Il libro di Daniele fu scritto sotto pseudonimo nel II secolo a. C., nel periodo della persecuzione subìta dagli Ebrei da parte del re greco Antioco IV. L’ambientazione del libro però rinvia all’esilio babilonese, quando la parte migliore del popolo d’Israele fu strappata a forza dalla sua terra e condotta in catene in Mesopotamia. L’ironia di questo artificio storico sta nella durata dell’impero che ha causato la fine del regno di Giuda: meno di 50 anni dopo la caduta di Gerusalemme, gli ebrei poterono tornare alla loro terra per concessione di un nuovo re, Ciro, che a sua volta aveva conquistato la potente Babilonia. L’anonimo autore del II secolo indirettamente voleva comunicare che, per quanto asfissiante e crudele potesse essere la tirannia di Antioco, essa era destinata comunque a finire in breve tempo, come in effetti poi è avvenuto. Il messaggio era tuttavia dirompente e sedizioso ed aveva bisogno di un camuffamento: ecco perché abbonda in Daniele l’uso delle visioni simboliche, oltre alla apparente innocua ambientazione storica (un po’ come ha fatto Manzoni che per denunciare i soprusi degli austriaci dell’800, ha parlato degli spagnoli del ‘600 per ambientare i “Promessi Sposi”).
Tra le tante visioni del libro di Daniele ve ne sono alcune che preannunciano proprio la fine dell’oppressione greca, tra le quali quella della mano che scrive sul muro delle strane parole, come è raccontato in Dn 5. Il reggente Baldassar, storicamente figlio dell’ultimo re di Babilonia, vede apparire una mano che scrive sulla parete dei segni che però non sono decifrabili né da lui né dai suoi cortigiani (5,5-9). Viene quindi chiamato Daniele che riesce a interpretarli. Rivolgendosi al re dice: “Tu non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie. Da lui fu mandata quella mano che ha tracciato quello scritto, di cui la lettura è questa: mene, tekel, peres, e questa ne è l’interpretazione: mene: Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine. Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. Peres: il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (5,23-28).
Al di là del significato etimologico delle parole, il senso del messaggio è chiaro: di fronte all’atteggiamento di sfida dei babilonesi verso il Dio d’Israele, avendone deportato il popolo, la risposta è quella di annunciare la fine ingloriosa di quel regno. Ovviamente ciò che è scritto nella bibbia non ha semplicemente una spiegazione storicistica ma, per chi crede, possiede un messaggio valido in ogni tempo, e per chi legge la bibbia a partire da Gesù Cristo, il significato deve essere trovato a partire da lui. In questo senso il simbolo della mano ci aiuta: Gesù è presentato come colui che è alla destra del Padre, come se fosse la sua destra (la mano dell’agire potente di Dio). E il riferimento alle dita ci ricorda due momenti fondamentali: la scrittura dei comandamenti “con il dito di Dio” e l’azione di Gesù in favore dei poveri e degli oppressi che avviene, come dice lo stesso Gesù, con il dito di Dio (che nella tradizione è identificato con lo Spirito Santo).
I tre riferimenti della Scrittura ci dicono insieme questo: Dio parla nella storia dell’umanità e, se da un lato rivela il suo progetto, l’umanità ideale, fondata sull’etica dei comandamenti, dall’altro esprime anche una presa di posizione precisa, di opzione degli ultimi (l’azione di Gesù) e di denuncia dell’ingiustizia (la visione interpretata da Daniele). Questi tre momenti non sono altro che tre aspetti dell’unica azione di Dio, che coinvolge anche coloro che desiderano essere suoi testimoni e annunciatori. In realtà questa prerogativa non è data automaticamente da un ruolo istituzionale, bensì è provata dai fatti: nella misura in cui la difesa solenne dei valori si accompagna all’azione concreta in favore dei destinatari privilegiati dell’azione di Dio (cioè i poveri) e alla presa di posizione nei confronti del potere, anziché la corsa al trattamento di favore, si è pienamente coinvolti nell’agire di Dio nel mondo.
