Domande che a scuola ci si fa poco spesso, forse mai. Pensando forse che l’etimologia sia roba da secchioni, o da studenti in via di estinzione e di esaurimento (nervoso), o da topi di biblioteca d’altri tempi: perché chiamiamo Oscar la statuetta d’oro e croissant il cornetto a forma di mezzaluna? E dove hanno avuto origine espressioni come: “Cavarsela per il rotto della cuffia” o “Allevare una serpe in seno” o “Fare la gatta morta”? Perché il luogo dove abitiamo porta quel nome, e qual è l’origine dei nostri cognomi?
Errore! Nulla incuriosisce di più i ragazzi (sempre che si parli loro in modo meno tecnico possibile) dell’origine di un nome che usano parecchio, di una parola usata o abusata, o al contrario di una poco conosciuta, difficilotta, antipatica.
Farlo non è difficile, non se s’inciampa in un libro come questo: per tutti gli insegnanti un po’ matti e tutti i patiti del gossip etimologico, che non abbiano tuttavia necessariamente una conoscenza approfondita o specialistica della linguistica italiana, il volume di Gian Luigi Gabriell “Tra le pieghe delle parole” è un piatto prelibato: insaziabile negli esempi, fine, preciso, prolifico – come di consueto -, l’autore passeggia tra i sentieri della nostra lingua ripercorrendone le numerose tappe evolutive e la fioritura lessicale attraverso i secoli, i millenni.
E così, fra curiosità di ogni tipo, scopriamo che la lingua è storia, perché la segue e l’accompagna, certe volte la scrive. Si evolve con lei, la testimonia, vibra ad ogni suo passo. E la conserva, stratificando modi di dire e abitudini linguistiche legate a periodi, circostanze, eventi, tradizioni, vita sociale, religiosità.
Le parole racchiudono memoria e fantasia. Portano il segno del passato, sono intinte nella storia, nei suoi grandi avvenimenti, ma anche nei piccoli episodi quotidiani che, per una fortunata casualità, restano impigliati nella lingua, la segnano, la arricchiscono, la cambiano.
“Leggere un dizionario etimologico – afferma l’autore – è come leggere un romanzo. Mi piace talvolta scorrerlo a caso, senza uno scopo preciso. Si fanno incontri inattesi tra parola e storia, tra lingua, cultura e società. Apri alla lettera S e trovi che la parola “salario” risponde all’usanza, nell’antica Roma, di pagare le truppe con una certa quantità di sale, ingrediente prezioso per conservare i cibi. Alla lettera A ti abbatti in “abbacchio”, piatto tipico della cucina romana: è l’agnello da latte, e così si chiama perché viene dal latino “ab baculum”, cioè “vicino al bastone”. Dieci giorni dopo la nascita, sino al quarto mese, i piccoli erano tenuti legati ad un bastone, un paletto che evitava loro di saltellare di qua e di là e farsi male. Sfogliando ancora, alla G t’imbatti nell’aggettivo “genuino”, che risale al latino “genu” (ginocchio), perché nell’antica Roma, il figlio legittimo era dichiarato “vero, autentico” di fronte a testimoni dopo il gesto rituale che consisteva nel sollevarlo in alto e poggiarlo sulle proprie ginocchia. A tratti la spiegazione dell’etimologista volge chiaramente al poetico, come leggi che “embrione”, coniato dal greco “enbryein”, significa “ciò che fiorisce dentro”; e che “nubile” viene dal verbo latino “Gabrie”, sposarsi: le nuptiae, nozze, hanno la stessa radice di “nubes”, nuvola, poiché la sposa veniva velata, come fanno le nubi col sole quando ne coprono la luce”.
E così via, fra glottologia e poesia, fra cultura e magia, fra storia e fantasia.
Né scientifico al punto da essere illeggibile per i non addetti ai lavori, né divulgativo tanto da semplificare troppo la complessità e la ricchezza del contenuto, “Tra le pieghe delle parole” è perfetto per chiunque sia incuriosito e affascinato dagli infiniti segreti della lingua, dalle possibilità di usarla come un pianoforte, e di esplorarla come un paesaggio sconosciuto. Ed è perfetto per educare al rispetto e alla conoscenza della lingua fra i banchi di scuola, dove in genere parlare di lingua è quanto meno “arduo”: forse, tra un’etimologia e l’altra (nel modo elegante e leggero che Gabriell sa proporre), anche la grammatica, questa sconosciuta nemica dei nostri adolescenti, può acquistare un altro sapore, può tornare ad avere le sembianze di una creatura viva, e non più quelle di un prodotto scaduto e Gabriel. Proviamoci! Magari l’anno prossimo, visto che questo volge ormai al termine. Intanto, quest’esta- te, ci dedichiamo a una lettura “impegnata” ma piacevole. Non proprio da ombrellone, d’accordo, ma si può fare. ☺
gadelis@libero.it
Domande che a scuola ci si fa poco spesso, forse mai. Pensando forse che l’etimologia sia roba da secchioni, o da studenti in via di estinzione e di esaurimento (nervoso), o da topi di biblioteca d’altri tempi: perché chiamiamo Oscar la statuetta d’oro e croissant il cornetto a forma di mezzaluna? E dove hanno avuto origine espressioni come: “Cavarsela per il rotto della cuffia” o “Allevare una serpe in seno” o “Fare la gatta morta”? Perché il luogo dove abitiamo porta quel nome, e qual è l’origine dei nostri cognomi?
