Chi decide, oggi, che cosa sia di cattivo gusto e che cosa invece sia decente, decoroso?
Mi spiego con un esempio: era abitudine consueta sino a qualche tempo fa buttar via, la notte del 31 dicembre, oggetti inutili e in disuso, in segno di congedo per l’anno che va via, e di augurio per quello che incomincia; oggi che è di moda invece attendere l’anno che verrà non più riuniti nelle proprie case, ma in luoghi spersonalizzati, come discoteche e pub, questa usanza è quasi definitivamente scomparsa. Viene da chiedersi se la ragione di tale cambiamento sia strettamente collegata all’evolversi della società, in senso positivo e solidale, oppure se il mutare delle abitudini sia sempre più collegato ad uno sfrenato consumismo; può apparire un paradosso, ma le consuetudini che vengono messe da parte sono quasi sempre quelle che, agli occhi dei moderni, non appaiono sufficientemente costose. Si fa coincidere il progresso con l’offerta di infinite possibilità di scelta e non ci si accorge invece di essere molto spesso, a nostra volta, scelti. Così è avvenuto per questa “tradizione”, incivile e priva di senso secondo il comune giudizio, perchè catapultava in strada oggetti di vario genere, anche pericolosi, che rischiavano di colpire qualche temerario ed incauto passante, oltre che deturpare l’ambiente.
Abbandonata quale retaggio di un modo antico di celebrare l’evento del capodanno, essa rientra decisamente nella categoria del brutto, del ridicolo. Un’usanza trash [pronuncia: tresc], si direbbe con un linguaggio che vuol apparire più al passo coi tempi, sensibili come siamo a svecchiare, come i costumi, anche la nostra lingua.
E proprio di trash si trattava! “Rifiuti, spazzatura”, infatti, è il significato della parola inglese, che ormai in italiano equivale a “di cattivo gusto”. Sarà una mia impressione ma buona parte di ciò che vedo in giro è trash, anzi ricercatamente trash.
A voler essere precisi, il termine non appartiene all’inglese britannico ma alla variante più diffusa e conosciuta in quasi tutti i paesi del mondo: l’inglese americano, American English (Am E) [pronuncia: american inglisc]. Appartengono a questa variante linguistica molti termini entrati ormai a far parte del nostro linguaggio comune; la loro diffusione è la diretta conseguenza della “americanizzazione” di buona parte del mondo. Ancora una volta assistiamo inermi alla dominazione culturale, oltre che economica, imposta dagli Stati Uniti d’America, che oggi è camuffata in moda da seguire, e perciò si traduce per noi europei nell’acquisizione ostentata di abitudini linguistiche, a cui poi difficilmente riusciamo a sottrarci.
Trash è appunto una di queste parole mediate dalla parlata degli americani e più precisamente dal registro linguistico colloquiale ove essa sta ad indicare ciò che non è di buona qualità; se riferita a persone può considerarsi un vero e proprio insulto riguardante la condotta disonesta o immorale.
Potrebbero fregiarsi dell’appellativo di trash molte delle creazioni artistiche contemporanee (film, musica), la maggior parte degli spettacoli televisivi, e, perché no, le “comiche finali” di certa politica. Il profilo culturale cui il termine fa riferimento è certamente di basso spessore.
Non c’è da stare allegri. La nostra società sta diventando un capiente trash-bin [pronuncia: tresc-bin] (secchio di spazzatura), quando non addirittura una discarica per rifiuti non troppo sicuri.
A quando una “corretta” raccolta differenziata? ☺
dario.carlone@tiscali.it
Chi decide, oggi, che cosa sia di cattivo gusto e che cosa invece sia decente, decoroso?
Mi spiego con un esempio: era abitudine consueta sino a qualche tempo fa buttar via, la notte del 31 dicembre, oggetti inutili e in disuso, in segno di congedo per l’anno che va via, e di augurio per quello che incomincia; oggi che è di moda invece attendere l’anno che verrà non più riuniti nelle proprie case, ma in luoghi spersonalizzati, come discoteche e pub, questa usanza è quasi definitivamente scomparsa. Viene da chiedersi se la ragione di tale cambiamento sia strettamente collegata all’evolversi della società, in senso positivo e solidale, oppure se il mutare delle abitudini sia sempre più collegato ad uno sfrenato consumismo; può apparire un paradosso, ma le consuetudini che vengono messe da parte sono quasi sempre quelle che, agli occhi dei moderni, non appaiono sufficientemente costose. Si fa coincidere il progresso con l’offerta di infinite possibilità di scelta e non ci si accorge invece di essere molto spesso, a nostra volta, scelti. Così è avvenuto per questa “tradizione”, incivile e priva di senso secondo il comune giudizio, perchè catapultava in strada oggetti di vario genere, anche pericolosi, che rischiavano di colpire qualche temerario ed incauto passante, oltre che deturpare l’ambiente.
Abbandonata quale retaggio di un modo antico di celebrare l’evento del capodanno, essa rientra decisamente nella categoria del brutto, del ridicolo. Un’usanza trash [pronuncia: tresc], si direbbe con un linguaggio che vuol apparire più al passo coi tempi, sensibili come siamo a svecchiare, come i costumi, anche la nostra lingua.
