P’lieje – cr’somm’le – a papagne
29 Agosto 2017
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P’lieje – cr’somm’le – a papagne

Mentre mi accingevo alla preparazione di una finissima tisana di origano, mi è venuto in mente il nome dialettale di questa meravigliosa pianta che prevede usi diversi: P’lieje. Mi sono allora chiesto: come mai questo nome? Da cosa deriva. Pochi giorni prima avevo realizzato alcune ricette di cucina romana, consigliate dal famoso Marco Apicio. Nel leggere il ricettario (Manuale di Gastronomia, Rizzoli) avevo notato, tra le spezie, l’uso del puleggio. Stimolato dai profumi della salutare bevanda, intuisco che la somiglianza del nome di tale essenza al P’lieje non fosse pura casualità. Approfondendo la questione documentandomi. vedo che il puleggio è una specie di mentuccia, la Menta pulegium, che i latini chiamavano Puleium. Le mentuccie fanno parte della stessa famiglia dell’origano, le Labiate, prevedono gli stessi usi e inoltre nella fase giovanile possono essere scambiate, attraverso un’analisi superficiale, per piccole piante di origano.

A volte succedanee di alcune piante prendono gli stessi nomi. Infatti, diverse piante vengono erroneamente chiamate “asparagi” o “cicorie”, con un accostamento culinario e non botanico del nome all’essenza.

Sembra che ancora oggi il puleggio venga utilizzato per aromatizzare pietanze, tuttavia il suo olio essenziale, puro, è estremamente pericoloso, letale anche in quantità modeste. Quindi o a causa di un medesimo uso o per errore di determinazione botanica penso che l’origano, nel passato, sia stato denominato erroneamente Puleium. A rafforzare tale mia ipotesi c’è che il puleium, secondo Plinio, agisce contro le pulci poiché strofinandolo sul corpo, o con altre modalità di utilizzo, sembra avere un’azione repellente contro questi insetti: quindi il termine con cui si indica la pianta potrebbe derivare da Pulex ovvero Pulce. Tuttavia ancora oggi, in preparati industriali, anche l’olio essenziale di origano, insieme a quello di altre essenze, svolge questo ruolo di antiparassitario contro le pulci.

In questi giorni, con la raccolta delle mie albicocche, mi sono ricordato dei termini dialettali con cui vengono denominate. Normalmente le albicocche di dimensioni non eccessive si chiamano V’rl’ncocche mentre per quelle giganti si usa un altro nome Cr’somm’le. Mi sono sempre chiesto da dove provenisse questo ultimo termine. In questi giorni, in seguito alla lettura di un testo di Columella, L’arte dell’agricoltura, ho avuto, finalmente, la risposta attesa da anni. Nell’epoca di Columella venivano coltivate diverse cultivar di mele. Ad una di queste, da una combinazione di termini greci, veniva dato il nome di Crisomelina, dal significato di pomo di color oro. Probabilmente nel tempo, per le dimensioni eccessive simili ad una mela, visto il color oro delle albicocche, ad una cultivar di queste, per traslazione fu usato il termine con cui si indicavano nel passato le mele citate da Columella. Quindi l’uso del termine Cr’somm’le a Larino e dintorni è probabilmente in continuità linguistica con una tradizione antica agganciata ad una storia agricola che si perde nel tempo. La dimensione notevole di questi frutti, enorme rispetto alla norma, ha permesso nel tempo l’utilizzo di questo nome anche in altri contesti. Ad esempio, si usa quando si riceve o si dà un pugno forte: te chiante na Cr’somm’le! Oppure: za b’scate na Cr’somm’le! Tuttavia, per i pugni si usa anche dire: l’ha chiantate nu Papagnone!

Da dove proviene l’uso di questo termine e modo di dire? È legato all’uso nel passato di una ormai rara specie di papaveri il Papaver somniferum chiamato a Larino e dintorni U Papagnone. Questa pianta racchiude principi biochimici ma non solo, essa custodisce le storie che mi sono state narrate da mia nonna, mia mamma e altri parenti.

Il Papavero infestante nei campi di grano è il Papaver rhoeas o rosolaccio, invece u papagnone è più raro, completamente diverso sia nelle foglie che nel colore dei petali. Contiene sostanze stupefacenti quali morfina, codeina, papaverina e altre .Veniva utilizzato per addormentare i bambini, da cui il detto minaccioso mostrando il pugno: mo te chiande nu papagnone. Non a caso Morfeo, il dio dei sogni, era rappresentato con un mazzo di papaveri tra le mani. Tra l’altro il legame con questa figura mitologica spiega il nome dato ad una delle sostanze che la pianta contiene: la morfina. La legge 685 del 22/12/1975( art 26 e 28) rende illegale la coltivazione del Papaver somniferum.

Vi svelo un racconto di mia nonna Assunta e mia mamma Carmelina. Un giorno una bambina minorenne fu lasciata a casa da sola con un fratello ancora più piccolo. I genitori lavoravano, in campagna, dalla mattina alla sera tardi, rientravano a casa quando era già buio. Un giorno, prima di recarsi ai campi, all’uscita di casa, la mamma per l’ennesima volta si raccomandò alla figlia di tenere d’occhio il fratellino. La ragazzina aveva tanto voglia di giocare insieme ad altre sue amiche, invece come sempre doveva stare a casa per controllare il suo fratellino vivace. Si ricordò che per addormentare i piccoli, utilizzavano, per l’appunto U Papagnone. Si procurò il necessario e lo somministrò al fratellino, con una dose tale che dormì tutto il giorno e lei felicemente fu libera di giocare. Al ritorno, la mamma ebbe risposta affermativa quando chiese alla ragazzina minorenne se era andato tutto bene col fratellino, che, beatamente, continuò a dormire fino al giorno successivo.

La storia di mia nonna ci insegna come sia pericoloso improvvisarsi naturopata, il pericolo di un’intossicazione o di un avvelenamento è sempre dietro l’ angolo, con le piante non si scherza. Per questo effetto, per il fatto che provoca sonnolenza, ai primi colpi di sonno a Larino e dintorni, ma anche in altre aree geografiche, dicono: mi è venuta na papagna. A volte il termine Papagna viene utilizzato per denunciare una evidente stanchezza. Ora però è venuto il momento di fermarmi con lo scritto, naturalmente per evitare a voi una grande papagna!

 

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