Errore! Nulla incuriosisce di più i ragazzi (sempre che si parli loro in modo meno tecnico possibile) dell’origine di un nome che usano parecchio, di una parola usata o abusata, o al contrario di una poco conosciuta, difficilotta, antipatica.
Farlo non è difficile, non se s’inciampa in un libro come questo: per tutti gli insegnanti un po’ matti e tutti i patiti del gossip etimologico, che non abbiano tuttavia necessariamente una conoscenza approfondita o specialistica della linguistica italiana, il volume di Gian Luigi Gabriell “Tra le pieghe delle parole” è un piatto prelibato: insaziabile negli esempi, fine, preciso, prolifico – come di consueto -, l’autore passeggia tra i sentieri della nostra lingua ripercorrendone le numerose tappe evolutive e la fioritura lessicale attraverso i secoli, i millenni.
E così, fra curiosità di ogni tipo, scopriamo che la lingua è storia, perché la segue e l’accompagna, certe volte la scrive. Si evolve con lei, la testimonia, vibra ad ogni suo passo. E la conserva, stratificando modi di dire e abitudini linguistiche legate a periodi, circostanze, eventi, tradizioni, vita sociale, religiosità.
Le parole racchiudono memoria e fantasia. Portano il segno del passato, sono intinte nella storia, nei suoi grandi avvenimenti, ma anche nei piccoli episodi quotidiani che, per una fortunata casualità, restano impigliati nella lingua, la segnano, la arricchiscono, la cambiano.
“Leggere un dizionario etimologico – afferma l’autore – è come leggere un romanzo. Mi piace talvolta scorrerlo a caso, senza uno scopo preciso. Si fanno incontri inattesi tra parola e storia, tra lingua, cultura e società. Apri alla lettera S e trovi che la parola “salario” risponde all’usanza, nell’antica Roma, di pagare le truppe con una certa quantità di sale, ingrediente prezioso per conservare i cibi. Alla lettera A ti abbatti in “abbacchio”, piatto tipico della cucina romana: è l’agnello da latte, e così si chiama perché viene dal latino “ab baculum”, cioè “vicino al bastone”. Dieci giorni dopo la nascita, sino al quarto mese, i piccoli erano tenuti legati ad un bastone, un paletto che evitava loro di saltellare di qua e di là e farsi male. Sfogliando ancora, alla G t’imbatti nell’aggettivo “genuino”, che risale al latino “genu” (ginocchio), perché nell’antica Roma, il figlio legittimo era dichiarato “vero, autentico” di fronte a testimoni dopo il gesto rituale che consisteva nel sollevarlo in alto e poggiarlo sulle proprie ginocchia. A tratti la spiegazione dell’etimologista volge chiaramente al poetico, come leggi che “embrione”, coniato dal greco “enbryein”, significa “ciò che fiorisce dentro”; e che “nubile” viene dal verbo latino “Gabrie”, sposarsi: le nuptiae, nozze, hanno la stessa radice di “nubes”, nuvola, poiché la sposa veniva velata, come fanno le nubi col sole quando ne coprono la luce”.
E così via, fra glottologia e poesia, fra cultura e magia, fra storia e fantasia.
Né scientifico al punto da essere illeggibile per i non addetti ai lavori, né divulgativo tanto da semplificare troppo la complessità e la ricchezza del contenuto, “Tra le pieghe delle parole” è perfetto per chiunque sia incuriosito e affascinato dagli infiniti segreti della lingua, dalle possibilità di usarla come un pianoforte, e di esplorarla come un paesaggio sconosciuto. Ed è perfetto per educare al rispetto e alla conoscenza della lingua fra i banchi di scuola, dove in genere parlare di lingua è quanto meno “arduo”: forse, tra un’etimologia e l’altra (nel modo elegante e leggero che Gabriell sa proporre), anche la grammatica, questa sconosciuta nemica dei nostri adolescenti, può acquistare un altro sapore, può tornare ad avere le sembianze di una creatura viva, e non più quelle di un prodotto scaduto e Gabriel. Proviamoci! Magari l’anno prossimo, visto che questo volge ormai al termine. Intanto, quest’esta- te, ci dedichiamo a una lettura “impegnata” ma piacevole. Non proprio da ombrellone, d’accordo, ma si può fare. ☺
Domande che a scuola ci si fa poco spesso, forse mai. Pensando forse che l’etimologia sia roba da secchioni, o da studenti in via di estinzione e di esaurimento (nervoso), o da topi di biblioteca d’altri tempi: perché chiamiamo Oscar la statuetta d’oro e croissant il cornetto a forma di mezzaluna? E dove hanno avuto origine espressioni come: “Cavarsela per il rotto della cuffia” o “Allevare una serpe in seno” o “Fare la gatta morta”? Perché il luogo dove abitiamo porta quel nome, e qual è l’origine dei nostri cognomi?
