Una clean economy per il Molise
7 Giugno 2014 Share

Una clean economy per il Molise

Sono stata molto felice -e grata alle associazioni che me lo hanno proposto- di aprire l’incontro dal titolo “Clean Economy – Cultura, turismo e agroalimentare come fattori di sviluppo della Regione: dalla filosofia al progetto” che si è tenuto lo scorso sabato 26 aprile, presso la Galleria Civica di Termoli.

Promosso dalle associazioni Libertà e Giustizia, Arca sannitica, Fondazione Milani, la fonte, Larinoviva, Libera e Pax Christi, questo secondo appuntamento, cui hanno partecipato Assoindustria, Cgil e Istituto dei Castelli, oltre ai cittadini interessati, ha fatto seguito al convegno “Democrazia e sviluppo territoriale”, svoltosi nel novembre scorso alla presenza dell’ex Ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca, che si era posto come un preliminare momento di riflessione, ad opera delle associazioni stesse, per gettare le basi di un progetto di crescita della nostra regione che fosse compatibile con le sue specificità, condiviso e partecipato.

L’idea che queste associazioni condividono, infatti, è che il popolo non resti muto tra un’elezione e l’altra, ma viva invece come anima pensante della comunità e costituisca quindi un serbatoio di idee in grado di alimentare e veicolare l’azione dei partiti.

L’incontro di sabato si è posto, in questo senso, come un “esercizio di sovranità”. Al di fuori dei rituali elettorali, infatti, ai cittadini è solitamente richiesto un ruolo passivo, acquiescente, apatico. Di fatto, la nostra “post democrazia” ha fatto regredire la gestione della cosa pubblica ad una situazione predemocratica, in cui essa restava, allora come oggi, appannaggio esclusivo di élites chiuse. Questo stato di cose ha prodotto via via un senso di esclusione, delusione, impotenza sempre più incombente ed  ha determinato la crisi attuale della politica quanto a partecipazione, legittimità, fiducia da parte dei cittadini.  La decisione politica, allora,  è stata facilmente consegnata all’interesse principale dei grandi poteri economici: quello di fare profitti, spesso ad ogni costo. E così, abbiamo tante volte assistito alla realizzazione di enormi profitti privati che prosperano sulle macerie della vivibilità comune, di cui invece avvertiamo sempre più assoluto bisogno. Ebbene, il modo che abbiamo per costruire un mondo più vivibile, lo abbiamo imparato, è agire collettivamente.

La cultura occidentale è divenuta depressa, nel senso che sperimenta un senso di impossibilità di indirizzare le cose verso un miglioramento. Eppure anche l’ambiente economico e sociale è un prodotto umano e come tale può essere orientato verso il benessere. Ci ritroviamo invece a vivere, ognuno da solo, l’ineluttabilità di cose che sentiamo più grandi di noi (la globalizzazione, l’Europa) e che minacciano la qualità della nostra vita, il futuro dei nostri figli. Eppure il cervello umano ha inventato la capacità di progettare cambiamenti, cioè l’alternativa.

Per l’essere umano il possibile precede il reale. Il senso della possibilità è alla base del nostro successo evolutivo perché ci ha resi capaci di adattare l’ambiente alle nostre necessità. Ci ha reso possibile inventare tecnologie, istituzioni, regole, ambienti sociali e culture che hanno lo scopo di migliorare la nostra vita. In una parola, ci ha resi capaci di modellare l’esistente sull’umano.

cittadini coinvolti

Ecco allora la ragione fondante del nostro incontro di sabato. Si è voluto dispiegare, in un discorso corale che coinvolga tutti – cittadini, associazioni, imprese, sindacati, rappresentanti politici – un’idea progettuale di sviluppo per il Molise. Che non sia però, per stare alla parole di Pier Paolo Pasolini, uno “sviluppo senza progresso”. E per esser certi di questo abbiamo ritenuto e riteniamo necessario il coinvolgimento di tutti e la condivisione, partecipata, degli obiettivi.

La molla essenziale è, deve essere, il desiderio di contribuire a una causa comune, utilizzando quel surplus cognitivo che ogni cittadino sa di possedere, quel qualcosa in più che si desidera condividere, combinandolo con le conoscenze degli altri. In questo ripensare il futuro ci è sembrato logico partire dalle potenzialità che il Molise ha. Stufi, come siamo, di restare in balìa di proposte esogene che sovente hanno di mira lo sfruttamento dei luoghi senza alcuna apprezzabile contropartita, come da ultimo è stato il caso dell’avversato insediamento in basso Molise delle “Gran manze”.

