Residenzialità psico-sociali
11 Ottobre 2017
laFonteTV (3191 articles)
Share

Residenzialità psico-sociali

La storia recente della residenzialità e semi-residenzialità psico-sociale in Molise non può essere compresa senza uno sguardo retrospettivo più ampio, che comprenda la nascita stessa, e lo sviluppo del settore.

Dagli sforzi pioneristici e coraggiosi, dai progetti grandiosi di reinserimento sociale dei nostri pazienti, si è passati ad una lunga fase di stallo, durante la quale la mancanza di pianificazione politica e tecnica si è accompagnata alle convenienze ed alle clientele di turno, lasciando immutato – e dunque in uno stallo regressivo – il settore della riabilitazione residenziale.

13 le strutture residenziali per la cura dei disturbi psichici in regione. Penalizzata l’area del Basso Molise

L’ampio numero di strutture (13) presenti su un territorio relativamente piccolo come quello molisano è certamente figlio di esigenze immediatamente rintracciabili nel recepimento effettivo della legge 180, ma oggi appare l’esito di una cattiva – o inesistente – revisione dei livelli di offerta terapeutica e della qualità del lavoro svolto. In sostanza, lo spirito che anima il lavoro terapeutico-riabilitativo è ancora legato all’assistenzialismo delle case-famiglia, e le modifiche introdotte in organico grazie agli sforzi delle cooperative che gestiscono i servizi sono atti di buona volontà, ma che rischiano di non mutare l’assetto di fondo delle nostre strutture. Bisogna notare anche che la storia ha lasciato una ampia sperequazione territoriale, dando vita ad una strana distribuzione delle strutture, che vede penalizzato un territorio (quello del basso Molise), a favore di uno meno densamente abitato (l’alto Molise); da quanto emerso dagli incontri con i responsabili ASREM e Regione Molise, una tale organizzazione territoriale verrà confermata.

A fronte di una eredità del genere, l’immobilismo delle politiche sanitarie regionali ha recentemente ricevuto una serie di scossoni, dando vita a documenti che progettano una differenziazione dei livelli di intensità dell’offerta riabilitativa. Se da un lato è necessario considerare ciò in una luce decisamente evolutiva, non si può fare a meno di entrare nel merito delle proposte che si sono succedute.

Non è più possibile rinviare la selezione dei livelli di intensità offerta, rompendo l’omogeneità della residenzialità che tende a schiacciare verso il basso la qualità del lavoro di riabilitazione; pur mantenendo una posizione di contrarietà nei confronti delle ultra-specializzazioni, crediamo opportuno uscire da un clima di improvvisazione e estemporaneità, in cui “tutti fanno tutto”, a fronte di una sempre maggiore complessità della psicopatologia e delle emergenze sociali che la contemporaneità pone.

Ciò che non convince è lo spirito, l’ideologia alla base di tale riconversione; certamente non si tratta di un dato specifico del nostro territorio, quanto piuttosto di una tendenza che trova le sue radici nella cultura egemone nell’ambito delle scienze psicologiche, della riabilitazione e, più in generale, della cultura scientifica dominante.

Nella quotidianità del nostro impegno riscontriamo già i germi di quella re-istituzionalizzazione che sembra agire come convitato di pietra nello spirito delle proposte di riassetto del comparto della salute mentale residenziale: il controllo sociale è sempre più demandato agli operatori di base, e l’ingresso di pazienti ex OPG non ha fatto che acuire le contraddizioni insite nella questione. La scarsa qualità dei servizi può incidere su questi dati, poiché ci pare di poter mettere in relazione l’assenza di progettualità (non si pensa in termini di dimissioni, ma di permanenza del paziente presso le strutture) con l’idea di una reclusione “dolce”, non ufficiale, ma che certamente risponde al mandato sociale implicito di separare e controllare.

La sanitarizzazione delle figure professionali

Contemplata nelle ultime proposte dell’ASREM e della Regione Molise (DCA 36 del 23 Giugno 2017, e precedente DCA n.68), rappresenta un ulteriore polo del rischio di autoreferenzialità delle residenze: la gran parte del personale previsto in quei documenti sarebbe di natura sanitaria o para-sanitaria, pur permanendo – almeno ufficialmente – l’obiettivo terapeutico-riabilitativo di natura psico-sociale. Non è forse questa una contraddizione? Si tratta di una forma di difesa estrema, che identifica l’elemento riabilitativo in quello contenitivo e derubrica l’elemento terapeutico a farmacoterapia, espellendo così dal tavolo della discussione l’istanza perturbante della soggettività del paziente psichiatrico, che rifiuta di entrare negli schemi semplicistici e nelle griglie di valutazione.

Non si può spacciare la sanitarizzazione per un progetto volto a incrementare la qualità dei servizi; al contrario, ci sembra necessario sottolineare quanto queste disposizioni regionali ricalchino e cristallizzino – dandone una veste formale e ufficiale – modalità, ideali e prassi antichi, che nascono e proliferano nella riduzione del lavoro di riabilitazione psico-sociale a semplice assistenzialismo, venato da contorni familistici e dal buon senso.☺

 

laFonteTV

laFonteTV