Errore! Nulla incuriosisce di più i ragazzi (sempre che si parli loro in modo meno tecnico possibile) dell’origine di un nome che usano parecchio, di una parola usata o abusata, o al contrario di una poco conosciuta, difficilotta, antipatica.
Farlo non è difficile, non se s’inciampa in un libro come questo: per tutti gli insegnanti un po’ matti e tutti i patiti del gossip etimologico, che non abbiano tuttavia necessariamente una conoscenza approfondita o specialistica della linguistica italiana, il volume di Gian Luigi Gabriell “Tra le pieghe delle parole” è un piatto prelibato: insaziabile negli esempi, fine, preciso, prolifico – come di consueto -, l’autore passeggia tra i sentieri della nostra lingua ripercorrendone le numerose tappe evolutive e la fioritura lessicale attraverso i secoli, i millenni.
E così, fra curiosità di ogni tipo, scopriamo che la lingua è storia, perché la segue e l’accompagna, certe volte la scrive. Si evolve con lei, la testimonia, vibra ad ogni suo passo. E la conserva, stratificando modi di dire e abitudini linguistiche legate a periodi, circostanze, eventi, tradizioni, vita sociale, religiosità.
Le parole racchiudono memoria e fantasia. Portano il segno del passato, sono intinte nella storia, nei suoi grandi avvenimenti, ma anche nei piccoli episodi quotidiani che, per una fortunata casualità, restano impigliati nella lingua, la segnano, la arricchiscono, la cambiano.
“Leggere un dizionario etimologico – afferma l’autore – è come leggere un romanzo. Mi piace talvolta scorrerlo a caso, senza uno scopo preciso. Si fanno incontri inattesi tra parola e storia, tra lingua, cultura e società. Apri alla lettera S e trovi che la parola “salario” risponde all’usanza, nell’antica Roma, di pagare le truppe con una certa quantità di sale, ingrediente prezioso per conservare i cibi. Alla lettera A ti abbatti in “abbacchio”, piatto tipico della cucina romana: è l’agnello da latte, e così si chiama perché viene dal latino “ab baculum”, cioè “vicino al bastone”. Dieci giorni dopo la nascita, sino al quarto mese, i piccoli erano tenuti legati ad un bastone, un paletto che evitava loro di saltellare di qua e di là e farsi male. Sfogliando ancora, alla G t’imbatti nell’aggettivo “genuino”, che risale al latino “genu” (ginocchio), perché nell’antica Roma, il figlio legittimo era dichiarato “vero, autentico” di fronte a testimoni dopo il gesto rituale che consisteva nel sollevarlo in alto e poggiarlo sulle proprie ginocchia. A tratti la spiegazione dell’etimologista volge chiaramente al poetico, come leggi che “embrione”, coniato dal greco “enbryein”, significa “ciò che fiorisce dentro”; e che “nubile” viene dal verbo latino “Gabrie”, sposarsi: le nuptiae, nozze, hanno la stessa radice di “nubes”, nuvola, poiché la sposa veniva velata, come fanno le nubi col sole quando ne coprono la luce”.
E così via, fra glottologia e poesia, fra cultura e magia, fra storia e fantasia.
Né scientifico al punto da essere illeggibile per i non addetti ai lavori, né divulgativo tanto da semplificare troppo la complessità e la ricchezza del contenuto, “Tra le pieghe delle parole” è perfetto per chiunque sia incuriosito e affascinato dagli infiniti segreti della lingua, dalle possibilità di usarla come un pianoforte, e di esplorarla come un paesaggio sconosciuto. Ed è perfetto per educare al rispetto e alla conoscenza della lingua fra i banchi di scuola, dove in genere parlare di lingua è quanto meno “arduo”: forse, tra un’etimologia e l’altra (nel modo elegante e leggero che Gabriell sa proporre), anche la grammatica, questa sconosciuta nemica dei nostri adolescenti, può acquistare un altro sapore, può tornare ad avere le sembianze di una creatura viva, e non più quelle di un prodotto scaduto e Gabriel. Proviamoci! Magari l’anno prossimo, visto che questo volge ormai al termine. Intanto, quest’esta- te, ci dedichiamo a una lettura “impegnata” ma piacevole. Non proprio da ombrellone, d’accordo, ma si può fare. ☺
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