turbopolitica
16 Aprile 2010 Share

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Tradizionalmente i partiti facevano proseliti e conquistavano voti sulla loro proposta. Non è più così; adesso li pretendono attraverso i favoritismi che dispensano gestendo la "Cosa Pubblica".

È questa la genesi della "Casta".

Era il 28 luglio 1981 quando Eugenio Scalfari che aveva fondato la Repubblica da poco più di un lustro (14 gennaio 1976) raccolse da Enrico Berlinguer, indimenticato segretario del Partito Comunista Italiano, un'intervista sulla "questione morale" che fece scalpore alla pubblicazione e che torna sovente d'attualità.

 Berlinguer, declinando la "diversità" (ormai smarrita) del suo partito, stabilì con semplicità disarmante la grammatica della questione morale nell'amministrazione della Cosa Pubblica.

Propugnò la separazione netta fra la politica, l'azione di proselitismo e di organizzazione del consenso che un partito deve perseguire, e la gestione della macchina amministrativa dello Stato. "Al mio partito ci si iscrive perché se ne condivide la proposta politica e la visione del mondo, e non certo per diventare assessore o per entrare in un Consiglio d'Amministazione", spiegava il segretario del Pci a Scalfari in sollucchero.

Sono passati più di trent'anni e si può dire che la lezione di Berlinguer sia stata obnubilata, anche fra gli epigoni della sua parte politica trasformata e ritrasformata. Di soppiatto, senza dichiarazioni enfatiche, la politica si è trovata al centro di un processo poderoso che ne ha modificato strutturalmente la relazione con la società.

 

Travolti dallo sviluppo e dalla diffusione pervasiva dei mezzi di comunicazione di massa e dalla televisione innanzitutto, i partiti "pesanti" e cellulari di un tempo si sono ritirati dal territorio. Hanno chiuso sezioni, hanno licenziato funzionari e altri li hanno "sistemati" nella Pubblica Amministrazione; si sono trasformati in marchi detenuti da un'oligarchia gelosa, sospettosa e autoreferenziale, che ha portato a termine una rivoluzione (ormai compiuta) dei metodi e dei contenuti della politica. Da strumento diffuso e legittimato della democrazia di rappresentanza, hanno subito una trasformazione "turbo" che li ha modificati dalle fondamenta.

Se la politica in un passato recente organizzava il consenso sul progetto della propria iniziativa, adesso lo pretende con protervia nella gestione della macchina dello Stato. Siamo alla grammatica del clientelismo, al sostegno incondizionato del "familismo amorale", al disdoro senz'eccezione del diritto di cittadinanza trasformato nella prebenda elargita "magnanimamente" dal potente di turno.

Sta qui il cuore di vetro del progetto politico di Michele Iorio e della sua parte politica che si può ben dire egli rappresenti nell'ingombrante corpulenza della sua persona. Irradiare un potere fatto di favoritismi, di preferenze per quanto insignificanti siano, di rapporti "peer to peer" che ci allontanano dalla modernità e dalla democrazia, sprofondandoci in un medioevo centrato sull'intangibile autoreferenza del satrapo.

Va detto però che anche nel nostro Molise, questa maniera attuale e antichissima di esercitare il potere con l'obiettivo di legarci (piegarci) il consenso, non è una prerogativa esclusiva di Iorio e del centrodestra. In diverse circostanze il centrosinistra (innanzitutto Ruta e il suo entourage) ha dato prova (più patetica perché esercitata dal "cono d'ombra" dell'opposizione) di non saper sottrarsi allo stesso schema, mettendo assolutamente in secondo piano il progetto politico sul quale suscitare idee, entusiasmi, consensi e condivisioni. Ed è perciò, per l'omologazione al ribasso per metodo e contenuto di entrambe le parti in campo che lo spazio sociale e culturale della politica è così sguarnito; ed è ancora perciò che noi, dal nostro punto di vista, siamo preoccupati al limite dell'angoscia. ☺

direttore@ilbenecomune.it

 

 

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