Popolarità a tutti i costi
22 Giugno 2019
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Popolarità a tutti i costi

“Un vecchio adagio suona più o meno così: ‘Ferisce più la lingua che la spada’. Credo che questa perla di saggezza popolare sia quanto mai appropriata in questi tempi in cui sembra si sia perso il filo dell’umanità e, perché no, dell’ educazione. Affacciarsi sulle ‘piazze’ dei social ci offre con insopportabile frequenza lo spettacolo di aggressioni verbali verso colui o colei con i quali l’interlocutore non si trova d’accordo. Spigolosità, asprezza e, talvolta, turpiloquio segnano i moderni dialoghi virtuali” (Franco Mayer, Riforma, 9 maggio 2019).

Da più parti si ravvisa la pericolosità dello strumento di comunicazione per eccellenza del nostro tempo: sto parlando dei social media, la piazza virtuale che ha soppiantato i tradizionali luoghi di incontro e di scambio che consentivano alle persone di interagire verbalmente. Pochi sono coloro i quali tentano di tenersi lontani dal richiamo di questi mezzi, ed ormai quasi nessuno può sottrarsi alla loro influenza. La società occidentale, a qualsiasi livello, ricorre alla comunicazione via social, imponendola a sua volta come stile comunicativo per eccellenza. Se anche il presidente degli U.S.A. predilige Twitter quale canale per veicolare non soltanto le opinioni personali ma anche la sua linea politica, c’è poco da stupirsi se anche nel nostro ambiente politico il dibattito è incentrato su laconici e non sempre circostanziati messaggi o immagini il cui unico scopo è quello di dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica, condizionandone il giudizio.

Qualche settimana fa l’immagine di un noto politico con un’arma tra le mani ha destato scalpore, suscitando commenti e dichiarazioni tra le più disparate: indignazione e preoccupazione dalla parte politica avversaria – “messaggio minaccioso, pericoloso, istigatore di possibili future violenze”, “eloquente e agghiacciante”; ridimensionamento a livello di gioco da parte dei sostenitori. Eppure questi messaggi, che siano battute, scherzi o foto ironiche, passano e lasciano il segno in chi riceve il messaggio; siamo proprio sicuri che siano indolori, che la libertà di espressione sia compresa nel giusto modo, che il pubblico sia abbastanza maturo da discernere correttamente?

Gli artefici di queste contemporanee forme di comunicazione, persone ben consapevoli del proprio ruolo ed esperte nel campo, si chiamano, con termine anglofono, spin doctor. Chi sono costoro? Stiamo parlando di persone che coadiuvano coloro che ricoprono incarichi pubblici, in politica o in altri settori importanti della società, ad impostare e quindi conservare la popolarità ed il consenso di cui hanno bisogno; sono esperti nel campo della comunicazione, il cui compito è curare e promuovere l’immagine. L’espressione è nata in America negli anni ’80, durante la campagna elettorale che portò alla Casa Bianca Ronald Reagan. Sulla scelta del termine spin le interpretazioni si differenziano: la più probabile è il riferimento alla mossa che in alcuni sport, ad esempio il tennis, fa deviare la palla. Si vorrebbe alludere quindi alla rapidità che caratterizza i messaggi veicolati: “spiazzare” l’ interlocutore attraverso una comunicazione sempre più repentina e sorprendente. Considerando la locuzione nella sua interezza alcuni intendono spin doctor come l’azione del pescatore quando usa l’esca! In questo caso viene posto l’accento non soltanto sulla immediatezza del messaggio bensì sulla sua poco manifesta chiarezza: attirare senza lasciare spazio alla effettiva comprensione!

Non si può non convenire che si tratti di una strategia studiata la quale insegue due elementi significativi per ottenere il proprio obiettivo: pervasività e disintermediazione. Lo spin doctor, che sostiene il personaggio pubblico del momento, tenta di farlo apparire come una persona qualsiasi (“uno di noi!”) perché ciò di cui parla e le azioni che compie sembrano rientrare nel quotidiano di ognuno; avvicinarsi al semplice cittadino, condividere la sua condizione, i suoi problemi, il suo “malessere” consente di creare consenso e approvazione facendo leva sulle reazioni istintive di chi ascolta o legge i messaggi.

L’esibizione, in rete, di ciò che si è o si pensa, è denominata “autenticismo”, vale a dire “qualcosa che fa finta di esprimere pubblicamente se stesso, ma esprime, vende e spettacolarizza quella parte di se stesso che serve sempre di più per vendere un proprio prodotto, una propria opinione o, magari, vincere le elezioni” (Adriano Fabris).☺

 

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