nuove opportunità
22 Marzo 2010 Share

nuove opportunità

 

Tutti conosciamo le vicende con cui inizia la bibbia: la creazione, il peccato dei progenitori e il moltiplicarsi del male sulla terra, fino a quell’esito catastrofico che è il diluvio (Gn 1-11). Secondo alcuni, gli autori biblici hanno voluto mostrare dove può arrivare l’uomo se cerca di mettersi al posto di Dio: ben presto si arriva a un aumento esponenziale della violenza: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gn 4,24). Come risposta all’imbarbarimento dell’uomo, la bibbia sembra presentare, a prima vista, un imbarbarimento speculare di Dio: “E’ venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza; ecco io li distruggerò insieme con la terra” (Gn 6,13). Eppure, se uno legge più attentamente i racconti delle origini, si rende conto che in realtà Dio continua a scommettere sull’umanità: Eva e Adamo non vengono maledetti, ma piuttosto Dio si prende cura di loro, facendogli addirittura i vestiti (Gn 3,21); Caino viene segnato da Dio per non essere ucciso come ritorsione per la morte di Abele (Gn 4,14); infine, nel momento in cui sembra volere annientare il mondo, stabilisce con Noè, salvato dal diluvio da Dio stesso, un patto universale, di cui è segno l’arcobaleno, in base al quale non distruggerà più l’umanità (Gn 9,12-17).

Nel racconto delle origini vige lo stesso schema della storia del popolo d’Israele, costellata di tanti interventi apparentemente punitivi di Dio che, invece, attraverso lo sguardo penetrante dei profeti, erano visti come occasione di opportunità inaspettate. Così l’esilio (che riecheggia, non a caso, il racconto della torre di Babele) diventa l’occasione per portare a tutti la luce della Legge e quell’evento che in un primo momento è percepito negativamente, in una prospettiva più ampia della storia è visto come la realizzazione della benedizione promessa ad Abramo, che non riguarda solo Israele ma tutti i popoli della terra (Gn 12,3). Il racconto biblico è costellato, infatti, di tanti nuovi big bang, che rimettono in moto la storia verso un futuro che assume, infine, una connotazione messianica, per cui la perfezione non è alle spalle, come se il mondo precipitasse verso la decadenza, bensì è di fronte, in un futuro che ci viene incontro attraverso le pieghe dolorose della storia. La perfezione di cui ci parla la bibbia non è quindi nel paradiso terrestre, solo apparentemente tranquillo, in cui invece ci sono un serpente infido e un tipo di umanità arrogante e arrivista, bensì nel mondo futuro profetizzato da Isaia che, dopo aver sperimentato il dolore delle divisioni, vive riconciliato nella pace: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi” (Is 11,6-8).

Questa perfezione, per chi legge la Scrittura in chiave cristiana, è realizzata pienamente da Gesù che, con il suo impegno per gli ultimi e la sua sete di giustizia fino a dare la vita, dà senso a tutte le lotte e le sofferenze di coloro che non si arrendono di fronte al male che dilaga nella storia, ma riescono a vincerlo con il loro amore, artefice, insieme all’amore di Dio, della creazione in atto. La vicenda terrena di Gesù, che non si conclude con la sconfitta, ma con l’irrompere nel mondo della vita stessa di Dio, dice a chi crede in Lui che l’impegno per la giustizia e per la pace non è un’inutile illusione, ma è il nostro contributo necessario alla costruzione del mondo voluto da Dio. Essere cristiani, quindi, non significa diventare custodi di un passato che si cerca in tutti i modi di risuscitare, ma significa saper guardare al futuro con speranza, cercando di discernere quali sono le opportunità che ci vengono offerte sia dalle crisi in atto, che dall’incontro tra le culture e quindi dalla fine dell’egemonia di un pensiero unico.

Se noi leggessimo veramente la Scrittura con lo stesso Spirito con cui è stata scritta, ci accorgeremmo che Dio parla proprio attraverso le crisi e che ciò che da un punto di vista umano sembra un tramonto, in realtà è l’alba di un nuovo giorno. L’apostolo Paolo aveva giustamente sintetizzato l’essere cristiano in tre aspetti che sono strettamente connessi: fede, speranza e amore (1 Cor 13). Se noi non coltiviamo concretamente la speranza in un mondo giusto, attraverso l’impegno che nasce dall’amore, vuol dire che non abbiamo fede nel Dio di Abramo e di Gesù Cristo che invece, proprio perché ama, da quando ha steso l’arco dell’alleanza con Noè, concede all’uomo sempre nuove opportunità. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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