Una delle più antiche formule di fede del cristianesimo è contenuta nella I Lettera ai Corinzi. Dice Paolo: “Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15,3-8). Si può dire che la fede cristiana è innanzitutto fede nella risurrezione di Gesù e si potrebbero citare molti altri passi del Nuovo Testamento per suffragare questa affermazione. Il problema, dal punto di vista della fede, non è se ci sia stata la risurrezione (senza questa certezza, dice Paolo nella stessa lettera, la nostra fede sarebbe vana), ma piuttosto come intenderla.
Partiamo innanzitutto da una delle prove portate dalla vecchia apologetica riguardo alla risurrezione di Gesù: la tomba vuota. In tutto il Nuovo Testamento questo elemento è affermato solo nei 4 Vangeli. Alcuni potrebbero dire che non è poco: se tuttavia pensiamo che forse tutti e quattro i Vangeli provengono da una sola fonte (o il Vangelo di Marco oppure quella che gli studiosi chiamano il “Racconto della Passione”) ci rendiamo conto che forse nel Nuovo Testamento abbiamo una sola testimonianza, ripetuta in quattro testi interdipendenti, dell’affermazione sulla tomba vuota. E’ significativo, inoltre, che Paolo stesso, quando deve parlare della risurrezione di Gesù come punto di partenza per dimostrare anche la risurrezione corporea dei singoli credenti (i Corinzi mettevano in dubbio che ci potesse essere la risurrezione dei morti, forse perché influenzati dal pensiero greco che ammetteva solo l’immortalità dell’anima), non accenni mai a questa prova schiacciante, ma parla solo delle apparizioni a diversi testimoni; quando, poi, deve descrivere il corpo dei risorti, sembra arrampicarsi sugli specchi, perché deve descrivere cose che non sono riferibili alla comune esperienza umana del corpo. Anche se lui ha visto Gesù risorto, non ne parla come se fosse un semplice corpo materiale risuscitato, ma usa questo modo di esprimersi: “Come risuscitano i morti?… Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti e altro di quelli terrestri. Altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile… si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale… Ecco vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti l’ultima tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati” (1 Cor 15,35-52); ho preso solo alcune affermazioni di questo lungo ragionamento che ognuno può leggere sulla propria bibbia. Mi interessava solo far vedere come lo stesso Paolo, sebbene abbia visto con i suoi occhi Gesù, fa un po’ come Dante quando deve parlare di ciò che vede in Paradiso: usa metafore, immagini, ma non dice mai: siccome io l’ho toccato e ho sentito il calore della sua pelle a contatto con le mie dita, posso dirvi che ho incontrato un uomo in carne e ossa. Paolo ha visto, ma ha visto qualcosa che non è riducibile alla semplice esperienza umana, è qualcosa di più profondo ed è la stessa esperienza che lo accomuna a Cefa, ai Dodici, a Giacomo e agli altri apostoli; nessuna tomba vuota a rafforzare le sue argomentazioni, anche se avrebbe avuto modo di verificare di persona quando è andato a Gerusalemme per ben due volte per incontrare Pietro e la comunità (Gal 1,18-20; 2,1-10).
Veniamo ora a quanto affermano i Vangeli: ciò che accomuna tutti e quattro è la scoperta della tomba vuota fatta dalle donne; questo è l’ultimo episodio del Vangelo di Marco (questo vangelo si ferma a 16,8, mentre 16,9-20 costituisce un’aggiunta tardiva fatta di materiale raccolto da un autore successivo agli altri tre vangeli): le donne scappano e non dicono nulla di quanto hanno visto perché hanno paura. L’episodio delle donne è simile in tutti i Vangeli, sebbene varia il numero di esse (si va da una donna sola in Giovanni, due in Matteo, tre in Marco, un numero imprecisato, più di tre comunque, in Luca). Si è sempre sottolineato, a ragione, che la presenza delle donne al sepolcro serve per rendere ancora più paradossale l’annuncio
della risurrezione, in quanto la testimonianza delle donne giuridicamente era invalida nel contesto giudaico. Se ci spostiamo più avanti, negli altri tre vangeli, ci accorgiamo che, tranne qualche piccolo particolare, sono completamente diversi l’uno dall’altro; la cosa più straordinaria è che tutto questo accade subito dopo il racconto della passione che, viceversa, tranne alcune variazioni proprie degli evangelisti, è abbastanza identico in tutti e quattro!
