tre criminali imbecilli
1 Marzo 2010 Share

tre criminali imbecilli

 

Brucia di stelle il cielo di luglio in quest’isola immensa che suda l’estate, siamo tre laureati senza macchia e senza paura e senza amore e senza fede e la Sardegna è il nostro Messico…

Brioso e vagamente allucinato, un po’ Hemingway di Fiesta un po’ Salinger de Il giovane Holden un po’ Carver di Cattedrale. Così si apre il libro che ha illuminato di gioia questa mia estate afosa e pedemontana, malinconica a tratti.

Sardina Blues, firmato Flavio Soriga. Si intende: lui sardo e giovane scrittore, malato di talassemia come uno dei protagonisti del romanzo, Davide Pani. Anzi,- sostiene Soriga alla fine del racconto quando, mostrando un’onesta consapevolezza degli espedienti dell’ars poetica, quasi chiede scusa per la brutalità della fantasia che assorbe vite e segreti e dicerie e confessioni altrui restituendo bugie in forma di storie – quella della malattia sarebbe l’unica cosa vera del suo libro e – continua – nemmeno questo si può dire perché la mia malattia è la malattia di migliaia di uomini e donne di tutto il mondo. A loro e ai loro genitori e fratelli e sorelle e fidanzati e mariti e mogli Soriga dedica il suo libro.

La malattia, la talassemia, è una delle note di fondo del romanzo, ne percorre la trama per intero, sempre consona al resto della narrazione, però, perché Davide Pani, preferenziale voce narrante, ne racconta con l’ironia e la leggerezza pensosa di una performance jazz, con lo struggimento adulto e mai inteso a muovere pietà di un blues che sono i toni prevalenti della storia.

Il romanzo si snoda rapido, una rocambole picaresca, divertente senza essere sciocca, lieve eppure meditabonda, realistica e visionaria a dosi alterne. Protagonisti tre allegri squinternati conquistatori di bionde di provincia che nessuno chiama per nome, che nemmeno tra loro si chiamano per nome, come usano i compagni di scuola quand’è che sono particolarmente sodali: Pani, Licheri e Corda, diversi nell’indole e nelle fisionomia ma uniti da un’amicizia elettiva, rinvigorita dalla sventura di essere stati tutti e tre piantati in asso dalle giovani donne nei cui cuori avevano riposto il loro incontenibile sentimento. Si inseguono l’una con l’altra e si confondono nel romanzo le loro voci beffarde e intelligenti, accompagnate da una colonna sonora varia e incredibilmente viva, che ti vien voglia di cantare con Pani, Licheri e Corda mentre leggi: Summer time, and the livin’is easy, Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo, per me, Che cos’è l’amor’, chiedilo al vento, alla guardarobiera nera e al suo romanzo rosa, Aquì se queda la clara, la entreñable transparencia de tu querida presenzia, comandante Che Guevara e via andando.

Ambientazione, la Sardegna moderna, meglio post-moderna, tale quale si autodefinisce Licheri, reduce non acclarato da una pericolosa tossicodipendenza, appunto post-moderno cantore dell’estetica sradicata, impavido sostenitore della destrutturazione delle appartenenze. In una provincia che non è la Costa Smeralda dei milionari russi né la Barbagia della faide e dei sequestri, solo la provincia di Oristano, il contrario di quel che credono i turisti no glamour no party no stilisti cominciano le avventure dei tre criminali imbecilli e fuori norma, vaghi di qualche spicciolo, di overdose di adrenalina, della soddisfazione di vedere almeno intrapreso uno dei loro nobili ideali, coloratissimi e apparentemente strampalati, come i nuraghe in versione Andy Warhol che animano il frontespizio dell’edizione Bompiani.

Primo atto, una rapina di carte di identità da rivendere sul mercato nero: Progetto Agevolazione Immigrazione Parallela, perché – sostiene non si sa chi dei tre, forse tutti o forse Pani – noi lottiamo per un nostro ideale noi vogliamo le frontiere libere e l’immigrazione massiccia di troie e mezzetroie e puttanieri noi siamo contro lo Stato regolamentatore che emargina i poveri del mondo, noi vogliamo i figli di bagassa nei nostri paesi spopolati e abbandonati noi vogliamo la ricolonizzazione dell’isola con  qualunque sangue giovane di qualunque etnia e credo religioso.

Tra nobildonne infedeli, pastori omosessuali, vagabondaggi in cerca di testamenti mai scritti, birre e rum, movida discotecara di provincia, Pani, Licheri e Corda pensano, soppesano e discutono la loro esistenza di uomini, giovani e sardi, per giunta. Asfissiati dalla loro isola e pur sempre innamorati persi, concludono – toccasana ossigenante di cosmopolitismo a liquidare bellamente le chiusure only sagra only folk che vanno tanto per la maggiore – che insomma noi – direi io anche noi molisani – dobbiamo liberarci dai fantasmi della storia, dai nostri stordenti sensi di inferiorità e di marginalità e di perifericità, accettare che siamo come gli altri, tutti gli altri, né meglio né peggio, eccellenti uomini qualunque del mondo, questa è la rivoluzione che ci toccherà fare prima o poi.

E, mandata a termine una fase del progetto di riscatto personale Vendetta Notturna, segnalato per l’alto valore motivazionale, furto di  stereo e casse e attrezzi in due scuole di danza, perché le tre ex erano tre ballerine, incalza la riflessione nient’affatto stolta secondo cui in questo momento delle nostre esistenze è necessario che abbassiamo drasticamente le nostre aspettative rispetto al mondo e alle nostre possibili compagne di una notte e di una vita e che prendiamo ciò che viene con un sorriso losco e soddisfatto, una fase transitoria che sola può portare alla guarigione.

La guarigione dalla malattia vera non spetta a Davide Pani che, per sorte più consumato dalla vita, di suo ne risparmia meno che gli amici, al contrario la vita la succhia, fino a perderla.

Nelle Note autografe di Davide Pani rinvenute da Fabio Licheri in quaderni e blocchi per gli appunti, note poste dall’autore a fine racconto con una finzione letteraria di memoria foscoliana, Pani riflette tra sé e commuove e spinge a pensare: che la fatica del vivere per chi è malato è più fatica, e che perciò forse la vita è più vita, quando ogni giorno fai a tu per tu con una malattia; che l’ironia e la forza richieste per la sopravvivenza sono maggiori, che il piacere della vita magari per questo è più intenso.

Scrive Pani: …devo parlare di una mia amica australiana, prima o poi, non si può raccontare la talassemia, bisogna raccontare storie, una dopo l’altra, solo l’accumulo di storie può aiutare a capire qualcosa delle malattie, che cos’è il diabete?mille cose, milioni di risposte possibili, controllarsi la glicemia prima di pranzo, restare schiacciati dal peso della fine della normalità, la tua libertà limitata…che cos’è la talassemia? devo mettere insieme voci, visi, teorie, paure… devo raccontare la mia amica di Sassari, lei mi sembra abbia una forza dentro, sempre…mi sembra che questa forza venga da lì, da una vita spezzata in due, prima ero così, adesso devo inventarmi come sarò, costringermi ad essere ancora qualcosa, trovare il modo di convincermi che varrà la pena, ci mancherebbe, di vivere.

Ai talassemici e ai diabetici e ai dializzati, a tutti i “medicalizzati” con contrappunto costretto e quotidiano di cura, a loro che più degli altri assistono allibiti alle tarantelle del commissariamento della Sanità nella Regione Molise va in particolare questo mio invito alla lettura. ☺

LucianaZingaro@libero.it

 

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