cuore
30 Aprile 2011 Share

cuore

 

“Mi piace il libro Cuore perché la sua storia semplice e sincera parla al cuore di chi lo legge; riesce a raggiungere il posto più remoto di esso, dove sono racchiuse le nostre emozioni e al momento di andare stacca una pagina e la lascia lì, dove sarà custodita per sempre” mi ha detto Carmen, un’alunna di quinta classe. Forse è per nostalgia o perché è incancellabile, anche nei miei ricordi, che continuo a riproporre ai ragazzi  la lettura di Cuore e ogni volta che lo rileggo, avverto lo stesso irrefrenabile impeto di commozione, un sentirmi toccata nei valori che vivono nel mio profondo per natura, convenzione o educazione. È un libro anacronistico? No, dato che i bambini lo amano perché a loro interessa la vita ed è la vita, con il suo quotidiano rosario di dolcezze e amarezze, di simpatie e risentimenti che questo racconto-diario sgrana; è l’annata scolastica e familiare di Enrico; il suo piccolo mondo fatto di volti e di voci, di banchi e pennini, di aule sbiadite e maestrine dalla penna rossa, di botteghe, soffitte e appartamenti borghesi… in un’atmosfera di struggente intimismo casalingo, di tenere confidenze, di una congiura d’amore tra scuola e famiglia dove il bambino si sente un cucciolo privilegiato. E poi ci sono i racconti mensili del maestro: quelli di amor patrio come La piccola vedetta lombarda e Il tamburino sardo, in cui il ragazzo di ogni epoca si riconosce e che fanno brillare di lacrime i suoi occhi, ma sono proprio quelle lacrime a rendere efficaci le lezioni di eroismo ad essi sottese o la lezione di coraggio di Ferruccio in Sangue romagnolo che fa scudo del suo corpo alla nonna contro il pugnale dei banditi…

Al di là della derisa “retorica del sentimento” di cui Cuore, forse non a torto è stato tacciato, al di là  di certe pagine oleografiche, del linguaggio basso-romantico, della prosa sentimentale, dei contenuti a volte patetici, quasi crepuscolari che provocano nel lettore odierno un’istintiva reazione di fastidio e di ripudio, ritengo che la commozione, “il trauma emotivo”, resti una via irresistibilmente persuasiva per introdurre il bambino al possesso di ideali, di virtù sociali, civili, familiari ai quali, oggi, si dà poca importanza; anzi si può rivendicare un’attualità di questo libro in senso di antitodo a una realtà senza sogni e senza eroi come è la nostra, a certi vuoti di valori e di affetti cosi evidenti nella presente generazione infantile e se piangere fa, si deve riconoscere che le lacrime sono dotate ancora di una carica positiva agli effetti dell’arte, della pedagogia, della crescita dell’umanità totale. 

Carolina Mastrangelo

 

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