Viviamo tempi di navigazione a vista che non consentono di prevedere le cose che accadranno di qui ai prossimi mesi, ma un’ipotesi possiamo azzardarla: il 2016 non sarà, per il nostro paese, l’ anno della coesione territoriale. Si continuerà a parlare di temi importantissimi che vanno dalle trivelle alle riforme ma, ancora una volta, non ci sarà né lo spazio né la voglia di avviare una riflessione seria sul futuro di quei territori, per lo più meridionali, piagati dal ritardo di sviluppo, dalla disoccupazione e da una crescente povertà. Si può dire che il tutto rientra in una normalità che ha visto per decenni l’accantonamento sistematico della “questione meridionale” e l’ osservazione non è fuori luogo. Restano tuttavia in vita un disappunto e, oserei dire, un dolore specifico per l’assenza di questo tema dall’agenda politica del 2016, anche perché nel corso dell’anno precedente erano stati presi impegni precisi in merito.
Infatti, a seguito dello scalpore suscitato dall’ennesimo rapporto Svimez sulle tragiche condizioni socio-economiche del Sud, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si era impegnato a presentare, entro il mese di settembre 2015, un efficace piano di intervento per il rilancio del mezzogiorno. A distanza di otto mesi possiamo dire che quegli impegni non hanno avuto un grande seguito. Restano invece profonde le ferite inferte al corpo sociale meridionale dal persistere di una condizione di malgoverno che, pur in presenza di lodevoli eccezioni, spesso salda le devianze e le insufficienze del governo centrale con quelle dei governi regionali e locali.
Tra i risultati del pluridecennale fallimento degli impegni di rilancio del mezzogiorno vanno citati l’insopportabile livello raggiunto dalla disoccupazione, giovanile e non, e un reddito pro-capite che è pari al 50% di quello nazionale. Siamo di fronte a esiti che vengono periodicamente certificati dalle apposite agenzie e accolti con incomprensibile rassegnazione da una popolazione che pure ne vive la drammaticità sulla propria pelle.
Ma c’è un’altra certificazione che viene addirittura dal governo. Mi riferisco alle recenti previsioni di crescita del paese per il 2016, che indubbiamente risentono della perdurante crisi mondiale, ma che hanno anche concause endogene. Quando il governo, in sede di approvazione del Documento di economia e finanza, dice che le stime di crescita per l’anno in corso vanno riviste al ribasso rispetto alle stime di pochi mesi fa, passando dall’1,6 dell’autunno all’1,2 di oggi, mette involontariamente in evidenza che una parte del paese non partecipa affatto alla ripresa e frena il risultato complessivo nazionale.
Il peggioramento delle previsioni non può sorprendere nessuno. Come si può sperare, infatti, di veder crescere il paese se un terzo di esso non riesce neppure ad investire, correttamente e per intero, i fondi europei disponibili? Come si può attivare un cambiamento di marcia se perfino l’Agenzia Nazionale per la Coesione Territoriale ideata da Fabrizio Barca, che da oltre due anni dovrebbe operare per migliorare l’utilizzo dei circa 100 miliardi di euro disponibili per il periodo 2014/2020, è ancora al palo? In questa situazione vengono in mente cattivi pensieri e si amplificano le colpe di un governo nazionale, in gran parte ancorato alle dimensioni territoriali di un Granducato, che nella sua inerzia gode della complicità di buona parte delle classi dirigenti meridionali, le quali omettono perfino di informarlo adeguatamente sullo stato dell’ arte.
In realtà il problema, storico e attualissimo, del superamento del divario socio-economico tra il Sud e il resto del Paese non viene individuato come tema fondamentale per il destino nazionale. Se lo fosse, potremmo sperare di assistere all’adozione e all’implementazione di un masterplan ben più consistente di quello proposto da Matteo Renzi, ma potremmo andare anche oltre, prendendo a prestito qualche idea che viene da lontano, ma non troppo. Il riferimento è alla Svezia, dove il Ministero dello Sviluppo Strategico e della Cooperazione Nordica, affidato a Kristina Persson, è diventato una specie di Ministero del Futuro grazie alla capacità di sviluppare la sua azione in direzioni molteplici: da come progettare la vita civile a come diventare più moderni e solidali, a che direzione prendere nei progetti industriali.