Le vicende accumulate lungo i secoli della nostra storia ci insegnano che nessun potere, basato sul dominio di un gruppo sugli altri, è destinato a sopravvivere, mentre la sete di riscatto dei poveri diventa di volta in volta una forza travolgente che scardina anche i palazzi più difesi. Anticamente ciò è avvenuto nella storia di Israele e poi nella crescita inarrestabile del cristianesimo; fino a ieri tale lotta si è manifestata nel Nord del mondo, oggi è il Sud del mondo che preme alle nostre porte, domani probabilmente sarà la lotta dell’umanità che vuole finalmente liberarsi dal dominio dell’economia e della finanza, che già mostrano i primi cedimenti. In ognuno di questi passaggi epocali Dio ha fatto una scelta precisa mettendosi dalla parte degli sconfitti del mondo che passava, ma vincitori nel mondo che nasceva (in un incessante ripetersi del mistero della morte e risurrezione di Gesù). Credere nella Scrittura significa essere consapevoli che per testimoniare il Dio d’Israele e di Gesù Cristo dobbiamo necessariamente fare una scelta inequivocabile. Ogni accomodamento è segno di incredulità ed è solo un’apparente vittoria.☺
mike.tartaglia@virgilio.it
Il libro di Daniele fu scritto sotto pseudonimo nel II secolo a. C., nel periodo della persecuzione subìta dagli Ebrei da parte del re greco Antioco IV. L’ambientazione del libro però rinvia all’esilio babilonese, quando la parte migliore del popolo d’Israele fu strappata a forza dalla sua terra e condotta in catene in Mesopotamia. L’ironia di questo artificio storico sta nella durata dell’impero che ha causato la fine del regno di Giuda: meno di 50 anni dopo la caduta di Gerusalemme, gli ebrei poterono tornare alla loro terra per concessione di un nuovo re, Ciro, che a sua volta aveva conquistato la potente Babilonia. L’anonimo autore del II secolo indirettamente voleva comunicare che, per quanto asfissiante e crudele potesse essere la tirannia di Antioco, essa era destinata comunque a finire in breve tempo, come in effetti poi è avvenuto. Il messaggio era tuttavia dirompente e sedizioso ed aveva bisogno di un camuffamento: ecco perché abbonda in Daniele l’uso delle visioni simboliche, oltre alla apparente innocua ambientazione storica (un po’ come ha fatto Manzoni che per denunciare i soprusi degli austriaci dell’800, ha parlato degli spagnoli del ‘600 per ambientare i “Promessi Sposi”).
Tra le tante visioni del libro di Daniele ve ne sono alcune che preannunciano proprio la fine dell’oppressione greca, tra le quali quella della mano che scrive sul muro delle strane parole, come è raccontato in Dn 5. Il reggente Baldassar, storicamente figlio dell’ultimo re di Babilonia, vede apparire una mano che scrive sulla parete dei segni che però non sono decifrabili né da lui né dai suoi cortigiani (5,5-9). Viene quindi chiamato Daniele che riesce a interpretarli. Rivolgendosi al re dice: “Tu non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie. Da lui fu mandata quella mano che ha tracciato quello scritto, di cui la lettura è questa: mene, tekel, peres, e questa ne è l’interpretazione: mene: Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine. Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. Peres: il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (5,23-28).
Al di là del significato etimologico delle parole, il senso del messaggio è chiaro: di fronte all’atteggiamento di sfida dei babilonesi verso il Dio d’Israele, avendone deportato il popolo, la risposta è quella di annunciare la fine ingloriosa di quel regno. Ovviamente ciò che è scritto nella bibbia non ha semplicemente una spiegazione storicistica ma, per chi crede, possiede un messaggio valido in ogni tempo, e per chi legge la bibbia a partire da Gesù Cristo, il significato deve essere trovato a partire da lui. In questo senso il simbolo della mano ci aiuta: Gesù è presentato come colui che è alla destra del Padre, come se fosse la sua destra (la mano dell’agire potente di Dio). E il riferimento alle dita ci ricorda due momenti fondamentali: la scrittura dei comandamenti “con il dito di Dio” e l’azione di Gesù in favore dei poveri e degli oppressi che avviene, come dice lo stesso Gesù, con il dito di Dio (che nella tradizione è identificato con lo Spirito Santo).
