Il 19 marzo del 1994 moriva, ucciso dai Casalesi, don Giuseppe Diana. Non tocca a me tracciarne un profilo. Non saprei da dove cominciare, non basterebbero le parole per raccontarlo. Tocca a me, però, come insegnante, immaginare cosa possa fare la scuola per continuare l’opera di don Diana, dei tanti don Diana che sono morti perché sono stati lasciati soli (non perché le mafie sono onnipotenti). Ho provato a buttarlo giù.
La scuola prosegue il cammino di don Peppe Diana…
1. quando educa i ragazzi ad essere liberi, a contestare un’insegnante per imparare a farlo di fronte a qualunque autorità, civile, politica o religiosa; quando li stimola a pensare con la loro testa e consente loro di esprimere il dissenso, affinché non confondano il rispetto con l’acquiescenza;
2. quando guida i ragazzi a scoprire che i libri di testo non sono infallibili, ma contengono errori, interpretazioni personali, lacune, giudizi talvolta arbitrari, e li abitua a utilizzarli criticamente; quando sceglie i libri di testo perché sono validi, non perché il fornitore è un amico;
3. quando non punisce e non demonizza i conflitti fra compagni, ma aiuta a leggerli e a risolverli in maniera creativa, intelligente;
4. quando non si accontenta di quello che si è imparato da giovani per l’abilitazione, ma continua a studiare e ad aggiornarsi per essere attrezzata a fronteggiare il presente;
5. quando aiuta la vittima a dire di NO al bullo, ma dopo va dal bullo e si occupa di lui;
6. quando insegna ai ragazzi il valore rieducativo della “punizione”, trasformandola in una “riparazione”, in un’esperienza di recupero della parte migliore di sé da offrire alla comunità;
7. quando non umilia chi non va al passo con gli altri, e non lo abbandona, ma lo aiuta a migliorare, a scoprire in sé i propri punti di forza – oltre a quelli di debolezza – e ad orientare in base agli uni e gli altri il futuro di ciascuno;
8. quando non fa sconti, quando chiede molto ai ragazzi, e li convince che la strada più giusta e gratificante per raggiungere i propri obiettivi è sempre la più lunga, fatta di sacrificio e di fatica paziente, perché le scorciatoie ti fanno forse furbo ma ti condannano a restare bambino e a sopravvivere di favori personali per tutta la vita; perché affidarsi, domani, alle raccomandazioni e al potente di turno per andare avanti è deprimente, oltre che disonesto;
9. quando dimostra agli alunni che sono tutti uguali, che certi cognomi o certe amicizie personali non contano in aula;
10. quando applica l’art. 3 della Costituzione e smette di perpetuare in classe le disparità sociali dalle quali partono i ragazzi, riuscendo a dare a tutti le stesse opportunità di raggiungere la propria meta
11. quando scopre che le mete dei viaggi d’istruzione, accanto ai tesori artistici, possono comprendere anche Barbiana, o le terre di don Peppe Diana e che agli adolescenti piacciono un sacco!
12. quando alza la testa e ha uno scatto di dignità verso i governi – di qualunque colore – che la prosciugano di risorse, trascurando la formazione dei giovani e ipotecando, in questo modo, il futuro di un intero paese;
13. quando insegna l’italiano con la consapevolezza che ogni parola in più che si conosce “è una pedata in meno nel sedere, come diceva don Lorenzo Milani, da parte del tuo padrone”. E oggi i padroni sono tanti, troppi, per i giovani;
14. quando sa che occorre tempo e tenacia perché queste opportunità vengano colte e vissute fino in fondo, ma continua a camminare senza stancarsi, e senza abbassare la guardia, verso questo ideale. J
Il 19 marzo del 1994 moriva, ucciso dai Casalesi, don Giuseppe Diana. Non tocca a me tracciarne un profilo. Non saprei da dove cominciare, non basterebbero le parole per raccontarlo. Tocca a me, però, come insegnante, immaginare cosa possa fare la scuola per continuare l’opera di don Diana, dei tanti don Diana che sono morti perché sono stati lasciati soli (non perché le mafie sono onnipotenti). Ho provato a buttarlo giù.
La scuola prosegue il cammino di don Peppe Diana…
1. quando educa i ragazzi ad essere liberi, a contestare un’insegnante per imparare a farlo di fronte a qualunque autorità, civile, politica o religiosa; quando li stimola a pensare con la loro testa e consente loro di esprimere il dissenso, affinché non confondano il rispetto con l’acquiescenza;
2. quando guida i ragazzi a scoprire che i libri di testo non sono infallibili, ma contengono errori, interpretazioni personali, lacune, giudizi talvolta arbitrari, e li abitua a utilizzarli criticamente; quando sceglie i libri di testo perché sono validi, non perché il fornitore è un amico;
3. quando non punisce e non demonizza i conflitti fra compagni, ma aiuta a leggerli e a risolverli in maniera creativa, intelligente;
4. quando non si accontenta di quello che si è imparato da giovani per l’abilitazione, ma continua a studiare e ad aggiornarsi per essere attrezzata a fronteggiare il presente;
5. quando aiuta la vittima a dire di NO al bullo, ma dopo va dal bullo e si occupa di lui;
6. quando insegna ai ragazzi il valore rieducativo della “punizione”, trasformandola in una “riparazione”, in un’esperienza di recupero della parte migliore di sé da offrire alla comunità;
7. quando non umilia chi non va al passo con gli altri, e non lo abbandona, ma lo aiuta a migliorare, a scoprire in sé i propri punti di forza – oltre a quelli di debolezza – e ad orientare in base agli uni e gli altri il futuro di ciascuno;
8. quando non fa sconti, quando chiede molto ai ragazzi, e li convince che la strada più giusta e gratificante per raggiungere i propri obiettivi è sempre la più lunga, fatta di sacrificio e di fatica paziente, perché le scorciatoie ti fanno forse furbo ma ti condannano a restare bambino e a sopravvivere di favori personali per tutta la vita; perché affidarsi, domani, alle raccomandazioni e al potente di turno per andare avanti è deprimente, oltre che disonesto;
9. quando dimostra agli alunni che sono tutti uguali, che certi cognomi o certe amicizie personali non contano in aula;
10. quando applica l’art. 3 della Costituzione e smette di perpetuare in classe le disparità sociali dalle quali partono i ragazzi, riuscendo a dare a tutti le stesse opportunità di raggiungere la propria meta
11. quando scopre che le mete dei viaggi d’istruzione, accanto ai tesori artistici, possono comprendere anche Barbiana, o le terre di don Peppe Diana e che agli adolescenti piacciono un sacco!