Descriviamo il contenuto: in Matteo (cap. 28) si parla di un’apparizione di Gesù alle donne, della corruzione delle guardie da parte dei sommi sacerdoti, che solo per Matteo sono state messe al sepolcro, dell’apparizione agli undici su un monte imprecisato in Galilea; per Luca (cap. 24) dopo l’episodio delle donne si accenna a Pietro che va al sepolcro ma non vede nulla se non la tomba vuota, si racconta dei due discepoli di Emmaus che incontrano Gesù senza riconoscerlo (un corpo che subisce metamorfosi a suo piacimento, come un camaleonte) e quando lo riconoscono Gesù sparisce. Tornati a Gerusalemme vengono a sapere che Gesù è apparso anche a Pietro; infine Gesù appare nel cenacolo (senza entrare per una porta!), mangia qualcosa, dà istruzioni ai discepoli e poi insieme giungono a Betania e Gesù sale al cielo, nello stesso giorno della risurrezione (secondo At 1,3-11, invece, Gesù rimase 40 giorni coi discepoli prima di salire in cielo: la cosa strana è che l’autore di Atti è lo stesso del vangelo di Luca!). Gesù in Luca non si sposta da Gerusalemme, mentre in Matteo è andato fino in Galilea. Infine per Giovanni (capp. 20-21) Maria non vede nessun angelo al sepolcro, ma va direttamente da Pietro e da un altro discepolo i quali vanno alla tomba e vedono le bende. Dopo torna Maria e vede due angeli e poi vede Gesù che in un primo momento non riconosce. In seguito, Gesù appare a porte chiuse nel cenacolo e torna di nuovo 8 giorni dopo, quando parla con Tommaso; nel successivo capitolo appare sul lago di Galilea a 7 discepoli e infine si incammina con Pietro senza che noi poi sappiamo dove se ne sono andati. Come si può vedere, ogni evangelista ha un suo modo di raccontare le apparizioni con particolari diversi circa i luoghi, i tempi, le persone. Ciò fa capire che dietro i racconti di resurrezione vi è molto di messaggio e molto poco di fatti storici raccontati: essi sono riducibili essenzialmente a quanto già ci ha detto Paolo (che, anzi, ha parlato di molte più persone alle quali Gesù è apparso). Il dato comune a tutti i testi del Nuovo Testamento, comunque, è che nessuno ha visto Gesù risorgere (il più antico racconto che descrive l’attimo della risurrezione è contenuto nel Vangelo apocrifo di Pietro, scritto intorno alla metà del II secolo d. C.), ma tutti i personaggi più in vista delle prime comunità hanno visto Gesù risorto, compreso chi, come Paolo, non ha affatto conosciuto Gesù in vita.
Alla luce di questa sommaria presentazione dei dati del Nuovo Testamento possiamo dire che l’esperienza che i discepoli hanno fatto di Gesù non è catalogabile come un’esperienza oggettiva, nel senso che non sembra che nello stesso momento in cui Pietro ha visto Gesù, se fosse passato un estraneo, avrebbe visto lo stesso, in quanto l’esperienza della risurrezione è da considerare piuttosto dell’ordine di quelle esperienze spirituali molto forti che riescono a mutare un’esistenza. Qualcuno potrebbe obiettare che il Nuovo Testamento parla di esperienze di visioni collettive; tutti i dati, però, ci dicono che questi gruppi avevano una cosa in comune: avevano già tutti un rapporto personale con Gesù prima della morte. Esiste un’unica eccezione: Paolo di Tarso; secondo il racconto di Atti egli vede una luce e sente una voce che gli dice: “Io sono Gesù che tu perseguiti” (At 9,5). Quelli che erano con lui sentono la voce ma non vedono la luce: non hanno, cioè, quell’esperienza fondamentale che è la visione che biblicamente mette in contatto l’uomo con il divino.
Alla fine di questo excursus possiamo dire che, dal punto di vista della ricerca storica, la risurrezione non è un fatto che rientra nella possibilità delle prove oggettive; il dato però sconcertante e oggettivo è che centinaia e poi migliaia di donne e uomini hanno scardinato le loro esistenze e l’intera storia con una semplice convinzione, accompagnata da esperienze che oggi classificheremmo come “soggettive”, che cioè erano in comunicazione con Gesù crocifisso e risorto. Questo semplice ma inoppugnabile dato storico, non può essere considerato insignificante quando vogliamo interrogarci sulla Verità.☺
Una delle più antiche formule di fede del cristianesimo è contenuta nella I Lettera ai Corinzi. Dice Paolo: “Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15,3-8). Si può dire che la fede cristiana è innanzitutto fede nella risurrezione di Gesù e si potrebbero citare molti altri passi del Nuovo Testamento per suffragare questa affermazione. Il problema, dal punto di vista della fede, non è se ci sia stata la risurrezione (senza questa certezza, dice Paolo nella stessa lettera, la nostra fede sarebbe vana), ma piuttosto come intenderla.
