uxoricidio
14 Aprile 2010 Share

uxoricidio

 

Circa 100 donne ogni anno in Italia vengono uccise dall'ex partner o dal fidanzato, marito, amante, amico.

Quando un amore diventa un amore malato? Quando un amore diventa rabbia? Quando un amore invece di creare benessere produce distruzione e che cosa rende questi casi tanto simili fra loro? Non la comunanza culturale o sociale quanto tre elementi precisi: l'uomo è sempre affetto da gelosia morbosa e sentimento di possesso; quasi mai la vittima ha denunciato, prima del gesto fatale, le violenze che l'avevano annunciato; sempre rei confessi, gli assassini finiscono spesso suicidi.

La forma più eclatante della violenza è certamente quella che lascia segni ben visibili sul corpo: lividi, costole rotte, tagli, cicatrici, bruciature etc. Ma c’è un’altra molto più subdola da rilevare, da denunciare: quella psicologica. Quella che destruttura l’immagine di sé, che alimenta sensi di colpa per non sentirsi all’altezza, che produce vergogna e consegna al silenzio. Quella che è causa di attacchi di panico, di ansia, di depressione, che produce malattie psicosomatiche, che annienta le difese immunitarie.

L'omicidio è solo la punta dell'iceberg di un problema subdolo ma estremamente lesivo, lo "stalking". Il meccanismo è quasi sempre lo stesso. Già durante la relazione scattano le prime avvisaglie: gelosie ingiustificate e morbose, pedinamenti, controllo esasperato di tutti gli spostamenti etc. Poi la relazione finisce, spesso perché la donna non sopporta più questo modo di fare opprimente. Ma chi viene lasciato non sempre accetta l'idea che il rapporto sia davvero terminato. Lo stalking vede nella maggior parte delle volte donne vittime e uomini persecutori, anche se non mancano casi inversi (il rapporto è di circa 3:1). I singoli comportamenti possono non costituire persecuzione né tanto meno reato; è la modalità con cui vengono portati avanti, con insistente reiterazione, contro la volontà della vittima che non gradisce certe attenzioni o addirittura ne è intimidita. Dapprima la vittima cerca di far ragionare il molestatore: risponde ai suoi messaggi, accetta di incontrarlo, anche perché le dispiace essere rude nei confronti di qualcuno a cui ha comunque voluto bene. Così facendo la vittima sottovaluta il rischio. Lo stalker invece gioca sull'ambivalenza: alterna momenti di apparente sottomissione e disperazione "senza di te non posso vivere", a momenti aggressivi "tu senza di me non puoi vivere". I comportamenti di persecuzione possono durare sia un paio di mesi che addirittura anni, a meno che non intervengano a deterrente i provvedimenti restrittivi adottati dall'autorità giudiziaria a seguito di una denuncia-querela. La vita di una persona perseguitata cambia radicalmente fino a impregnarsi di paura per l'imprevedibilità di quello che potrebbe accadere. Tutto questo produce ansia, insonnia o un vero e proprio Disturbo Post-Traumatico da Stress, compromettendone l'attività lavorativa e le relazioni sociali. Pian piano la vittima si isola anche da parenti e amici per tutelarli perché potrebbero anche loro diventare oggetto di persecuzioni.

Come su detto si uccide per motivi passionali nel 23% dei casi, stessa percentuale dei delitti maturati  a seguito di liti mentre gli omicidi commessi in preda a un raptus si fermano al 17,4%. Un dato che indica come siano relativamente pochi gli episodi criminosi frutto di gesti improvvisi, imprevedibili. Nella maggior parte dei casi l'uxoricidio rappresenta solo l'ultimo atto di una serie di minacce e violenze fisiche e psicologiche consumate in famiglia, tanto che a volte si può tranquillamente parlare di morti annunciate che potevano essere facilmente scongiurate se fossero stati  messi in campo strumenti in grado di leggere per tempo queste spirali di violenza.

Che immagine del maschile emerge da queste storie? Uomini incapaci di stare in una relazione con una donna riconoscendone l'autonomia e la libertà e portati a esprimere la propria frustrazione in una violenza che paradossalmente diviene misura della propria passione o del proprio dolore. Il verificarsi di questi eventi in concomitanza con separazioni volute dalla donna dimostrano l'incapacità degli uomini che se ne rendono responsabili di accettare l'alterità della compagna. Non si tratta quindi di amore, ma di egoismo, ossessività, fusione. La maggior parte di questi gesti sono compiuti da uomini fragili e incapaci di accettare il lutto della separazione, uomini che in molti casi finiscono col togliersi la vita loro stessi.

 

La rappresentazione nella stampa di un tale fenomeno trova molto più spazio rispetto alle notizie di quotidiane violenze e maltrattamenti, che pur rappresentando spesso un rischio per la vita delle donne, non interessano la cronaca: mentre un cadavere in qualche misura fa sempre scalpore. Occorre sottrarre questi eventi, che entrano spesso nel mondo della comunicazione mass-mediatica con un misto di voyerismo, morbosità e volgarità, alla dimensione della cronaca nera e dell'informazione spettacolo per stimolare una riflessione sul serio problema della violenza contro le donne, perché è solo con un radicale cambiamento culturale, soprattutto con l'educazione delle giovani generazioni al rispetto e alla responsabilità verso l'altro, che si può pensare a un nuovo patto tra i generi, senza più violenza. ☺

 

 

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