E proprio di trash si trattava! “Rifiuti, spazzatura”, infatti, è il significato della parola inglese, che ormai in italiano equivale a “di cattivo gusto”. Sarà una mia impressione ma buona parte di ciò che vedo in giro è trash, anzi ricercatamente trash.
A voler essere precisi, il termine non appartiene all’inglese britannico ma alla variante più diffusa e conosciuta in quasi tutti i paesi del mondo: l’inglese americano, American English (Am E) [pronuncia: american inglisc]. Appartengono a questa variante linguistica molti termini entrati ormai a far parte del nostro linguaggio comune; la loro diffusione è la diretta conseguenza della “americanizzazione” di buona parte del mondo. Ancora una volta assistiamo inermi alla dominazione culturale, oltre che economica, imposta dagli Stati Uniti d’America, che oggi è camuffata in moda da seguire, e perciò si traduce per noi europei nell’acquisizione ostentata di abitudini linguistiche, a cui poi difficilmente riusciamo a sottrarci.
Trash è appunto una di queste parole mediate dalla parlata degli americani e più precisamente dal registro linguistico colloquiale ove essa sta ad indicare ciò che non è di buona qualità; se riferita a persone può considerarsi un vero e proprio insulto riguardante la condotta disonesta o immorale.
Potrebbero fregiarsi dell’appellativo di trash molte delle creazioni artistiche contemporanee (film, musica), la maggior parte degli spettacoli televisivi, e, perché no, le “comiche finali” di certa politica. Il profilo culturale cui il termine fa riferimento è certamente di basso spessore.
Non c’è da stare allegri. La nostra società sta diventando un capiente trash-bin [pronuncia: tresc-bin] (secchio di spazzatura), quando non addirittura una discarica per rifiuti non troppo sicuri.
Chi decide, oggi, che cosa sia di cattivo gusto e che cosa invece sia decente, decoroso?
Mi spiego con un esempio: era abitudine consueta sino a qualche tempo fa buttar via, la notte del 31 dicembre, oggetti inutili e in disuso, in segno di congedo per l’anno che va via, e di augurio per quello che incomincia; oggi che è di moda invece attendere l’anno che verrà non più riuniti nelle proprie case, ma in luoghi spersonalizzati, come discoteche e pub, questa usanza è quasi definitivamente scomparsa. Viene da chiedersi se la ragione di tale cambiamento sia strettamente collegata all’evolversi della società, in senso positivo e solidale, oppure se il mutare delle abitudini sia sempre più collegato ad uno sfrenato consumismo; può apparire un paradosso, ma le consuetudini che vengono messe da parte sono quasi sempre quelle che, agli occhi dei moderni, non appaiono sufficientemente costose. Si fa coincidere il progresso con l’offerta di infinite possibilità di scelta e non ci si accorge invece di essere molto spesso, a nostra volta, scelti. Così è avvenuto per questa “tradizione”, incivile e priva di senso secondo il comune giudizio, perchè catapultava in strada oggetti di vario genere, anche pericolosi, che rischiavano di colpire qualche temerario ed incauto passante, oltre che deturpare l’ambiente.
Abbandonata quale retaggio di un modo antico di celebrare l’evento del capodanno, essa rientra decisamente nella categoria del brutto, del ridicolo. Un’usanza trash [pronuncia: tresc], si direbbe con un linguaggio che vuol apparire più al passo coi tempi, sensibili come siamo a svecchiare, come i costumi, anche la nostra lingua.
E proprio di trash si trattava! “Rifiuti, spazzatura”, infatti, è il significato della parola inglese, che ormai in italiano equivale a “di cattivo gusto”. Sarà una mia impressione ma buona parte di ciò che vedo in giro è trash, anzi ricercatamente trash.
A voler essere precisi, il termine non appartiene all’inglese britannico ma alla variante più diffusa e conosciuta in quasi tutti i paesi del mondo: l’inglese americano, American English (Am E) [pronuncia: american inglisc]. Appartengono a questa variante linguistica molti termini entrati ormai a far parte del nostro linguaggio comune; la loro diffusione è la diretta conseguenza della “americanizzazione” di buona parte del mondo. Ancora una volta assistiamo inermi alla dominazione culturale, oltre che economica, imposta dagli Stati Uniti d’America, che oggi è camuffata in moda da seguire, e perciò si traduce per noi europei nell’acquisizione ostentata di abitudini linguistiche, a cui poi difficilmente riusciamo a sottrarci.
Trash è appunto una di queste parole mediate dalla parlata degli americani e più precisamente dal registro linguistico colloquiale ove essa sta ad indicare ciò che non è di buona qualità; se riferita a persone può considerarsi un vero e proprio insulto riguardante la condotta disonesta o immorale.
Potrebbero fregiarsi dell’appellativo di trash molte delle creazioni artistiche contemporanee (film, musica), la maggior parte degli spettacoli televisivi, e, perché no, le “comiche finali” di certa politica. Il profilo culturale cui il termine fa riferimento è certamente di basso spessore.
Non c’è da stare allegri. La nostra società sta diventando un capiente trash-bin [pronuncia: tresc-bin] (secchio di spazzatura), quando non addirittura una discarica per rifiuti non troppo sicuri.
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