Estate in silenzio
14 Agosto 2018
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Estate in silenzio

Mi piace l’estate non per il caldo o perché si prospettano viaggi e avventure extra-ordinari né perché è tempo di vacanza e si può riposare, oziare addirittura. Mi piace l’estate perché è la stagione del silenzio, che mi pare si faccia corpo, specie in certe giornate assolate e deserte, quando molti vanno al mare o si trasferiscono all’unisono in qualche dove per un banchetto o una festa. È in queste solitudini che gusto il silenzio, lo ascolto, ci entro a contatto, per pensare in maniera più distesa o per immaginare senza interferenze gracchianti o semplicemente per avvertire sensibilmente che, pur fra mille ostacoli e miriadi di angustie, è bello vivere qui sulla terra, così radicati e tuttavia sempre affacciati sul limitare del cielo.

Non sono una chiacchierona e non amo essere sempre circondata di amici e conoscenti, perché ho bisogno di solitudine e silenzio, appunto, per nutrirmi e poi riuscire a donare e donarmi; però, non disdegno la compagnia, mi allieta il dialogo, non importa che sia lieve o grave, purché autentico, fatto di parole vere, intendo di parole delle quali si sia consapevoli e responsabili allo stesso tempo, parole aristocratiche, nel senso etico, non sociale, parole che siano frutto di una scelta, riflesso di una personalità, preludio di un’azione, pronte a rispondere all’appello altrui, non sorde, non fatue, non irresponsabili, non logorate da un uso automatico e inconsapevole, non massificate, non buttate lì tanto per riempire un vuoto, o peggio per sedare il male di vivere con un eloquio malo e superficiale.

Nel 1989 in Palombella rossa Nanni Moretti intesseva con la sua acredine bizzarra e puntuale un elogio della parola che suonava come un accorato appello al ben parlare: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”.

Ci faceva sorridere da ragazzi quell’invito, specie pronunciato dalla faccia schifiltosa di Moretti, e insieme se ne discuteva, divertiti ma pensosi e decisi ad evitare la facilissima discesa nella parola trita, modaiola e vana, ornamentale ed inutile.

È un invito quanto mai vivo e valido quello di Moretti, ora che, a distanza di trent’anni, del peso e del valore della parola non si discute, se non in consessi brevi di specialisti, quasi fosse la parola un volatile quid esornativo, recisa per sempre l’identità sostanziale che i Greci, antichi e geniali, hanno stabilito tra parola e pensiero, indicandoli col medesimo termine logos.

Non so donde scaturisca un tale fenomeno, se dalla celeberrima società di massa ab origine o da una male intesa concezione della democrazia come cialtroneria della parola, o dalla crisi ideologica che ha investito la politica internazionale e che ha spazzato destre e sinistre, le ha rimescolate, confuse, ammassate fin nell’eloquio, o ancora dall’uso ininterrotto, patologico, di media vieppiù potenti e vieppiù compromettenti per la salute logico-critica ed espressiva dell’individuo. Fatto è che tra giovani ed adulti la conversazione garbata e sensata, ponderata e stimolante, arguta e corroborante per il pensiero e per l’azione è vilipesa, l’insidia della stupidità, per contro, è sempre dietro l’angolo.

Il grande teologo luterano Dietrich Bonhoeffer sosteneva che per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità, perché contro la stupidità non si hanno difese e aggiungeva di seguito: “…qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini…La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri…sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti ecc. da cui egli è dominato. È ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale”.

Mi piace l’estate perché nel silenzio, guardinga, posso misurare la mia stupidità, riascoltarmi me tra me, correggermi infine, conscia dell’errore e tesa all’ascesi della parola autentica: voglio che “forno” per me evochi caldo odore di pane, non laisons politiche di dubbia natura né, di qui a qualche settimana, sotterfugi sentimentali di altissimo gradimento per il gossip nazionale, e giù forni e forni e forni.

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