Partiamo innanzitutto da una delle prove portate dalla vecchia apologetica riguardo alla risurrezione di Gesù: la tomba vuota. In tutto il Nuovo Testamento questo elemento è affermato solo nei 4 Vangeli. Alcuni potrebbero dire che non è poco: se tuttavia pensiamo che forse tutti e quattro i Vangeli provengono da una sola fonte (o il Vangelo di Marco oppure quella che gli studiosi chiamano il “Racconto della Passione”) ci rendiamo conto che forse nel Nuovo Testamento abbiamo una sola testimonianza, ripetuta in quattro testi interdipendenti, dell’affermazione sulla tomba vuota. E’ significativo, inoltre, che Paolo stesso, quando deve parlare della risurrezione di Gesù come punto di partenza per dimostrare anche la risurrezione corporea dei singoli credenti (i Corinzi mettevano in dubbio che ci potesse essere la risurrezione dei morti, forse perché influenzati dal pensiero greco che ammetteva solo l’immortalità dell’anima), non accenni mai a questa prova schiacciante, ma parla solo delle apparizioni a diversi testimoni; quando, poi, deve descrivere il corpo dei risorti, sembra arrampicarsi sugli specchi, perché deve descrivere cose che non sono riferibili alla comune esperienza umana del corpo. Anche se lui ha visto Gesù risorto, non ne parla come se fosse un semplice corpo materiale risuscitato, ma usa questo modo di esprimersi: “Come risuscitano i morti?… Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti e altro di quelli terrestri. Altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile… si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale… Ecco vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti l’ultima tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati” (1 Cor 15,35-52); ho preso solo alcune affermazioni di questo lungo ragionamento che ognuno può leggere sulla propria bibbia. Mi interessava solo far vedere come lo stesso Paolo, sebbene abbia visto con i suoi occhi Gesù, fa un po’ come Dante quando deve parlare di ciò che vede in Paradiso: usa metafore, immagini, ma non dice mai: siccome io l’ho toccato e ho sentito il calore della sua pelle a contatto con le mie dita, posso dirvi che ho incontrato un uomo in carne e ossa. Paolo ha visto, ma ha visto qualcosa che non è riducibile alla semplice esperienza umana, è qualcosa di più profondo ed è la stessa esperienza che lo accomuna a Cefa, ai Dodici, a Giacomo e agli altri apostoli; nessuna tomba vuota a rafforzare le sue argomentazioni, anche se avrebbe avuto modo di verificare di persona quando è andato a Gerusalemme per ben due volte per incontrare Pietro e la comunità (Gal 1,18-20; 2,1-10).
Veniamo ora a quanto affermano i Vangeli: ciò che accomuna tutti e quattro è la scoperta della tomba vuota fatta dalle donne; questo è l’ultimo episodio del Vangelo di Marco (questo vangelo si ferma a 16,8, mentre 16,9-20 costituisce un’aggiunta tardiva fatta di materiale raccolto da un autore successivo agli altri tre vangeli): le donne scappano e non dicono nulla di quanto hanno visto perché hanno paura. L’episodio delle donne è simile in tutti i Vangeli, sebbene varia il numero di esse (si va da una donna sola in Giovanni, due in Matteo, tre in Marco, un numero imprecisato, più di tre comunque, in Luca). Si è sempre sottolineato, a ragione, che la presenza delle donne al sepolcro serve per rendere ancora più paradossale l’annuncio
della risurrezione, in quanto la testimonianza delle donne giuridicamente era invalida nel contesto giudaico. Se ci spostiamo più avanti, negli altri tre vangeli, ci accorgiamo che, tranne qualche piccolo particolare, sono completamente diversi l’uno dall’altro; la cosa più straordinaria è che tutto questo accade subito dopo il racconto della passione che, viceversa, tranne alcune variazioni proprie degli evangelisti, è abbastanza identico in tutti e quattro!
