salviamoci insieme
19 Febbraio 2010 Share

salviamoci insieme

Per noi terremotati – e con questo termine intendiamo non solo coloro che hanno subito danno dagli sconvolgimenti della natura ma anche quanti hanno dovuto abbandonare la loro terra espatriando, quelli ridotti alla fame da una cattiva politica o dal perfido mercato, quelli sopraffatti dai soprusi, in una parola tutte le vittime – le cose non vanno assolutamente bene. E non ci allevia il morale la consapevolezza che la terra sta morendo, della serie mal comune mezzo gaudio, o che l’Italia attraversi una crisi di democrazia spaventosa. Anzi, tutto ciò ci fa levare un grido di allarme: salviamoci insieme, perché l’uno contro o a prescindere dall’altro sarebbe l’ultimo atto della catastrofe annunciata.

Siamo sulla stessa barca, ripete spesso meno di un quinto dei passeggeri a bordo del transatlantico chiamato terra che ha occupato un posto in prima classe incurante che l’acqua stia sommergendo irreparabilmente gli oltre quattro quinti degli imbarcati che viaggiano nella stiva soffrendo ogni genere di privazioni fino a poter soddisfare i bisogni primari. È bene ribadire che non ci sarà nessuna arca di Noè che trarrà in salvo alcuni lasciando perire i più. “Stiamo scoprendo la terra come la casa comune, l’unica che abbiamo e ci stiamo accorgendo che siamo un’unità indissolubile di relazioni e di futuro” (Pedro Casaldàliga). Perciò non è sufficiente lottare per il bene comune di un gruppo, di una nazione, se i benefici non raggiungono tutti. Come era prevedibile, dal vertice ONU di Copenaghen sul cambiamento climatico è venuto fuori non più di una dichiarazione di intenti che non troverà attuazione pratica in quanto le nazioni ricche non vogliono rinunciare ai privilegi usurpati. La riprova è che ancora una volta i manifestanti non sono stati visti come preziosi alleati per il cambiamento, ma controparte da mettere a tacere anche con maniere forti.

L’ecologia, ovvero la scienza e l’arte delle relazioni tra tutti gli esseri viventi e gli ambienti nei quali vivono, è un tema nuovo che ci trova impreparati e in ritardo, ma è disperatamente urgente. Siamo stati educati a sfruttare la terra senza tener conto delle conseguenze. Ora la terra comincia a vendicarsi. Sparisce una specie vivente, sia vegetale che animale, ogni ora; il clima si sta surriscaldando e se la temperatura sale di soli due gradi ci saranno sconvolgimenti già abbozzati; e tuttavia si sono assoldati specialisti e istituzioni per far proclamare che non c’è problema, che gli allarmismi sono fuori luogo, che il catastrofismo è una moda. Il mercato non risolve il disastro mondiale: più libero è stato il commercio, più reale è stata la fame. Un motivo di speranza viene da una sempre più alta e partecipata coscienza collettiva e dal fatto che tutte le chiese occidentali hanno messo a tema una maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente indicando la necessità di un’ecologia realmente umana che tenga conto dei diritti ma anche delle responsabilità che abbiamo l’uno verso l’altro nonché verso le future generazioni. La sfida del cambiamento climatico è una questione di giustizia nei confronti delle nazioni meno sviluppate. Forse è il caso di riscoprire la sobrietà, come ci viene ricordato anche nel messaggio del papa per la giornata mondiale della pace dal significativo slogan: “Se vuoi la pace, custodisci il creato”.

È proprio l’attenzione al creato che ci porta a lottare perché sia affermato e riconosciuto il diritto di cittadinanza di tutti gli esseri umani, altro che pacchetto sicurezza; che ci trova accanto a coloro che vedono il posto di lavoro a rischio o che ne sono rimasti senza; che ci impegna per la ricostruzione delle zone col- pite dal sisma contro politicanti e profittatori incuranti del bene comune e interessati a loschi interessi di bottega. Come non contrastare allora il sindaco di Casacalenda che va cambiando le carte in tavola mettendo delle lavoratrici in mezzo alla strada e annuncia querela contro chi lede l’immagine del suo municipio, o il sub commissario che non è stato capace di elaborare un progetto di sviluppo comune per i paesi danneggiati dal terremoto? Non abbiamo ancora capito in che cosa consiste il suo lavoro specifico per i terremotati, visto che la sua lauta parcella contribuisce ad assottigliarne le risorse. A quanti in Abruzzo portano i segni dello sconquasso operato dal sisma diciamo di vigilare perché nel Molise, più catastrofico del terremoto è stato il commissario alla ricostruzione, nonché presidente della giunta regionale.

La necessità di un’ecologia politica ci porta ad affermare con chiarezza che non è con le pietre, sia pure a forma di duomo, che si ferma il portatore di palle, ma lui e coloro che lo assecondano vanno fermati prima che sia troppo tardi, prima che la democrazia venga assassinata e con essa la libertà di informazione, di manifestare, di dissentire, di creare alternative possibili. È il rispetto delle regole, condivise e non imposte o peggio create a vantaggio di pochi contro i più, che ci trova impegnati a costruire un socialismo ecologico dove tutti gli esseri della natura, dai paesaggi alle piante, dagli animali all’uomo, sono i nuovi cittadini con il diritto di esistere dignitosamente.

Salviamoci con il pianeta, recita lo slogan dell’agenda latinoamericana 2010. Non vogliamo vivere alle spalle della natura, il nostro impegno è determinante, mai superfluo se anche il peso di una farfalla può cambiare il corso di una storia, ci trasmette Erri De Luca nel suo ultimo bellissimo romanzo. La rassegnazione, perciò, non abita la nostra esistenza.☺

eoc

eoc