rifiuti
14 Aprile 2010 Share

rifiuti

 

In Campania, nella sola Napoli e provincia, si ammassano, ogni anno e per “individuo”, circa 550 kg di scorie provenienti dal consumo di “merci”, all’incirca la stessa massa dell’”esemplare cittadino” della sabauda provincia di Torino (553) o della meneghina Milano (586), ma l’effetto sull’ambiente e sulla “società” sembra assumere connotati sostanzialmente controversi a quello di questi ultimi. Come mai? Una prima considerazione che dobbiamo fissare come dato oggettivo è che il fenomeno “rifiuti”, che oggi ci appare come fatto specifico “geografico e sociale”, altro non è che fenomeno a carattere “generale”. Se non ha ben chiaro tale fenomeno generale il “fesso” di turno lo imputa al napoletano scansa fatica. In sostanza, fino a quando il capitale-merce, nazionale ed anche estero, nella sua fase industriale produzione-consumo trovava, per motivi di convenienza specifici, bestialmente utile smaltire le proprie “scorie” in Campania (e sicuramente anche altrove) tutto filava nel migliore dei modi. Rotto il punto di equilibrio della sopportazione “popolare” ecco la “sporcizia” venire a galla e inondare tutti noi attraverso l’altro grande produttore di “ideologica monnezza” che è la televisione. E la "sporcizia" partenopea, come per incanto, diviene, come una meretrice, principale protagonista della strada e lasciata a se stessa dal Pubblico Potere. Sembra lasciata lì a minacciarci tutti come una bomba innescata. Sarà così? Solo il fesso di turno può crederci.

Il “problema” va risolto. Come? Per intanto il Pubblico Potere, rinsavito, affida la soluzione del “caso”ad un suo poliziotto-commissario. Egli ha pieno mandato di smaltire le “maledette scorie” in tutta Italia e anche in qualche altro paese “amico”. L’iniziativa non fa che creare nuove “rivolte popolari” in Italia, ma fa accettare il “prodotto” da chi ha già, da tempo, annusato l’affare. Ecco scoperchiarsi una pentola nella quale “miracolosamente” compaiono una massa di interessi ben connessi tra di loro. La "popolazione" rifiuta i mefitici odori e non vuole rischiare di ammalarsi; lo Stato dà ragione al proprio “popolo”, ma richiede ad esso un alto “impegno sociale”: deve collaborare a differenziare la cacca della produzione-consumo affinché possa innescarsi una catena di montaggio che sbocchi fino al cosiddetto impianto di “valorizzazione termica”; i pargoli dei capi-bastone, usi al maneggio politico-economico, gestiranno tutto il processo, non senza un adeguato profitto. Lo smaltimento alleggerisce i salari di 200 euro a tonnellata, 100 euro pro capite all'anno, più la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio. Una semplice operazione di moltiplica per il numero delle “italiche teste” fa diventare squalo anche una sardina. È un affare enorme dentro cui, possiamo esserne certi, ci sguazzerà sia il così detto capitale “legale” che quello illegale, molto più pragmatico, diventato anch’esso industria. Tutta l’operazione richiede l’appoggio del “popolo” con le sue rimostranze e quello dello Stato. O al contrario, che è la stessa cosa. Rifiuti industriali e rifiuti sociali appassionatamente insieme pur di non fermare il diabolico giro: inutili produzioni per inutili consumi. Tentativi di soluzioni degli effetti deleteri che, nel dissennato sistema mercantile, sono occasioni di notevole profitto, ma cause di futuri immani disastri. ☺

 

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