Descriviamo il contenuto: in Matteo (cap. 28) si parla di un’apparizione di Gesù alle donne, della corruzione delle guardie da parte dei sommi sacerdoti, che solo per Matteo sono state messe al sepolcro, dell’apparizione agli undici su un monte imprecisato in Galilea; per Luca (cap. 24) dopo l’episodio delle donne si accenna a Pietro che va al sepolcro ma non vede nulla se non la tomba vuota, si racconta dei due discepoli di Emmaus che incontrano Gesù senza riconoscerlo (un corpo che subisce metamorfosi a suo piacimento, come un camaleonte) e quando lo riconoscono Gesù sparisce. Tornati a Gerusalemme vengono a sapere che Gesù è apparso anche a Pietro; infine Gesù appare nel cenacolo (senza entrare per una porta!), mangia qualcosa, dà istruzioni ai discepoli e poi insieme giungono a Betania e Gesù sale al cielo, nello stesso giorno della risurrezione (secondo At 1,3-11, invece, Gesù rimase 40 giorni coi discepoli prima di salire in cielo: la cosa strana è che l’autore di Atti è lo stesso del vangelo di Luca!). Gesù in Luca non si sposta da Gerusalemme, mentre in Matteo è andato fino in Galilea. Infine per Giovanni (capp. 20-21) Maria non vede nessun angelo al sepolcro, ma va direttamente da Pietro e da un altro discepolo i quali vanno alla tomba e vedono le bende. Dopo torna Maria e vede due angeli e poi vede Gesù che in un primo momento non riconosce. In seguito, Gesù appare a porte chiuse nel cenacolo e torna di nuovo 8 giorni dopo, quando parla con Tommaso; nel successivo capitolo appare sul lago di Galilea a 7 discepoli e infine si incammina con Pietro senza che noi poi sappiamo dove se ne sono andati. Come si può vedere, ogni evangelista ha un suo modo di raccontare le apparizioni con particolari diversi circa i luoghi, i tempi, le persone. Ciò fa capire che dietro i racconti di resurrezione vi è molto di messaggio e molto poco di fatti storici raccontati: essi sono riducibili essenzialmente a quanto già ci ha detto Paolo (che, anzi, ha parlato di molte più persone alle quali Gesù è apparso). Il dato comune a tutti i testi del Nuovo Testamento, comunque, è che nessuno ha visto Gesù risorgere (il più antico racconto che descrive l’attimo della risurrezione è contenuto nel Vangelo apocrifo di Pietro, scritto intorno alla metà del II secolo d. C.), ma tutti i personaggi più in vista delle prime comunità hanno visto Gesù risorto, compreso chi, come Paolo, non ha affatto conosciuto Gesù in vita.
Alla luce di questa sommaria presentazione dei dati del Nuovo Testamento possiamo dire che l’esperienza che i discepoli hanno fatto di Gesù non è catalogabile come un’esperienza oggettiva, nel senso che non sembra che nello stesso momento in cui Pietro ha visto Gesù, se fosse passato un estraneo, avrebbe visto lo stesso, in quanto l’esperienza della risurrezione è da considerare piuttosto dell’ordine di quelle esperienze spirituali molto forti che riescono a mutare un’esistenza. Qualcuno potrebbe obiettare che il Nuovo Testamento parla di esperienze di visioni collettive; tutti i dati, però, ci dicono che questi gruppi avevano una cosa in comune: avevano già tutti un rapporto personale con Gesù prima della morte. Esiste un’unica eccezione: Paolo di Tarso; secondo il racconto di Atti egli vede una luce e sente una voce che gli dice: “Io sono Gesù che tu perseguiti” (At 9,5). Quelli che erano con lui sentono la voce ma non vedono la luce: non hanno, cioè, quell’esperienza fondamentale che è la visione che biblicamente mette in contatto l’uomo con il divino.
Alla fine di questo excursus possiamo dire che, dal punto di vista della ricerca storica, la risurrezione non è un fatto che rientra nella possibilità delle prove oggettive; il dato però sconcertante e oggettivo è che centinaia e poi migliaia di donne e uomini hanno scardinato le loro esistenze e l’intera storia con una semplice convinzione, accompagnata da esperienze che oggi classificheremmo come “soggettive”, che cioè erano in comunicazione con Gesù crocifisso e risorto. Questo semplice ma inoppugnabile dato storico, non può essere considerato insignificante quando vogliamo interrogarci sulla Verità.☺
Una delle più antiche formule di fede del cristianesimo è contenuta nella I Lettera ai Corinzi. Dice Paolo: “Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15,3-8). Si può dire che la fede cristiana è innanzitutto fede nella risurrezione di Gesù e si potrebbero citare molti altri passi del Nuovo Testamento per suffragare questa affermazione. Il problema, dal punto di vista della fede, non è se ci sia stata la risurrezione (senza questa certezza, dice Paolo nella stessa lettera, la nostra fede sarebbe vana), ma piuttosto come intenderla.
