quale società e quale sinistra?
21 Marzo 2010 Share

quale società e quale sinistra?

 

Ho letto con un certo interesse l’articolo “pro veltrusconi”, pubblicato in marzo; condivido l’analisi, il rammarico e la preoccupazione per una sinistra che sembra aver perso la “bussola”. La riflessione, tuttavia, è estensibile all’intero sistema politico italiano, caratterizzato da continue metamorfosi e fragilità.

I partiti sono gli strumenti attraverso i quali l’idea di società, di economia, di stato può trovare realizzazione concreta. Tuttavia, la proliferazione degli stessi, così come avvenuta in Italia, ha qualcosa di inquietante e sintomatico. Si pensi, ad esempio, al partito dei consumatori, fondato da un’associazione di categoria. Ho sempre pensato che lo sviluppo abnorme di tali entità (per costituzione ex novo e/o per scissione di partiti) non era riconducibile solo a meccanismi che ne garantivano l’esistenza (il riconoscimento, ad esempio, del finanziamento pubblico), ma anche alla crisi della politica italiana, incapace evidentemente di tutelare e rappresentare le istanze che provenivano dalla società. Credo che di tale incapacità si è avuta ampia conferma nel tempo; l’attuale quadro economico-sociale, ad esempio, non è altro che la risultanza di politiche fortemente liberiste, di malsano capitalismo, di scarsa attenzione alle problematiche sociali. Se è vero che la crisi ha una connotazione internazionale, è anche vero che germi della stessa erano evidenti in Italia da un po’ di tempo e la società civile ha manifestato il proprio disagio (precariato, bassi redditi, costo della vita, aumento diseguaglianza sociale e povertà, ecc.).

È legittimo allora chiedersi: “Dov’ era la sinistra?” Alcuni diranno: “il Governo”; altri diranno che ha governato per brevi periodi ed è stata incapace di dare continuità alla propria azione per problemi interni e contingenti o meglio di “convivenza politica”. Questa sicuramente è una delle cause dell’incapacità, ma ve ne sono anche altre. Credo che quando si ha un’identità ben definita si è “presenti” in ogni ruolo, di opposizione e di forza di governo, ma si è presenti con le proprie idee e con l’adesione della base. I governi di centro-sinistra, talora, hanno applicato politiche di liberalizzazione/privatizzazione e, a mio modesto parere, sono state fatali per le loro stesse sorti, in quanto sono caduti dei punti di riferimento; se poi a pagare le conseguenze di tali politiche sono state le categorie più deboli, che si identificavano in certe idee, allora il risultato è quasi scontato.

L’elenco delle privatizzazioni attuate da vari governi ed enti locali è piuttosto lungo (acqua, mercato dell’energia, trasporto aereo per fare degli esempi). Da ultimo toccherà alle Università, che potranno essere trasformate in fondazioni. Qualcuno all’Università di Bologna ha calcolato che, nella malaugurata ipotesi in cui ciò avvenga, il costo in termini di sole tasse di iscrizione per studente sarà di circa €. 7.000 annui! Non oso immaginare l’effetto deleterio che avrà tutto ciò sulla formazione della classe dirigente, sulla ricerca, evidentemente succube degli interessi di profitto privati, sulla struttura sociale. Nei palazzi del potere sembra che a preoccuparsi delle conseguenze di ciò siano in pochi!

Lo scenario politico che si ha di fronte è quello tipico del teatrino o del  laboratorio chimico in cui si sperimentano formule di ogni sorta alla ricerca di chissà quale alchimia. Si propone ancora il “prodotto nuovo” (nuovo partito), talora coacervo di posizioni difficilmente coese ed amalgamabili. La semplificazione del quadro politico, a mio avviso, è avvenuta con un procedimento forzato, mentre avrebbe dovuto essere il frutto di una condivisione più ponderata e di una sintesi di valori, che si realizza solo con il confronto. Nella vita politica italiana si tenta di applicare il sistema americano o bipolarismo (di americano si ricordano solo le figure di Berlusconi e di Putin aggirarsi nel campo da golf!), ma in realtà è difficile che si realizzi in una situazione in cui il Presidente del Consiglio non solo ha il potere politico ma anche economico, in cui l’elettorato dei “partiti esclusi” non si sente rappresentato e quello di riferimento del centro sinistra deluso. In questo contesto come si possono difendere gli interessi dei più deboli? Come è possibile contrastare certe azioni?

Il quadro della società che emerge mostra che c’è bisogno di politiche di sinistra; ma è la sinistra stessa che deve saper interpretare la realtà e non rifiutare di essere se stessa, di far riferimento alla propria scala di valori (centralità del lavoro, uguaglianza sociale, welfare, laicità) e sia pure nelle diversità di vedute, trovare una sintesi in essi per costruire una strategia di governo o di opposizione.

Nei contesti macroeconomici e politici che si sono manifestati in questi anni vi erano le condizioni e le “circostanze” per avere una coesione di valori e di azione, ma nella sinistra italiana si è realizzato il fenomeno opposto e cioè la frammentazione. La destra, invece, sembra unita e adotta politiche che apparentemente sembrano di sinistra (sarà colpa o merito della crisi?).

Insomma, mi chiedo se le dirigenze della sinistra e del centrosinistra abbiano sofferto e soffrano di attacchi di cecità! In tal caso o vi è la constatazione dell’allontana- mento da quei valori di riferimento (e, quindi, il fallimento completo!) o il ricambio della classe dirigente stessa, necessario per ridefinire azione, ruolo e obiettivi.☺

ssantoi@tin.it

 

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