I tre riferimenti della Scrittura ci dicono insieme questo: Dio parla nella storia dell’umanità e, se da un lato rivela il suo progetto, l’umanità ideale, fondata sull’etica dei comandamenti, dall’altro esprime anche una presa di posizione precisa, di opzione degli ultimi (l’azione di Gesù) e di denuncia dell’ingiustizia (la visione interpretata da Daniele). Questi tre momenti non sono altro che tre aspetti dell’unica azione di Dio, che coinvolge anche coloro che desiderano essere suoi testimoni e annunciatori. In realtà questa prerogativa non è data automaticamente da un ruolo istituzionale, bensì è provata dai fatti: nella misura in cui la difesa solenne dei valori si accompagna all’azione concreta in favore dei destinatari privilegiati dell’azione di Dio (cioè i poveri) e alla presa di posizione nei confronti del potere, anziché la corsa al trattamento di favore, si è pienamente coinvolti nell’agire di Dio nel mondo.
Le vicende accumulate lungo i secoli della nostra storia ci insegnano che nessun potere, basato sul dominio di un gruppo sugli altri, è destinato a sopravvivere, mentre la sete di riscatto dei poveri diventa di volta in volta una forza travolgente che scardina anche i palazzi più difesi. Anticamente ciò è avvenuto nella storia di Israele e poi nella crescita inarrestabile del cristianesimo; fino a ieri tale lotta si è manifestata nel Nord del mondo, oggi è il Sud del mondo che preme alle nostre porte, domani probabilmente sarà la lotta dell’umanità che vuole finalmente liberarsi dal dominio dell’economia e della finanza, che già mostrano i primi cedimenti. In ognuno di questi passaggi epocali Dio ha fatto una scelta precisa mettendosi dalla parte degli sconfitti del mondo che passava, ma vincitori nel mondo che nasceva (in un incessante ripetersi del mistero della morte e risurrezione di Gesù). Credere nella Scrittura significa essere consapevoli che per testimoniare il Dio d’Israele e di Gesù Cristo dobbiamo necessariamente fare una scelta inequivocabile. Ogni accomodamento è segno di incredulità ed è solo un’apparente vittoria.☺
Il libro di Daniele fu scritto sotto pseudonimo nel II secolo a. C., nel periodo della persecuzione subìta dagli Ebrei da parte del re greco Antioco IV. L’ambientazione del libro però rinvia all’esilio babilonese, quando la parte migliore del popolo d’Israele fu strappata a forza dalla sua terra e condotta in catene in Mesopotamia. L’ironia di questo artificio storico sta nella durata dell’impero che ha causato la fine del regno di Giuda: meno di 50 anni dopo la caduta di Gerusalemme, gli ebrei poterono tornare alla loro terra per concessione di un nuovo re, Ciro, che a sua volta aveva conquistato la potente Babilonia. L’anonimo autore del II secolo indirettamente voleva comunicare che, per quanto asfissiante e crudele potesse essere la tirannia di Antioco, essa era destinata comunque a finire in breve tempo, come in effetti poi è avvenuto. Il messaggio era tuttavia dirompente e sedizioso ed aveva bisogno di un camuffamento: ecco perché abbonda in Daniele l’uso delle visioni simboliche, oltre alla apparente innocua ambientazione storica (un po’ come ha fatto Manzoni che per denunciare i soprusi degli austriaci dell’800, ha parlato degli spagnoli del ‘600 per ambientare i “Promessi Sposi”).