Partiamo innanzitutto da una delle prove portate dalla vecchia apologetica riguardo alla risurrezione di Gesù: la tomba vuota. In tutto il Nuovo Testamento questo elemento è affermato solo nei 4 Vangeli. Alcuni potrebbero dire che non è poco: se tuttavia pensiamo che forse tutti e quattro i Vangeli provengono da una sola fonte (o il Vangelo di Marco oppure quella che gli studiosi chiamano il “Racconto della Passione”) ci rendiamo conto che forse nel Nuovo Testamento abbiamo una sola testimonianza, ripetuta in quattro testi interdipendenti, dell’affermazione sulla tomba vuota. E’ significativo, inoltre, che Paolo stesso, quando deve parlare della risurrezione di Gesù come punto di partenza per dimostrare anche la risurrezione corporea dei singoli credenti (i Corinzi mettevano in dubbio che ci potesse essere la risurrezione dei morti, forse perché influenzati dal pensiero greco che ammetteva solo l’immortalità dell’anima), non accenni mai a questa prova schiacciante, ma parla solo delle apparizioni a diversi testimoni; quando, poi, deve descrivere il corpo dei risorti, sembra arrampicarsi sugli specchi, perché deve descrivere cose che non sono riferibili alla comune esperienza umana del corpo. Anche se lui ha visto Gesù risorto, non ne parla come se fosse un semplice corpo materiale risuscitato, ma usa questo modo di esprimersi: “Come risuscitano i morti?… Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti e altro di quelli terrestri. Altro lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un’altra nello splendore. Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile… si semina un corpo animale e risorge un corpo spirituale… Ecco vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti l’ultima tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati” (1 Cor 15,35-52); ho preso solo alcune affermazioni di questo lungo ragionamento che ognuno può leggere sulla propria bibbia. Mi interessava solo far vedere come lo stesso Paolo, sebbene abbia visto con i suoi occhi Gesù, fa un po’ come Dante quando deve parlare di ciò che vede in Paradiso: usa metafore, immagini, ma non dice mai: siccome io l’ho toccato e ho sentito il calore della sua pelle a contatto con le mie dita, posso dirvi che ho incontrato un uomo in carne e ossa. Paolo ha visto, ma ha visto qualcosa che non è riducibile alla semplice esperienza umana, è qualcosa di più profondo ed è la stessa esperienza che lo accomuna a Cefa, ai Dodici, a Giacomo e agli altri apostoli; nessuna tomba vuota a rafforzare le sue argomentazioni, anche se avrebbe avuto modo di verificare di persona quando è andato a Gerusalemme per ben due volte per incontrare Pietro e la comunità (Gal 1,18-20; 2,1-10).
Veniamo ora a quanto affermano i Vangeli: ciò che accomuna tutti e quattro è la scoperta della tomba vuota fatta dalle donne; questo è l’ultimo episodio del Vangelo di Marco (questo vangelo si ferma a 16,8, mentre 16,9-20 costituisce un’aggiunta tardiva fatta di materiale raccolto da un autore successivo agli altri tre vangeli): le donne scappano e non dicono nulla di quanto hanno visto perché hanno paura. L’episodio delle donne è simile in tutti i Vangeli, sebbene varia il numero di esse (si va da una donna sola in Giovanni, due in Matteo, tre in Marco, un numero imprecisato, più di tre comunque, in Luca). Si è sempre sottolineato, a ragione, che la presenza delle donne al sepolcro serve per rendere ancora più paradossale l’annuncio
della risurrezione, in quanto la testimonianza delle donne giuridicamente era invalida nel contesto giudaico. Se ci spostiamo più avanti, negli altri tre vangeli, ci accorgiamo che, tranne qualche piccolo particolare, sono completamente diversi l’uno dall’altro; la cosa più straordinaria è che tutto questo accade subito dopo il racconto della passione che, viceversa, tranne alcune variazioni proprie degli evangelisti, è abbastanza identico in tutti e quattro!
