Territori e saperi
18 Dicembre 2017
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Territori e saperi

Oggi, anche in Italia, nella fase di crisi strutturale del modello economico, è necessario tornare ad occuparci dello scheletro della penisola, delle cosiddette “aree interne”. Non più soltanto in un’ottica di resistenza, e meno che mai con un approccio nostalgico, ma nella prospettiva di una rinascita. Nell’esplorazione di questi piccoli mondi locali emergono qua e là buone pratiche, con la possibilità di ricavare indicazioni paradigmatiche anche per il ri-orientamento dei modelli economici e dell’organizzazione sociale e territoriale a livello più generale. Su questo cammino di ricerca territoriale incontriamo esperienze come quella di Castel del Giudice, un piccolo comune dell’Alto Molise che grazie a una sinergia di forze e di idee – pubbliche, private, economiche, sociali, politiche – ha messo in pratica un programma elaborato in modo partecipato e tendente a ridare senso economico e sociale alla vita di una comunità locale afflitta dai problemi diffusi del declino e dello spopolamento. Non è un progetto, ma una pratica; l’Italia è piena di progetti, ma spesso a corto di pratiche.

Quattro elementi spiccano nell’esperienza di Castel del Giudice: il ruolo del Comune, il valore della partecipazione, la sinergia tra pubblico e privato, la creazione di forme sostenibili di uso economico delle risorse territoriali.

Come molte località appenniniche, il piccolo Comune di Castel del Giudice ha subito il fenomeno dello spopolamento dovuto all’emigrazione. Il paese conta oggi 350 abitanti, ma i residenti effettivi sono ancora di meno, in maggioranza anziani. Negli ultimi quindici anni, grazie alla lungimiranza di due sindaci (Lino Gentile, dal 1999 al 2009, Giuseppe Cavaliere fino al 2014 e ancora Lino Gentile, attualmente in carica) Castel del Giudice è divenuto un luogo di sperimentazione di forme di rilancio economico e sociale sostenibile, incentrate su una strategia di valorizzazione del territorio, sul coinvolgimento della popolazione e sulla volontà di trasformare una situazione di marginalità in un vantaggio. Le iniziative messe in campo, puntando su servizi sociali, agricoltura e turismo, hanno consentito di contrastare il declino economico e l’abbandono del paese da parte dei giovani.

Il primo intervento è consistito nel recupero di un edificio scolastico dismesso da destinare a residenza per anziani e persone non autosufficienti (RSA). L’operazione ha coinvolto 30 abitanti, che hanno investito per il recupero dell’edificio, permettendo al Comune di accedere ad un mutuo bancario e di valorizzare a fini sociali un immobile pubblico, contrariamente alla pratica di privatizzazione dei vecchi edifici scolastici invalsa nella maggioranza dei comuni italiani. La RSA ospita oggi 30 persone ed occupa una ventina di addetti.

Il secondo intervento ha riguardato un’ importante iniziativa imprenditoriale, ovvero il recupero di circa 40 ettari di pascoli e terreni agricoli abbandonati per l’impianto di una coltivazione biologica di mele. Anche in questo caso i cittadini sono stati coinvolti attivamente nel progetto, e tramite forme di azionariato popolare è stato possibile costituire la Melise spa, un’impresa pubblico-privata (2 imprenditori che si sono succeduti nel tempo e 75 cittadini) che occupa stabilmente 4 persone, oltre a 20 addetti stagionali. Con questo progetto Castel del Giudice è entrato a far parte dell’Associazione Città del Bio e ha ricevuto da Legambiente, ANCI e Symbola il premio “Futuro italiano” per l’innovazione territoriale nonché il Premio Comuni Virtuosi 2015. La piantagione dei meli è stata effettuata utilizzando terreni tra i 700 e i 900 m. di altitudine che avevano resistito al processo di rimboschimento naturale dovuto all’abbandono delle attività agricole e pastorali. Il progetto prevede anche la coltivazione di orzo biologico per la produzione di birra agricola. Le mele raccolte a Castel del Giudice alimentano innanzitutto mercati di filiera corta costituiti dai Gruppi di Acquisto Solidale o da botteghe del commercio equo e solidale del Lazio e della costa molisano-abruzzese, da Frosinone, a Lanciano, Vasto e Termoli, ma anche da sbocchi a più lunga distanza come la Baviera, dove le mele biologiche dell’Alto Molise vengono utilizzate per ottenere succhi e purea di frutta.

Il terzo progetto riguarda il turismo e si configura come quello più importante per il rilancio economico del territorio e la sua promozione all’esterno. Si tratta del recupero delle vecchie stalle abbandonate – gli storici pagliari – situate ai margini del borgo, per la creazione di un albergo diffuso di 100 posti letto. In questo caso è stata creata una Società di Trasformazione Urbana (20% del Comune, 80% di privati selezionati con bando pubblico) che ha rilevato gli immobili per un prezzo concordato con i proprietari. I due soggetti privati (un costruttore locale e l’imprenditore Ermanno d’Andrea, che nel frattempo aveva aperto a Castel del Giudice una piccola fabbrica di meccanica di precisone e già coinvolto anche nei progetti RSA e Melise), hanno messo in piedi l’impresa che ha realizzato il recupero delle strutture architettoniche, mentre il Comune, attraverso un finanziamento regionale, si è occupato delle opere essenziali di urbanizzazione. Il recupero degli edifici non prevedeva aumenti di volumi ed è stato interamente realizzato con materiali autoctoni, prefigurando così anche una operazione di riqualificazione ambientale. L’ albergo diffuso è costituito in primo luogo da turisti delle vicine stazioni montane di Capracotta e Roccaraso, ma la struttura è rivolta soprattutto a un nuovo turismo sostenibile che metta insieme aspetti ambientali, trekking, rafting, gastronomia e tradizioni locali secondo un’ottica di integrazione bilanciata delle risorse del territorio.

Nel complesso, l’esperienza oltre al suo profilo economico e produttivo, tocca i temi del rapporto pubblico-privato e, ancor più, quelli della partecipazione e della democrazia, dei quali i piccoli comuni costituiscono – se ben amministrati – l’insostituibile anello di base. Una rivista – “Il Bene comune” – e l’Università degli Studi del Molise, dove è attivo un dinamico Corso di laurea in Scienze del turismo, hanno comunicato e studiato il caso di Castel del Giudice, ora inserito anche nell’Osservatorio delle buone pratiche avviato a livello nazionale dalla Società dei territorialisti (www.societa deiterritorialisti.it).

Al centro ci sono due cose: il territorio e il sapere. La necessità di combinare saperi esperti e saperi contestuali, capitale economico, sociale e territoriale. La guida di oculate amministrazioni locali e la partecipazione attiva degli abitanti risultano gli strumenti primari per trasformare una situazione di marginalità e di abbandono in occasione di sviluppo sostenibile che punta sulle risorse endogene. Tutto ciò si configura dunque come un’interessante forma di governance orizzontale e partecipata che punta alla valorizzazione delle risorse patrimoniali, contrastando l’abbandono degli edifici pubblici, la perdita di terreni agricoli di qualità e il degrado di strutture produttive un tempo legate alla zootecnia. Castel del Giudice ha lanciato così un messaggio per tutti i territori dell’osso: la dimostrazione che quando si riescono a creare le condizione per fare e far durare le cose, le condizioni reali e mentali dell’arretratezza e dell’ isolamento possono essere superate. E che non tutto è perduto.☺

 

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