Usa(to) insicuro
30 Aprile 2017
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Usa(to) insicuro

Ascoltando il discorso d’insediamento del Presidente Trump, i più attenti saranno stati certamente colti da un insopportabile dejà-vu. Il pensiero sarà andato ai “gloriosi” anni ’80 e all’altro celeberrimo Presidente – attore hollywoodiano: (R)onald Reagan. Partiamo dalle piccole assonanze. Il quarantesimo Presidente USA fu il più anziano nella storia americana, con i suoi 69 anni, battuto solo da (D)onald Trump, che ne ha 70. Entrambi famosi nel jet-set, entrambi repubblicani vecchio stampo, checché ne dicano gli avversari di Donald tra i conservatori. Ronald veniva dopo un presidente democratico ed aveva tra i suoi obiettivi lo smantellamento dello Stato Sociale ed un’inversione di tendenza dell’economia statunitense, che sottraesse potere al Governo centrale per spostarlo verso l’economia di mercato pura, più che verso gli stati federati come dichiarato. Reagan era, né più né meno di Trump, fortemente critico verso l’establishment, in quanto convinto che era la libera concorrenza a rendere “grande” l’America e che “il Governo non è la soluzione del problema, ma è esso stesso il problema”. Vi ricorda qualcuno? Come oggi, all’epoca di Ronald (governò tra il 1981e l’89) i rapporti con l’Europa si raffreddarono bruscamente, fatta eccezione per il Regno Unito. Ronald era convinto che gli Stati Uniti dovessero svincolarsi dal “peso” europeo e trattare di volta in volta coi singoli Stati. Sua alleata d’eccezione, la Thatcher nel Regno Unito portò avanti un disegno analogo, distaccandosi da quel Vecchio Continente ancora combattuto tra un non più sostenibile stato di benessere e il miraggio del neoliberismo. Proprio come sta facendo Theresa May in questi mesi. Molto simili – seppur con le dovute precisazioni – erano, ancora una volta, i rapporti con la Germania e la Russia. La Germania era un importante partner commerciale degli Usa, essendo nella situazione (molto simile ai giorni nostri) di Paese con una bilancia commerciale in surplus, che aveva terreno fertile negli investimenti in America. La Russia meriterebbe un discorso a parte, ma qui c’interessa sottolineare come i rapporti tra Washington e Mosca si fossero distesi, giunti al culmine della Guerra Fredda. Tornando al 2016, quel genere di distensione appare più preoccupante: se allora l’URSS si stava sgretolando ed era stanca dei gravosi costi per gli armamenti, ora la Russia di Putin appare nuovamente desiderosa di mettere mano un po’ qua un po’ là sullo scacchiere globale. Possiamo solo sperare che gli ottimi rapporti tra Putin e Trump non portino ad invasioni congiunte, magari con la scusa della lotta al terrorismo!
Ultima analogia, la più evidente, che ci può essere balzata agli occhi il 20 gennaio è la ricetta economica di Donald, la stessa che allontanò il Regno Unito dall’integrazione europea e che si presenta, prepotentemente, all’Europa contemporanea come possibile modello da seguire. La Supply Side Economics, conosciuta anche come Reaganomics puntava, come accennato, allo smantellamento dello stato sociale, alla riduzione delle tasse e all’aumento delle spese militari. L’intuizione di Reagan fu questa: se riduciamo drasticamente la pressione fiscale, le imprese americane avranno più liquidità da investire, creeranno occupazione, faranno ripartire i consumi. Ciò fu vero, in parte. La disoccupazione si ridusse di molto, ma a scapito della qualità dell’impiego: aumentarono i lavori precari, i part-time e i doppi salari, si ridussero di contro le garanzie, le pensioni, l’assistenza sanitaria ed assicurativa. Inutile dirlo, con Wall Street di nuovo galvanizzata dai miopi indici in ascesa, la Reaganomics portò a consumi (ed indebitamento) spropositati e alle speculazioni selvagge. In economia si parla di “bolle” quando ci sono cicli finanziari dai rapidi effetti positivi, che sono destinati a “sgonfiarsi” altrettanto velocemente. Queste ricette per “fare grande” un’economia, teniamolo a mente, hanno le gambe corte e presentano sempre il conto alla fine. Sta succedendo di nuovo e le bolle si sgonfieranno presto, allargando ulteriormente il divario tra ricchi e poveri. L’America vuole tornare grande, l’Europa, col Regno Unito in testa, sta pregustando ancora una volta i vetusti programmi conservatori; ciò che ci rimane da capire è dove andremo da un punto di vista militare. E se tanto mi da tanto, posso prevedere che anche lì saranno dolori. L’economia americana trae sempre nuova linfa vitale dalla lotta al nemico di turno e genera triliardi con la sola “economia del terrore”. Dobbiamo aspettarci l’ennesima assonanza? Make America Great Again.. puzza tanto di minestra riscaldata e dal sapore originario già pessimo.

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