Descriviamo il contenuto: in Matteo (cap. 28) si parla di un’apparizione di Gesù alle donne, della corruzione delle guardie da parte dei sommi sacerdoti, che solo per Matteo sono state messe al sepolcro, dell’apparizione agli undici su un monte imprecisato in Galilea; per Luca (cap. 24) dopo l’episodio delle donne si accenna a Pietro che va al sepolcro ma non vede nulla se non la tomba vuota, si racconta dei due discepoli di Emmaus che incontrano Gesù senza riconoscerlo (un corpo che subisce metamorfosi a suo piacimento, come un camaleonte) e quando lo riconoscono Gesù sparisce. Tornati a Gerusalemme vengono a sapere che Gesù è apparso anche a Pietro; infine Gesù appare nel cenacolo (senza entrare per una porta!), mangia qualcosa, dà istruzioni ai discepoli e poi insieme giungono a Betania e Gesù sale al cielo, nello stesso giorno della risurrezione (secondo At 1,3-11, invece, Gesù rimase 40 giorni coi discepoli prima di salire in cielo: la cosa strana è che l’autore di Atti è lo stesso del vangelo di Luca!). Gesù in Luca non si sposta da Gerusalemme, mentre in Matteo è andato fino in Galilea. Infine per Giovanni (capp. 20-21) Maria non vede nessun angelo al sepolcro, ma va direttamente da Pietro e da un altro discepolo i quali vanno alla tomba e vedono le bende. Dopo torna Maria e vede due angeli e poi vede Gesù che in un primo momento non riconosce. In seguito, Gesù appare a porte chiuse nel cenacolo e torna di nuovo 8 giorni dopo, quando parla con Tommaso; nel successivo capitolo appare sul lago di Galilea a 7 discepoli e infine si incammina con Pietro senza che noi poi sappiamo dove se ne sono andati. Come si può vedere, ogni evangelista ha un suo modo di raccontare le apparizioni con particolari diversi circa i luoghi, i tempi, le persone. Ciò fa capire che dietro i racconti di resurrezione vi è molto di messaggio e molto poco di fatti storici raccontati: essi sono riducibili essenzialmente a quanto già ci ha detto Paolo (che, anzi, ha parlato di molte più persone alle quali Gesù è apparso). Il dato comune a tutti i testi del Nuovo Testamento, comunque, è che nessuno ha visto Gesù risorgere (il più antico racconto che descrive l’attimo della risurrezione è contenuto nel Vangelo apocrifo di Pietro, scritto intorno alla metà del II secolo d. C.), ma tutti i personaggi più in vista delle prime comunità hanno visto Gesù risorto, compreso chi, come Paolo, non ha affatto conosciuto Gesù in vita.
Alla luce di questa sommaria presentazione dei dati del Nuovo Testamento possiamo dire che l’esperienza che i discepoli hanno fatto di Gesù non è catalogabile come un’esperienza oggettiva, nel senso che non sembra che nello stesso momento in cui Pietro ha visto Gesù, se fosse passato un estraneo, avrebbe visto lo stesso, in quanto l’esperienza della risurrezione è da considerare piuttosto dell’ordine di quelle esperienze spirituali molto forti che riescono a mutare un’esistenza. Qualcuno potrebbe obiettare che il Nuovo Testamento parla di esperienze di visioni collettive; tutti i dati, però, ci dicono che questi gruppi avevano una cosa in comune: avevano già tutti un rapporto personale con Gesù prima della morte. Esiste un’unica eccezione: Paolo di Tarso; secondo il racconto di Atti egli vede una luce e sente una voce che gli dice: “Io sono Gesù che tu perseguiti” (At 9,5). Quelli che erano con lui sentono la voce ma non vedono la luce: non hanno, cioè, quell’esperienza fondamentale che è la visione che biblicamente mette in contatto l’uomo con il divino.
Alla fine di questo excursus possiamo dire che, dal punto di vista della ricerca storica, la risurrezione non è un fatto che rientra nella possibilità delle prove oggettive; il dato però sconcertante e oggettivo è che centinaia e poi migliaia di donne e uomini hanno scardinato le loro esistenze e l’intera storia con una semplice convinzione, accompagnata da esperienze che oggi classificheremmo come “soggettive”, che cioè erano in comunicazione con Gesù crocifisso e risorto. Questo semplice ma inoppugnabile dato storico, non può essere considerato insignificante quando vogliamo interrogarci sulla Verità.☺
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