Al passo coi tempi
22 Luglio 2020
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Al passo coi tempi

Primissimi anni ‘80. Salto il Commodore 64 per buttarmi sul 128. Tanto, per dirvi che le nuove tecnologie le ho viste in fasce, tra gli sghignazzi dei colleghi “seri” che reputavano un giocattolo l’antenato del PC. Ho vissuto gli anni in cui un 386 con 4 mega (mega non giga) di ram era chiamato “mostro”. Al tramonto degli anni ‘90 mi tocca insegnare Linguaggi multimediali, nel liceo delle Scienze sociali. Problema: non esistevano libri di testo. Soluzione: me ne scrissi uno (c’è ancora sul web da qualche parte). Frequentavo Maragliano e Calvani, e la galassia della didattica multimediale. Alcuni oggi parlano ancora di “nuove” tecnologie nella didattica. Sono cose vecchie, amici, coetanee di Quelli della notte. Che è quanto dire. Stasera in tv un ragazzo, serioso, ha sentenziato: mai la didattica on line. Che Dio lo perdoni. Non sa quello che dice.

Con 5.000 battute a disposizione non si può dire tutto né argomentare esaurientemente, certo. Ma si possono porre delle fondamenta. Parliamo, dunque, di futuro. È la metà del ‘700, a Milano. Ci sono giovani scapestrati, sono illuministi, vogliono il futuro, non ne possono più del classicismo, delle parrucche, dei pedanti. Uno di loro scrive: Se il mondo fosse governato dai grammatici sapremmo bene che carrozza si scrive con due zeta, ma andremmo ancora a piedi.

Questo atteggiamento culturale è stata la mia stella polare, di laureato in lettere antiche, ma, strabico come tutti gli umanisti, pronto a lasciare le abitudini pedanti e infruttuose per fare i conti col futuro. Già, il futuro. Credo che nessuno possa negare che il futuro non è della carta ma dei bit. Già i ragazzi ci vivono nel futuro, che ci fascia, ci pervade, ci tallona (perfino mia moglie: Andrea, guarda su internet se…). Che facciamo? Prendiamo la scuola, che deve insegnare a vivere nell’oggi e nel domani (non negli anni Cinquanta) e diciamo: qua l’on line non ci entra. Resti fuori, resti nella vita reale, dove viviamo realmente. Qui fermiamo il calendario, lo retrodatiamo e ci facciamo sacerdoti del passato, collocando sull’altare il libro di carta e la presenza in classe (“Io li devo guardare negli occhi i miei alunni …”).

Sto tirando la corda, è evidente, estremizzo per amore di tesi. In realtà non ci vuole la zingara per indovinare un sapiente e fecondo equilibrio tra l’uomo e la macchina, tra uno zoccolo duro di “tradizione” (ma la parola mi dà l’orticaria. Quanti delitti, tradizione, si commettono in nome tuo!) e un ventaglio di “diavolerie” elettroniche che si mettono al servizio di un apprendimento serio, programmato e rigoroso.

I vantaggi della telescuola sono in genere snobbati (spero in buona fede) dai conservatori (piuttosto di sinistra, stranamente – ma non tanto). Se tutti, proprio tutti gli studenti sono dotati di connessione veloce e tablet potenti (ma questo è un altro discorso, è politica, non tecnologia) la telescuola è un potente strumento di democrazia e uguaglianza delle opportunità. I poveri, tecnologizzati dalla mano pubblica, possono, al pari dei ricchi, assistere (quante volte vogliono) alle lezioni di fisica, di economia, di manage- ment, di storia, dei migliori docenti del mondo. A Roccaspromonte come a san Babila.

E non c’è barriera all’insegnante saggio che dica: ragazzi, oggi pomeriggio facciamo insieme un tema di letteratura. Voi scrivete, io vi seguo uno ad uno e vi accompagno, vi guido, vi correggo in itinere. Non ridete. L’ho fatto io, nell’aula multimediale primordiale della mia scuola. Ed era bello. Ma non continuo, perché la mia fantasia in fondo ha la mia stessa età e la stessa ruggine, quella di un docente quarantenne è fresca ed effervescente. E se non è così, peggio per i suoi alunni.

Le nuove (ormai non più) tecnologie sono pronte a soddisfare le più sbrigliate invenzioni didattiche, le più solide richieste di sistemazione del sapere. Basta saperle usare. Basta smetterla di civettare: non mi dire, io di computer sono proprio un asino.

Ci sarà sempre tempo, anzi ce ne sarà di più, per “guardare negli occhi gli studenti”, per personalizzare (solo chi ignora il software pensa che il pc spersonalizza l’insegnamento) la didattica, per educare la persona. Ma la telescuola, fatta con convinzione, realizzerà un ideale di scuola che in realtà è vecchia quanto il mondo, ed è stata tradita dalla scuola idealistica di Croce e Gentile. La scuola dell’artigiano.

Me lo insegnò un articolo di Goffredo Parise, sul Corsera della metà del secolo scorso: se fai scuola in una bottega impari subito che la sedia non si regge se i piedi sono sbagliati, lì scuola e vita stanno gomito a gomito. Ecco, la telescuola riporta la scuola gomito a gomito con la vita reale, quella che stiamo vivendo sempre più, dalle industrie, al commercio, ai servizi.

Certo, ci saranno sempre i vedovi della scuola come “tempio” del sapere, turris eburnea sottratta alle asperità della vita reale. Ma si sa, il dolore dei vedovi è come quello del colpo al gomito. È fortissimo, ma passa presto.☺

 

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