Ecco cosa serve a noi. Non un neo Ministero del Mezzogiorno, ma un Ministero dello Sviluppo Strategico che sappia procedere, come quello svedese, senza dogmi, perché “se un’idea è buona, etica, pulita, efficace” è utile adottarla. Un Ministero che sappia occuparsi di tutto ciò di cui si occupa il suo omologo svedese, ma con un obiettivo in più: promuovere e coordinare la ricucitura di un Paese lacerato, perché unire davvero l’Italia è un’idea “buona, etica, pulita, efficace” e anche piuttosto urgente.☺
Viviamo tempi di navigazione a vista che non consentono di prevedere le cose che accadranno di qui ai prossimi mesi, ma un’ipotesi possiamo azzardarla: il 2016 non sarà, per il nostro paese, l’ anno della coesione territoriale. Si continuerà a parlare di temi importantissimi che vanno dalle trivelle alle riforme ma, ancora una volta, non ci sarà né lo spazio né la voglia di avviare una riflessione seria sul futuro di quei territori, per lo più meridionali, piagati dal ritardo di sviluppo, dalla disoccupazione e da una crescente povertà. Si può dire che il tutto rientra in una normalità che ha visto per decenni l’accantonamento sistematico della “questione meridionale” e l’ osservazione non è fuori luogo. Restano tuttavia in vita un disappunto e, oserei dire, un dolore specifico per l’assenza di questo tema dall’agenda politica del 2016, anche perché nel corso dell’anno precedente erano stati presi impegni precisi in merito.
Infatti, a seguito dello scalpore suscitato dall’ennesimo rapporto Svimez sulle tragiche condizioni socio-economiche del Sud, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si era impegnato a presentare, entro il mese di settembre 2015, un efficace piano di intervento per il rilancio del mezzogiorno. A distanza di otto mesi possiamo dire che quegli impegni non hanno avuto un grande seguito. Restano invece profonde le ferite inferte al corpo sociale meridionale dal persistere di una condizione di malgoverno che, pur in presenza di lodevoli eccezioni, spesso salda le devianze e le insufficienze del governo centrale con quelle dei governi regionali e locali.
Tra i risultati del pluridecennale fallimento degli impegni di rilancio del mezzogiorno vanno citati l’insopportabile livello raggiunto dalla disoccupazione, giovanile e non, e un reddito pro-capite che è pari al 50% di quello nazionale. Siamo di fronte a esiti che vengono periodicamente certificati dalle apposite agenzie e accolti con incomprensibile rassegnazione da una popolazione che pure ne vive la drammaticità sulla propria pelle.
Ma c’è un’altra certificazione che viene addirittura dal governo. Mi riferisco alle recenti previsioni di crescita del paese per il 2016, che indubbiamente risentono della perdurante crisi mondiale, ma che hanno anche concause endogene. Quando il governo, in sede di approvazione del Documento di economia e finanza, dice che le stime di crescita per l’anno in corso vanno riviste al ribasso rispetto alle stime di pochi mesi fa, passando dall’1,6 dell’autunno all’1,2 di oggi, mette involontariamente in evidenza che una parte del paese non partecipa affatto alla ripresa e frena il risultato complessivo nazionale.
Il peggioramento delle previsioni non può sorprendere nessuno. Come si può sperare, infatti, di veder crescere il paese se un terzo di esso non riesce neppure ad investire, correttamente e per intero, i fondi europei disponibili? Come si può attivare un cambiamento di marcia se perfino l’Agenzia Nazionale per la Coesione Territoriale ideata da Fabrizio Barca, che da oltre due anni dovrebbe operare per migliorare l’utilizzo dei circa 100 miliardi di euro disponibili per il periodo 2014/2020, è ancora al palo? In questa situazione vengono in mente cattivi pensieri e si amplificano le colpe di un governo nazionale, in gran parte ancorato alle dimensioni territoriali di un Granducato, che nella sua inerzia gode della complicità di buona parte delle classi dirigenti meridionali, le quali omettono perfino di informarlo adeguatamente sullo stato dell’ arte.
In realtà il problema, storico e attualissimo, del superamento del divario socio-economico tra il Sud e il resto del Paese non viene individuato come tema fondamentale per il destino nazionale. Se lo fosse, potremmo sperare di assistere all’adozione e all’implementazione di un masterplan ben più consistente di quello proposto da Matteo Renzi, ma potremmo andare anche oltre, prendendo a prestito qualche idea che viene da lontano, ma non troppo. Il riferimento è alla Svezia, dove il Ministero dello Sviluppo Strategico e della Cooperazione Nordica, affidato a Kristina Persson, è diventato una specie di Ministero del Futuro grazie alla capacità di sviluppare la sua azione in direzioni molteplici: da come progettare la vita civile a come diventare più moderni e solidali, a che direzione prendere nei progetti industriali.
