Sepoltura ai vivi
11 Giugno 2023
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Sepoltura ai vivi

Il 17 giugno di quarant’anni fa iniziava uno dei casi più clamorosi di errore giudiziario in Italia. Quella notte fu infatti tratto in arresto Enzo Tortora, giornalista e conduttore televisivo, noto per trasmissioni di successo come La Domenica sportiva e Portobello (che toccò i 28 milioni di spettatori). L’ accusa di gravi reati, quali associazione camorristica e traffico di droga, si fondava unicamente su un’agendina trovata nell’ abitazione di un camorrista, un certo Giuseppe Puca detto O’Giappone, dove era scritto un nome che inizialmente apparve essere quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono. Ma il nome, dopo una perizia calligrafica, risultò quello di un tale Tortona, e nemmeno il recapito telefonico risultò appartenere al presentatore. La sua innocenza fu dimostrata solo dopo 7 mesi di reclusione, con l’assoluzione con formula piena, ma poco dopo la conferma della sentenza di assoluzione da parte della Cassazione, nel maggio 1988, Tortora morì di tumore.
La storia di questo calvario è ora ripercorsa da Gaia Tortora, sua figlia minore, nel saggio Testa alta e avanti, appena uscito per i tipi Mondadori. Gaia, oggi affermata giornalista e vicedirettrice del tg di La7, racconta il giorno dell’arresto, quando lei aveva solo 14 anni, e stigmatizza la malainformazione, oltre alla malagiustizia, di cui il padre fu vittima. Non sembra un caso che Gaia e la sorella maggiore Silvia, più grande di sette anni, abbiano poi entrambe seguito le orme del padre: come ha scritto Roberto Saviano in un post il 10 gennaio 2022, in occasione della scomparsa di Silvia – all’età di 59 anni, la stessa di Enzo -, “sanno più degli altri. Sanno che la gogna mediatica uccide. Che per essere giornalisti bisogna rispettare l’essere umano e mai calpestare la dignità di nessuno”.
A sua volta Silvia aveva raccolto le lettere inviatele dal padre tra il giugno 1983 e il maggio 1988 nel libro Cara Silvia. Lettere per non dimenticare (Marsilio 2003). Per non dimenticare quello che lei stessa definisce “il più forte paradigma della parola ingiustizia in Italia”. Di questa toccante raccolta si riporta qui di seguito la lettera n. 3, risalente ai primi giorni di reclusione presso il carcere “Regina Coeli”, in cui Tortora chiede alla figlia, chiamandola affettuosamente “Pal-lerina”, il testo di una tragedia greca di Sofocle, l’Antigone. Si tratta della celebre eroina che cerca di dare sepoltura al fratello Polinice, sfidando le leggi del nuovo sovrano di Tebe, Creonte, il quale aveva decretato che il corpo del ragazzo venisse dato in pasto ai cani e agli uccelli.
Ti sembrerà magari strano questo mio desiderio, ma è notte, e i ricordi arrivano calzando soffici scarpine. Se tu potessi trovarmi un testo, greco, di Antigone, magari un’edizioncina scolastica. Lo studiai per la maturità (che parola cretina per una cosa che non arriva mai…) e ne ho un ricordo così bello. Vorrei ristudiarlo, parola per parola, ora che le leggi di Creonte dimostrano d’ essere ancora più barbare e si concede sepoltura ai vivi… Sapessi a che ricordi, a che sogni, a che mattini sono legate quelle parole… Davvero, se tu mi mandassi un’edizioncina di Antigone ingannerei meglio le ore, che si fanno sempre più pesanti.
Ti abbraccio Pallerina e grazie
Papà ☺

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