filosofia si contrapponga per un verso una capitolazione politico-culturale di parti consistenti dell’opinione pubblica che finiscono con l’accettare la visione teleologica della vita secondo il dettato liberistico/capitalistico (garantirsi la ricchezza, il successo, etc.); per un altro verso, c’è lo sgomento della disfatta ideologica e culturale di diverse generazioni (a partire dalla fine degli anni Cinquanta), orientate verso una definizione di Stato e di collettività chiaramente di sinistra, e quindi fondata su principi rigorosamente solidaristici e democratici insieme (lo Stato tutore delle fasce deboli della popolazione).

Conseguenza terribilmente esiziale di tale crisi è l’inerzia, che genera dolore per i più sensibili, ed essa rappresenta il nemico numero uno per quanti ancora sostengono la necessità dell’antagonismo culturale, politico e il sogno della realizzazione di una differente forma di organizzazione sociale.

Tale inerzia civile, comunque, non appare in questi termini negativi per una parte cospicua della società italiana (e non solo), in quanto, per esempio, se prendiamo in considerazione i programmi televisivi come “Il grande fratello”  o le trasmissioni sulle reti di Mediaset, o, quello che è peggio, i programmi d’intrattenimento pomeridiano sui canali nazionali della Tv di stato, possiamo arguire che le persone amino identificarsi in questa concezione di vita e nella sua rappresentazione virtuale e spettacolare, ben lontana dalla realtà quotidiana che si trasforma indecorosamente in povertà culturale ed incapacità economica, mentre il Moloch si intrufola indisturbato ed impianta i suoi vessilli sulle nostre teste prone.

Il limen – il confine –  fra il buon gusto e la volgarità non c’è più e ciò è origine di uno sbandamento generale della società che favorisce l’affermarsi di altri canoni comportamentali, difformi dalla tradizionale concezione dell’etica civile ma alquanto aggressivi e a-morali.

Gli intellettuali  più dirompenti della nostra età, come Bauman, Saramago, Asor Rosa, Eco, Sanguineti, Consolo, o giuristi come Rodotà, sottolineano a più riprese la totale modificazione, diremmo anche morfica, dell’intellettuale, il quale da elemento catalizzatore e punto di riferimento per la società nel suo processo di modificazione è divenuto un soggetto di cui non solo non si ascolta la voce (o si ignora la sua produzione) ma di cui si nega qualsiasi ruolo civile nella società. A ciò, inoltre, si deve aggiungere la diretta responsabilità dell’in- tellettuale medesimo, che appare come “cieco”,  incapace non solo di orientarsi lui stesso ma anche di dare un sensato e responsabile indirizzo alla società per la quale egli vorrebbe utilizzare il suo sapere e la sua abilità professionale.  L’intellettuale è servo del padrone, mangia e beve alla mensa del ricco, e così assume un atteggiamento irresponsabile, ed in questo egli mette tutta intera la sua fantasia (esattamente il contrario di quanto potrebbe suggerire il buon senso stoico dei Padri). I giornali dei diversi schieramenti politici lo dimostrano; la stessa scuola e sanità, pur attraversate da una crisi di identità e di lavoro, non sono in grado di organizzare una sia pur minima resistenza alla filosofia del disvalore liberistico. L’accidia, come espressione di infingardaggine e di paralisi consapevole, è tratteggiata anche dai partiti o da quello che di questi rimane: la deriva della rappresentanza istituzionale nonché la molto flebile avversione alla politica della destra italiana è chiaramente indicata dall’attuale Parlamento, dove la fissità, l’immobilità, l’inerzia sono le prime donne ammaliatrici e  profondamente pericolose.

Per uscire dalla palude accidiosa, per ripulirsi del nero fumo caliginoso della valle oscura è urgente un diverso atteggiamento verso la vita, la storia, le vicissitudini; è vero che le condizioni generali della cultura neo-liberistica condizionano l’intellet- tuale, confinandolo in un limbo atarassico, ma è anche vero che,  per tornare ad essere importante per la collettività, egli umilmente deve riconoscere i suoi errori e riprendere la sua funzione di guida; diversamente è destinato a sparire; ecco perché l’accidia è una malattia terribile che può uccidere l’uomo e frantumare le sue speranze. ☺

bar.novelli@micso.net

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