12. quando alza la testa e ha uno scatto di dignità verso i governi – di qualunque colore – che la prosciugano di risorse, trascurando la formazione dei giovani e ipotecando, in questo modo, il futuro di un intero paese;
13. quando insegna l’italiano con la consapevolezza che ogni parola in più che si conosce “è una pedata in meno nel sedere, come diceva don Lorenzo Milani, da parte del tuo padrone”. E oggi i padroni sono tanti, troppi, per i giovani;
14. quando sa che occorre tempo e tenacia perché queste opportunità vengano colte e vissute fino in fondo, ma continua a camminare senza stancarsi, e senza abbassare la guardia, verso questo ideale. J
Il 19 marzo del 1994 moriva, ucciso dai Casalesi, don Giuseppe Diana. Non tocca a me tracciarne un profilo.
Il 19 marzo del 1994 moriva, ucciso dai Casalesi, don Giuseppe Diana. Non tocca a me tracciarne un profilo. Non saprei da dove cominciare, non basterebbero le parole per raccontarlo. Tocca a me, però, come insegnante, immaginare cosa possa fare la scuola per continuare l’opera di don Diana, dei tanti don Diana che sono morti perché sono stati lasciati soli (non perché le mafie sono onnipotenti). Ho provato a buttarlo giù.
La scuola prosegue il cammino di don Peppe Diana…
1. quando educa i ragazzi ad essere liberi, a contestare un’insegnante per imparare a farlo di fronte a qualunque autorità, civile, politica o religiosa; quando li stimola a pensare con la loro testa e consente loro di esprimere il dissenso, affinché non confondano il rispetto con l’acquiescenza;
2. quando guida i ragazzi a scoprire che i libri di testo non sono infallibili, ma contengono errori, interpretazioni personali, lacune, giudizi talvolta arbitrari, e li abitua a utilizzarli criticamente; quando sceglie i libri di testo perché sono validi, non perché il fornitore è un amico;
3. quando non punisce e non demonizza i conflitti fra compagni, ma aiuta a leggerli e a risolverli in maniera creativa, intelligente;
4. quando non si accontenta di quello che si è imparato da giovani per l’abilitazione, ma continua a studiare e ad aggiornarsi per essere attrezzata a fronteggiare il presente;
5. quando aiuta la vittima a dire di NO al bullo, ma dopo va dal bullo e si occupa di lui;
6. quando insegna ai ragazzi il valore rieducativo della “punizione”, trasformandola in una “riparazione”, in un’esperienza di recupero della parte migliore di sé da offrire alla comunità;
7. quando non umilia chi non va al passo con gli altri, e non lo abbandona, ma lo aiuta a migliorare, a scoprire in sé i propri punti di forza – oltre a quelli di debolezza – e ad orientare in base agli uni e gli altri il futuro di ciascuno;
8. quando non fa sconti, quando chiede molto ai ragazzi, e li convince che la strada più giusta e gratificante per raggiungere i propri obiettivi è sempre la più lunga, fatta di sacrificio e di fatica paziente, perché le scorciatoie ti fanno forse furbo ma ti condannano a restare bambino e a sopravvivere di favori personali per tutta la vita; perché affidarsi, domani, alle raccomandazioni e al potente di turno per andare avanti è deprimente, oltre che disonesto;
9. quando dimostra agli alunni che sono tutti uguali, che certi cognomi o certe amicizie personali non contano in aula;
10. quando applica l’art. 3 della Costituzione e smette di perpetuare in classe le disparità sociali dalle quali partono i ragazzi, riuscendo a dare a tutti le stesse opportunità di raggiungere la propria meta
11. quando scopre che le mete dei viaggi d’istruzione, accanto ai tesori artistici, possono comprendere anche Barbiana, o le terre di don Peppe Diana e che agli adolescenti piacciono un sacco!
12. quando alza la testa e ha uno scatto di dignità verso i governi – di qualunque colore – che la prosciugano di risorse, trascurando la formazione dei giovani e ipotecando, in questo modo, il futuro di un intero paese;
13. quando insegna l’italiano con la consapevolezza che ogni parola in più che si conosce “è una pedata in meno nel sedere, come diceva don Lorenzo Milani, da parte del tuo padrone”. E oggi i padroni sono tanti, troppi, per i giovani;
14. quando sa che occorre tempo e tenacia perché queste opportunità vengano colte e vissute fino in fondo, ma continua a camminare senza stancarsi, e senza abbassare la guardia, verso questo ideale. J
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