Tra le tante visioni del libro di Daniele ve ne sono alcune che preannunciano proprio la fine dell’oppressione greca, tra le quali quella della mano che scrive sul muro delle strane parole, come è raccontato in Dn 5. Il reggente Baldassar, storicamente figlio dell’ultimo re di Babilonia, vede apparire una mano che scrive sulla parete dei segni che però non sono decifrabili né da lui né dai suoi cortigiani (5,5-9). Viene quindi chiamato Daniele che riesce a interpretarli. Rivolgendosi al re dice: “Tu non hai glorificato Dio, nelle cui mani è la tua vita e a cui appartengono tutte le tue vie. Da lui fu mandata quella mano che ha tracciato quello scritto, di cui la lettura è questa: mene, tekel, peres, e questa ne è l’interpretazione: mene: Dio ha computato il tuo regno e gli ha posto fine. Tekel: tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. Peres: il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (5,23-28).
Al di là del significato etimologico delle parole, il senso del messaggio è chiaro: di fronte all’atteggiamento di sfida dei babilonesi verso il Dio d’Israele, avendone deportato il popolo, la risposta è quella di annunciare la fine ingloriosa di quel regno. Ovviamente ciò che è scritto nella bibbia non ha semplicemente una spiegazione storicistica ma, per chi crede, possiede un messaggio valido in ogni tempo, e per chi legge la bibbia a partire da Gesù Cristo, il significato deve essere trovato a partire da lui. In questo senso il simbolo della mano ci aiuta: Gesù è presentato come colui che è alla destra del Padre, come se fosse la sua destra (la mano dell’agire potente di Dio). E il riferimento alle dita ci ricorda due momenti fondamentali: la scrittura dei comandamenti “con il dito di Dio” e l’azione di Gesù in favore dei poveri e degli oppressi che avviene, come dice lo stesso Gesù, con il dito di Dio (che nella tradizione è identificato con lo Spirito Santo).
I tre riferimenti della Scrittura ci dicono insieme questo: Dio parla nella storia dell’umanità e, se da un lato rivela il suo progetto, l’umanità ideale, fondata sull’etica dei comandamenti, dall’altro esprime anche una presa di posizione precisa, di opzione degli ultimi (l’azione di Gesù) e di denuncia dell’ingiustizia (la visione interpretata da Daniele). Questi tre momenti non sono altro che tre aspetti dell’unica azione di Dio, che coinvolge anche coloro che desiderano essere suoi testimoni e annunciatori. In realtà questa prerogativa non è data automaticamente da un ruolo istituzionale, bensì è provata dai fatti: nella misura in cui la difesa solenne dei valori si accompagna all’azione concreta in favore dei destinatari privilegiati dell’azione di Dio (cioè i poveri) e alla presa di posizione nei confronti del potere, anziché la corsa al trattamento di favore, si è pienamente coinvolti nell’agire di Dio nel mondo.
Le vicende accumulate lungo i secoli della nostra storia ci insegnano che nessun potere, basato sul dominio di un gruppo sugli altri, è destinato a sopravvivere, mentre la sete di riscatto dei poveri diventa di volta in volta una forza travolgente che scardina anche i palazzi più difesi. Anticamente ciò è avvenuto nella storia di Israele e poi nella crescita inarrestabile del cristianesimo; fino a ieri tale lotta si è manifestata nel Nord del mondo, oggi è il Sud del mondo che preme alle nostre porte, domani probabilmente sarà la lotta dell’umanità che vuole finalmente liberarsi dal dominio dell’economia e della finanza, che già mostrano i primi cedimenti. In ognuno di questi passaggi epocali Dio ha fatto una scelta precisa mettendosi dalla parte degli sconfitti del mondo che passava, ma vincitori nel mondo che nasceva (in un incessante ripetersi del mistero della morte e risurrezione di Gesù). Credere nella Scrittura significa essere consapevoli che per testimoniare il Dio d’Israele e di Gesù Cristo dobbiamo necessariamente fare una scelta inequivocabile. Ogni accomodamento è segno di incredulità ed è solo un’apparente vittoria.☺
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