Occupabilità e non occupabilità
15 Febbraio 2023
laFonteTV (3230 articles)
Share

Occupabilità e non occupabilità

Il reddito di cittadinanza (Rdc) è stato profondamente modificato. Lo riceveranno, per sette mesi gli ‘occupabili’ e, a partire dal 1 gennaio 2023, sarà abolito per tutti. Non è ancora dato a sapere quale sarà lo strumento normativo a cui sarà affidata la tutela di chi è privo di reddito o con reddito insufficiente e quindi effettivamente fragile e impossibilitato a lavorare oppure difficilmente occupabile e quali saranno i percorsi formativi e d’inserimento lavorativo per chi è ‘occupabile’. Si dovrebbe a questo punto definire la politica del lavoro in un mercato in cui ‘il lavoro-posti di lavoro’ se ne vanno. Non è, però, questa la sede per una tale discussione.

Si avanza qualche considerazione sulle modifiche apportate al Rdc. Si parla di poveri e non di persone le cui condizioni di vita intaccano la dignità umana. È un ritorno alla categorizzazione. Si fa distinzione tra poveri ‘occupabili’ e poveri ‘non occupabili’. Si riserva a questi ultimi un sostegno al reddito, ponendosi in direzione nettamente opposta a qualsiasi forma di universalismo come potrebbe essere il reddito minimo garantito auspicato dall’Unione Europea e adottato in molti Stati membri, sia pure con regole diverse. Come si identifica la categoria degli ‘occupabili’ nella fase di transizione e, poi, nel provvedimento normativo chi si vorrà prendere. Si ripropone una questione irrisolta. Si è discusso in passato dei cosiddetti ‘poveri abili’, stigmatizzandoli, vessandoli, internandoli nelle workhouses o case di lavoro. Se ne discute anche oggi e ci si affida a una categorizzazione funzionale al dibattito politico e facilitante semplificazioni di senso comune ma non, certamente, utilizzabile per decisioni politiche. Il termine ‘povero abile’, inserito in una norma, la rende oscura, indeterminata e di difficile uso concreto.

Chi sono i ‘non occupabili’? Quali sono le caratteristiche che li rendono tali? La legge finanziaria considera tali gli over-sessanta, i nuclei familiari con minori, le persone disabili e le categorie menzionate nel Rdc. Persone con disabilità, over-sessanta e genitori, sono ‘occupabili’. Emerge un paradosso. Si definisce un povero abile occupabile e lo si costringe a non dipendere dalla finanza pubblica, istituzionalizzando la categoria dei poveri ‘non occupabili’. Questi ultimi godono di un diritto a un sostegno del reddito poiché sono poveri ‘incolpevoli’, ma, allo stesso tempo, si nega loro, simbolicamente, di poter essere soggetti attivi nel mercato del lavoro. È scorretto affidare alle sole caratteristiche individuali l’inserimento in una categoria che ha diritto a un sostegno al reddito. Hanno peso sulla non-occupabilità il mercato del lavoro e la mancanza di misure adeguate di conciliazione. Contesto socio-economico e offerta della policy contribuiscono alla definizione di occupabilità. La normativa deve prenderne atto.

Si possono individuare le persone occupabili o non-occupabili sulla base delle loro caratteristiche (fisiche, familiari, capitale umano e altro ancora). Si rischia, però, l’istituzionalizzazione dell’esclusione dal lavoro per differenze. Se si fissa le caratteristiche dell’occupabilità non riferendosi solo ai soggetti, ma si tiene conto anche del contesto socio-economico in cui costoro dovrebbero prestare la loro attività lavorativa, diventa allora difficile distinguere una persona disabile da una persona pienamente abile in un contesto in cui non vi siano possibilità occupazionali per entrambi. È una scarsa attenzione a questa contraddizione che si allinea con un diffuso e condiviso processo di progressiva individualizzazione e responsabilizzazione della condizione di povertà. Sposta l’attenzione dal processo di impoverimento verso la povertà (risultato di tale processo) e alla messa in un canto del contesto socio-economico nell’analisi della stessa povertà e nella costruzione delle risposte di policy sia a livello politico che nel dibattito scientifico. Porre al centro i contesti socio-economici e il mercato del lavoro significa intaccare la confusione tra volontà di lavorare e possibilità di lavorare, causa di strumentalizzazioni e di stigmatizzazioni. Non si può imputare a chi non lavora, pur avendone le caratteristiche, la mancanza di volontà o al più di capacità adeguate per cui gli si deve revocare il sostegno reddituale e sostituirlo con percorsi formativi. Si nega il diritto a un reddito che garantisca la dignità umana, propria di ogni persona, e si ignora ciò che l’Unione Europea va proponendo da tempo agli Stati membri: un reddito minimo garantito. L’Italia continua a ignorare tale raccomandazione richiamata e proclamata in vari/e risoluzioni, documenti e carte comunitari/e. Si deve chiarire che cosa significa ‘poter lavorare’.☺

 

laFonteTV

laFonteTV