Ecco cosa serve a noi. Non un neo Ministero del Mezzogiorno, ma un Ministero dello Sviluppo Strategico che sappia procedere, come quello svedese, senza dogmi, perché “se un’idea è buona, etica, pulita, efficace” è utile adottarla. Un Ministero che sappia occuparsi di tutto ciò di cui si occupa il suo omologo svedese, ma con un obiettivo in più: promuovere e coordinare la ricucitura di un Paese lacerato, perché unire davvero l’Italia è un’idea “buona, etica, pulita, efficace” e anche piuttosto urgente.☺
Il problema del superamento del divario socio-economico tra il Sud e il resto del Paese non viene individuato come tema fondamentale per il destino nazionale. Non serve un neo Ministero del Mezzogiorno, ma un Ministero dello Sviluppo Strategico che sappia procedere senza dogmi, perché “se un’idea è buona, etica, pulita, efficace” è utile adottarla. Unire davvero l’Italia è un’idea “buona, etica, pulita, efficace” e anche piuttosto urgente
Viviamo tempi di navigazione a vista che non consentono di prevedere le cose che accadranno di qui ai prossimi mesi, ma un’ipotesi possiamo azzardarla: il 2016 non sarà, per il nostro paese, l’ anno della coesione territoriale. Si continuerà a parlare di temi importantissimi che vanno dalle trivelle alle riforme ma, ancora una volta, non ci sarà né lo spazio né la voglia di avviare una riflessione seria sul futuro di quei territori, per lo più meridionali, piagati dal ritardo di sviluppo, dalla disoccupazione e da una crescente povertà. Si può dire che il tutto rientra in una normalità che ha visto per decenni l’accantonamento sistematico della “questione meridionale” e l’ osservazione non è fuori luogo. Restano tuttavia in vita un disappunto e, oserei dire, un dolore specifico per l’assenza di questo tema dall’agenda politica del 2016, anche perché nel corso dell’anno precedente erano stati presi impegni precisi in merito.
Infatti, a seguito dello scalpore suscitato dall’ennesimo rapporto Svimez sulle tragiche condizioni socio-economiche del Sud, il presidente del Consiglio Matteo Renzi si era impegnato a presentare, entro il mese di settembre 2015, un efficace piano di intervento per il rilancio del mezzogiorno. A distanza di otto mesi possiamo dire che quegli impegni non hanno avuto un grande seguito. Restano invece profonde le ferite inferte al corpo sociale meridionale dal persistere di una condizione di malgoverno che, pur in presenza di lodevoli eccezioni, spesso salda le devianze e le insufficienze del governo centrale con quelle dei governi regionali e locali.
Tra i risultati del pluridecennale fallimento degli impegni di rilancio del mezzogiorno vanno citati l’insopportabile livello raggiunto dalla disoccupazione, giovanile e non, e un reddito pro-capite che è pari al 50% di quello nazionale. Siamo di fronte a esiti che vengono periodicamente certificati dalle apposite agenzie e accolti con incomprensibile rassegnazione da una popolazione che pure ne vive la drammaticità sulla propria pelle.
Ma c’è un’altra certificazione che viene addirittura dal governo. Mi riferisco alle recenti previsioni di crescita del paese per il 2016, che indubbiamente risentono della perdurante crisi mondiale, ma che hanno anche concause endogene. Quando il governo, in sede di approvazione del Documento di economia e finanza, dice che le stime di crescita per l’anno in corso vanno riviste al ribasso rispetto alle stime di pochi mesi fa, passando dall’1,6 dell’autunno all’1,2 di oggi, mette involontariamente in evidenza che una parte del paese non partecipa affatto alla ripresa e frena il risultato complessivo nazionale.
Il peggioramento delle previsioni non può sorprendere nessuno. Come si può sperare, infatti, di veder crescere il paese se un terzo di esso non riesce neppure ad investire, correttamente e per intero, i fondi europei disponibili? Come si può attivare un cambiamento di marcia se perfino l’Agenzia Nazionale per la Coesione Territoriale ideata da Fabrizio Barca, che da oltre due anni dovrebbe operare per migliorare l’utilizzo dei circa 100 miliardi di euro disponibili per il periodo 2014/2020, è ancora al palo? In questa situazione vengono in mente cattivi pensieri e si amplificano le colpe di un governo nazionale, in gran parte ancorato alle dimensioni territoriali di un Granducato, che nella sua inerzia gode della complicità di buona parte delle classi dirigenti meridionali, le quali omettono perfino di informarlo adeguatamente sullo stato dell’ arte.
In realtà il problema, storico e attualissimo, del superamento del divario socio-economico tra il Sud e il resto del Paese non viene individuato come tema fondamentale per il destino nazionale. Se lo fosse, potremmo sperare di assistere all’adozione e all’implementazione di un masterplan ben più consistente di quello proposto da Matteo Renzi, ma potremmo andare anche oltre, prendendo a prestito qualche idea che viene da lontano, ma non troppo. Il riferimento è alla Svezia, dove il Ministero dello Sviluppo Strategico e della Cooperazione Nordica, affidato a Kristina Persson, è diventato una specie di Ministero del Futuro grazie alla capacità di sviluppare la sua azione in direzioni molteplici: da come progettare la vita civile a come diventare più moderni e solidali, a che direzione prendere nei progetti industriali.
Ecco cosa serve a noi. Non un neo Ministero del Mezzogiorno, ma un Ministero dello Sviluppo Strategico che sappia procedere, come quello svedese, senza dogmi, perché “se un’idea è buona, etica, pulita, efficace” è utile adottarla. Un Ministero che sappia occuparsi di tutto ciò di cui si occupa il suo omologo svedese, ma con un obiettivo in più: promuovere e coordinare la ricucitura di un Paese lacerato, perché unire davvero l’Italia è un’idea “buona, etica, pulita, efficace” e anche piuttosto urgente.☺
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