Agricoltura e industria agroalimentare, paesaggio, beni culturali, ci sono sembrati dunque i temi da cui partire. Cioè qualità, bellezza, cultura. Ci sembra bellissimo raccogliere la sfida di rimodellare l’esistente su queste tre parole.

agricoltura e oltre

Quali sono le implicazioni pratiche di questo progetto? L’agricoltura ed il settore agroalimentare richiedono un forte e convinto investimento con programmi di sviluppo pensati a livello regionale e recepiti a livello europeo. L’agricoltura, che Emilio Sereni, autore della “Storia del paesaggio agrario” già negli anni settanta definiva in uno stato preagonico, pur nelle sue difficili condizioni è un settore economico che non può essere né delocalizzato né dismesso. La cui perdita per il Molise sarebbe esiziale, perché non verosimilmente rimpiazzabile con nulla. Dunque non si può continuare a chiederle di sopportare costi che non le appartengono per sostenere, come spesso avviene, enti  inefficienti, diseconomici, a volte anche inutili e di sopravvivere totalmente sganciata da contratti di filiera e di valorizzazione dei propri prodotti.

Né può  l’agricoltura essere dismessa se non a prezzo di costi e di rischi enormi: se le nostre campagne venissero abbandonate in toto si porrebbe un problema di gestione del territorio da un punto di vista paesaggistico, ambientale, della salubrità dei luoghi e così via. E infatti l’Europa, che intravede questo pericolo, richiede agli agricoltori di rendere ecocompatibile l’agricoltura (!), richiedendo pratiche agronomiche ulteriori, cui condizionare gli aiuti comunitari che hanno il solo effetto di rendere ancora più svantaggioso il permanere nelle campagne. Senza rendersi conto che l’agricoltura crea l’ambiente. E crea il paesaggio.  E allora, l’agricoltura che non può delocalizzare deve, al contrario, ricentrare.

Penso, infatti, che si dovrebbe riflettere sull’economicità a largo spettro dell’agricoltura. Credo che i marchi -e in questo l’agroindustria e in generale la trasformazione agroalimentare ha certamente un ruolo di primo piano- si sostengano col territorio. E che i marchi siano uno straordinario e qualificato veicolo di promozione territoriale. La nostra ambizione è quella di presentarci ad EXPO 2015 con questo tipo di proposta, che riteniamo vincente, perché ineguagliabile. Credo che tutto possa essere copiato e quindi reso perdente alla prova dei mercati globali, ma non l’identità ed il messaggio che trasmette.

paesaggio e cultura

A questo aggiungerei la straordinaria fortuna del nostro paesaggio, italiano ma anche molisano, che è stato plasmato nei secoli dalla presenza umana. È un paesaggio storicizzato, pittorico, ancora capace di raccontare la nostra storia e le nostre tradizioni, così pervase esse stesse di agire collettivo e anche per questo tanto amate. È una bellezza che può e deve essere conservata e valorizzata, posto che non si crea. Il paesaggio costituisce la nostra identità, la nostra anima, il segno tangibile di chi e che cosa siamo. Di più, è il tramite tra la sfera dell’individuo e la sfera della vita collettiva senza di cui non ci sapremmo immaginare e  rappresenta uno straordinario  test per capire come il cittadino vive se stesso in relazione all’ambiente che lo circonda e alla comunità in cui vive. Quale importanza annette alla propria salute fisica e mentale, quale ruolo assegna alla storia, alla cultura, all’identità dei propri luoghi.

Fare mente locale vuol dire allora ripartire dalla legittima difesa della nostra salute e del nostro benessere, dare un senso alto e generoso della nostra comunità di cittadini, del pubblico interesse, delle generazioni future. La qualità dell’ambiente, la bellezza del paesaggio, dei nostri borghi antichi, con i nostri beni culturali, non sono un lusso, ma una necessità. Influenzano direttamente, anzi innervano la qualità della vita, la felicità degli individui e la ricchezza della vita comune. Questo non può che generare attrattiva e benessere.  È la bellezza, la vivibilità, il significare dei luoghi che genera il turismo. Questa -e tutte quelle che si aggiungeranno in questo senso- è la nostra idea di Clean economy.

A fronte di un intero orizzonte di vita in cui riconoscersi, un orizzonte che può includere testimonianze storiche, bellezze artistiche e beni archeologici, feste patronali, coste, colline, paesaggi, sicurezza e pregio alimentare, l’impegno dei cittadini di quel luogo è ovviamente centrale. Essi possono essere al tempo stesso gli interpreti della conoscenza locale e i guardiani della sua conservazione.

E questo è la cultura. Senza di cui la democrazia è senza spessore. La cultura è la chiave per aiutare la nascita di quella consapevolezza non solo di ciò che si è e di ciò che si ha, ma di ciò che si potrebbe essere.  È vero che abbiamo perso la meraviglia per i luoghi che abitiamo. E l’an-estesia,  l’ottundimento psichico del cittadino che non si accorge del mondo, secondo il filosofo e psicoanalista J. Hillman, favorisce la sua passività. Al contrario, sta proprio in questo ritrovato sapere la riespansione del senso della possibilità.

È questa conoscenza il solo modo per non sentirsi più fuori luogo, per riconquistare per sé un pieno diritto di cittadinanza ed una progettualità di vita autentica, in nome della storia, della legalità e del futuro. Ove vi fosse inerzia da parte della classe politica su questi temi, resta un soggetto che può e deve formulare questi pensieri e questi progetti, lavorando per tradurli in realtà.

Ai cittadini, dunque, la parola. ☺

eoc

eoc